Costruire i ricordi dai primi anni di vita coi bambini

da | 28 Lug, 2013 | Lifestyle, Persone

Lo spettacolo “Da grande” dei torinesi OndaTeatro è emozionante. Il tema della messa in scena è la crescita: due attrici passano dai ritmi della prima infanzia a quelli della vita adulta, in un crescendo soffocante che fa venire voglia alle protagoniste di tornare a essere piccole. Guardando lo spettacolo, da genitori, capita di accorgersi di due cose. La prima è che si sta dimenticando tutto. Dei primi anni di vita coi bambini, delle piccole conquiste (il primo dentino, la prima parola, il primo passo) e delle emozioni e dei pensieri legati a ogni novità. La seconda è una riflessione sull’insensatezza dell’affanno in cui troppo spesso cade la vita in famiglia e sulla differenza che c’è tra i tempi lenti dell’infanzia e i tempi della vita adulta. Poi lo spettacolo finisce e la vita riprende la sua corsa. Ma il seme è stato gettato.

Metodi più o meno pazzi per ricordare tutte le emozioni dei primi mesi o delle prime parole

E, dopo qualche mese, germoglia. Magari mentre d’estate, riordinando gli armadi, una ritrova i pigiami di quando i bambini avevano due anni, tre anni. E scatta il dilemma: buttare? Tenere? Non si riesce a uscirne. Allora ecco l’idea: basta ritagliare un quadrato di 10 x 10 cm di ogni abitino liso e farne un libricino con pochi punti di cucito. E, dopo, sentirsi felici. Ci si sente riconciliati con il tempo e creativi. E il cuore si entusiasma quando, dopo poco, si scopre di non essere l’unica collezionista di tracce di vita. Una mamma traduttrice e autrice, Cristina Vezzaro, ad esempio, ha aperto un blog (www.piccolidivoratoridilibri.blogspot.com)  per tenere traccia dei libri letti dai suoi figli e loro amici, del loro percorso di avvicinamento alla lettura; in questo blog sono i bambini stessi a scrivere un commento sulle storie lette.
I modi di tenere traccia sono numerosi. Basta, ad esempio, un piccolo registratore digitale, (se ne trovano anche per  50-60 euro), e in alcuni momenti speciali dell’anno, al compleanno, Natale o dopo un viaggio, si può fare un’intervista ai bambini e farsi intervistare. Quel che succede nelle interviste di famiglia è che tutti fanno osservazioni particolari, rivelazioni, che in una chiacchiera a cena non emergerebbero. Sarà l’emozione della registrazione? Sarà il gioco? Sarà il sentirsi più ascoltati del solito? Forse tutte queste cose insieme.
E poi ci sono le fotografie, tante e relegate in buie cartelle nei pc. E allora ben venga la moda, diffusa ma forse non nota a tutti, dello scrapbooking. In sostanza ci vogliono due pomeriggi piovosi a disposizione: nel primo si fa una selezione delle foto più belle dell’anno, si portano a stampare, e nel secondo si crea l’album in cui conservarle. Si sceglie il cartoncino, il pennarello per le scritte, gli stampini per decorarlo e quant’altro. Sul web, digitando la parola scrapbooking, si trova ogni sorta di consiglio per diventare bravissimi in questo. Ma il punto, al di là del diventare bravissimi, forse è un altro: nello scegliere come conservare i ricordi fotografici, si creano narrazioni e creare una narrazione è una cosa che fa bene al cuore e alla relazione, un gesto che fa il punto del tempo passato e ne fissa la bellezza e il senso. In realtà, mentre si compiono questi gesti, si finisce per accorgersi che il tema del tenere memoria non è l’unico in gioco. Non sono, questi gesti, importanti solo per un lontano “tra dieci anni”, ma diventano utili per il presente: perché permettono di creare occasioni di incontro tra genitori e figli a volte allontanati dal ritmo dei giorni. E mentre si riflette su queste cose, si scopre che anche altri ci stanno pensando.

 

Tenere memoria nei contesti educativi attraverso la scrittura

Manuela Ravecca è una pedagogista torinese, formatrice autobiografica ed esperta di pratiche di scrittura. Da anni opera presso il Comune e l’Università di Torino utilizzando la scrittura sia come dispositivo formativo per gli adulti sia come strumento per rielaborare la relazione con i bambini. Manuela, in che cosa consiste il tuo lavoro con i docenti e gli educatori nelle scuole? “La scrittura è fondamentalmente una pratica, un’esperienza da attraversare. Spesso il nostro primo contatto con la scrittura, in genere quella scolastica, è stato difficile, infruttuoso, frustrante e poco creativo. Si riparte da lì, dal recuperare il valore espressivo della parola, la magia dei suoni e dei significati. Si lavora in un laboratorio dove si forgiano nuove parole, si dipingono nuove frasi e ciascuno può sperimentarsi in libertà e scoprire il suo essere scrittore e narratore, come insegnante, educatrice, genitore, bambina o adulto”. E come avvii le persone a tenere traccia del proprio vissuto lavorativo? “Dopo la prima fase di presa di contatto con la scrittura espressiva si utilizzano dei dispositivi per riscaldare la memoria e far sì che i ricordi e le tracce possano riemergere e farsi parola. Gli strumenti possono essere suoni, profumi, immagini presentati in modo tale da suscitare sorpresa, stupore; la memoria viene evocata e mai interrogata. A questo punto si può orientare il laboratorio a seconda che i partecipanti siano genitori desiderosi di scrivere dei loro bimbi o insegnanti ed educatori che utilizzano la scrittura nella loro pratica professionale”. Perché, a tuo avviso, una comunità in cui ci sono bambini, la famiglia, la scuola, dovrebbe tenere traccia del proprio vissuto? A che cosa serve? “Scrivere di sé così come scrivere di altri da sé, siano essi i nostri bambini o anche i nostri anziani, assolve alcune funzioni fondamