Meglio l’autosvezzamento o il baby food?

da | 5 Feb, 2021 | Lifestyle, Pillar, Tutto food

Verso il sesto mese le famiglie vivono una piccola rivoluzione. A fatica ci si è guadagnati una routine di poppate, cambi, nanna e bagnetti, ma poi arriva lo svezzamento e di nuovo tutto cambia. 

L’introduzione nel mondo del cibo “da adulti” è un argomento che può generare un poco di ansia. C’è stato un tempo in cui seguiva linee precise dettate dal pediatra, che indicava come e quando far assaggiare la prima mela grattugiata e poi in progressione scientifica lo zucchino bollito, l’olio extravergine d’oliva e il parmigiano.

Negli anni si è affermata una nuova tendenza: l’autosvezzamento, cioè il soddisfacimento dello spontaneo interesse, da parte del bambino, per il cibo proposto quotidianamente in famiglia.

Contemporaneamente l’industria alimentare per la prima infanzia ha fatto passi da gigante nella produzione di alimenti per bebè, il cosiddetto baby food, prodotto con sicurezza e seguito da controlli rigorosi. Così ai neogenitori si prospetta una scelta: seguire i protocolli di uno svezzamento rigido, quasi medico, o affidarsi all’autosvezzamento? Quali sono i benefici e i problemi dell’uno e dell’altro?

L’autosvezzamento

Svezzare significa letteralmente “togliere il vizio” del seno. Una visione antica che nei fatti è un lento e graduale inserimento del bebè nel mondo del cibo degli adulti. L’autosvezzamento è una pratica ugualmente antica (il baby food è arrivato negli anni ’60) che dice, sostanzialmente, che non serve preparare le pappe per il bebè a un momento prefissato dello sviluppo. È meglio piuttosto attendere che il bimbo manifesti attenzione per il cibo che la famiglia porta in tavola e che può essere condiviso da tutti.

L’autosvezzamento viene anche chiamato alimentazione complementare a richiesta. “Complementare” perché dal sesto mese il cibo è un complemento al latte che, per tutto il primo anno di vita, può rimanere l’alimento prevalente. “A richiesta” perché la volontà di assaggiare nuovi cibi deve arrivare da una richiesta del bambino, seduto a tavola assieme ai genitori e lasciato libero di sperimentare.

Portare in tavola un cibo adatto all’autosvezzamento significa una forte presa di coscienza da parte dei genitori, nonché la loro disponibilità a mettere in discussione le abitudini alimentari. La dieta ideale per un bambino prevede alimenti di stagione, di origine sicura, cucinati con cotture delicate (al vapore per esempio), con pochi condimenti e preferibilmente a crudo.

Insomma, non è il bambino a doversi adattare alla dieta dei genitori, ma sono i genitori che portano in tavola, prima di tutto per il proprio benessere, una alimentazione salutare per tutta la famiglia.

le tappe dell'autosvezzamento

Le tappe dell’autosvezzamento

Una delle “regole” dell’autosvezzamento è il non forzare le tappe nell’introduzione dei cibi diversi dal latte. Attendere cioè il sesto mese, momento in cui il bambino manifesta segnali evidenti di essere pronto al cibo. I segnali sono prima di tutto stare seduto da solo, poi dimostrare interesse per il cibo e infine non avere più il “riflesso di estrusione”, ovvero quel riflesso che fa tirare fuori la lingua se si stimola la bocca, necessario per la suzione al seno. “Rispettando i tempi del bambino – dice il pediatra Lucio Piermarini, autore di un famosissimo manuale per l’autosvezzamento – è possibile inserire il cibo dei genitori senza rischi per allergie e intolleranze”.

Una paura che spinge molti genitori a optare per uno svezzamento “classico” con l’utilizzo di omogeneizzati è il timore del cibo in pezzi. “Molti genitori pensano che il baby food sia meno rischioso perché più fluido – continua Lucio Piermarini – e si sentono tranquilli a svezzare i propri bambini con gli omogeneizzati anche in maniera precoce rispetto alle linee guida, introducendo frutta omogeneizzata o yogurt già a quattro mesi. E’ più pericoloso uno svezzamento anticipato con baby food, magari in crema, per un bambino che non è ancora fisiologicamente pronto a ingerire nulla di diverso dal latte, che non un’alimentazione complementare a richiesta in cui è il bambino che volontariamente ingerisce del cibo”.

Il consiglio, sempre e comunque, qualunque sia il tipo di svezzamento adottato, è di seguire un corso di primo soccorso e di disostruzione pediatrica, perché il pericolo di soffocamento per i bambini c’è sempre, anche giocando.

Un altro dubbio dei genitori è: il mio cibo sarà abbastanza sano? “Sì, se il cibo è sano per il genitore lo è anche per il bambino – continua il dottor Piermarini -. Le famiglie devono riscoprire la buona tavola, intesa come buona dieta, sana e corretta. Solo una famiglia che mangia bene può insegnare al proprio bambino a godere del cibo e dell’esperienza del cibo”.

autosvezzamento - pesiticidi e metalli pesanti

Pesticidi e metalli pesanti

Una famiglia che vuole seguire l’autosvezzamento deve essere disposta a rivedere i propri stili di vita, adattando la propria dieta a quella di un bambino. Questo perché alcuni inquinanti presenti negli alimenti, come i pesticidi e i metalli pesanti, sono gestibili da un fisico adulto ma non da quello di un bebè. Si tratta dunque di una questione di sicurezza degli ingredienti: come sapere se la zucchina che portiamo in tavola è adatta a un primissimo pasto?

Ruggiero Francavilla, medico gastroenterologo pediatrico in forza al Policlinico di Bari lavora sugli elementi contaminanti presenti negli alimenti e sui rischi che possono apportare nel medio e lungo termine alla salute dei bambini.

“L’autosvezzamento è un modo naturale per svezzare i propri figli e in questo non ci sono problemi – dice il dottor Francavilla -. Il vero rischio è legato al tipo di prodotti che vengono utilizzati e che possono essere potenzialmente pericolosi”. Tutto ciò che etichettato come baby food segue standard europei ed è sottoposto a controlli severi.

“C’è una legislazione molto precisa che limita al minimo la presenza di pesticidi e altre sostanze potenzialmente tossiche, con controlli a monte della filiera alimentare. Questi controlli non sono previsti per gli altri prodotti alimentari”.

Cibo da adulti? Dopo lo svezzamento

A questo punto, decidendo di scegliere uno svezzamento classico con baby food, a che età è possibile passare ad alimenti uguali a quelli dei grandi? “Più è grande il bambino più si riducono i rischi da contatto con alimenti contaminati – dice Francavilla -. Non esiste una soglia entro cui smettere di utilizzare il baby food, molto dipende dalle abitudini della famiglia e dalle preferenze del bambino.

Se in casa si consuma molta pasta e il bambino è abituato a mangiarne quotidianamente, si può scegliere di proseguire almeno fino ai 2 – 3 anni utilizzando pasta baby food anche solo alcune volte a settimana. In questo caso si parla di baby food come metodo per diluire i contaminanti. Nel grano, ingrediente alla base della pasta, il DON (la microtossina del deossinivalenolo che può determinare fastidiosi collaterali) può essere presente in dosaggi fino a 450 mg ogni kg, nella pasta baby food la soglia massima di tolleranza è di 200 mg.

Se un bambino è un grande mangiatore di pasta, consumando quella degli adulti è esposto a una fonte di rischio maggiore. “Un altro semplice esempio – continua il dottor Francavilla – tra gli alimenti a maggior rischio ci sono alcuni pesci naturalmente ricchi di contaminanti che non possono essere utilizzati per la dieta di un bambino. Quelli utilizzati per produrre omogeneizzati sono pochissimi tipi selezionati”.

Il rischio di bambini schizzinosi

“A livello nutrizionale non si può dir nulla di negativo sul baby food – ribatte il dottor Lucio Piermarini -. Sono prodotti ben fatti, bilanciati e controllati. Il rischio non è nel baby food, ma nel modo in cui il baby food è inserito nella dieta quotidiana. Mangiare solo omogeneizzati porta il bambino ad avere difficoltà a riconoscere gli alimenti e ad accettarli nella dieta futura”.

Utilizzando omogeneizzati per lungo tempo si ritarda l’introduzione di cibi solidi, con il rischio che, succhiando e non masticando, si rallenta lo sviluppo. “Sfamare i bambini passivamente porta a difficoltà di masticazione. L’utilizzo di baby food in generale, e di omogeneizzati in particolare, porterebbe dunque a due tipi di problemi: la scarsa conoscenza del cibo vero, che come conseguenza far crescere bambini e poi adulti selettivi, e lo scorretto sviluppo del bambino che, limitando la sua autonomia, rallenta anche capacità come masticare, afferrare le posate e mangiare da solo”.

Autosvezzamento - mangiare insieme

Mangiare insieme è cultura

Nell’autosvezzamento però il cibo non è solo nutrimento, è anche cultura. Non c’è il rischio che con una dieta contenente baby food questo fattore si vada a perdere? “L’utilizzo esclusivo di baby food è suggerito, in maniera completa, per circa 6 mesi, dunque solo per un periodo limitato di tempo.

Questo fa sì che non venga compromesso il ruolo culturale ed educativo del mangiare insieme” afferma il dottor Francavilla. Contestualizzare la dieta di ogni singolo bambino, individuare le possibili aree di rischio e lì intervenire con il baby food. L’esempio della pasta è uno, ma si potrebbe fare un discorso con la frutta o la verdura particolarmente apprezzata, con la carne e il pesce. Scegliere baby food per gli alimenti più consumati, per esempio per il latte che consuma solo il bambino, senza che diventino una antitesi alla dieta di famiglia. In questo modo si tutela il bambino e, se si vuole portare avanti un percorso di autosvezzamento, si limitano le aree di rischio con prodotti ad hoc.

Nulla vieta di integrare le due strade, adattandole allo stile di vita della famiglia e tenendo sempre ben saldo l’obiettivo finale: vivere tutti meglio, più sani e più a lungo, con un corretto modello alimentare.

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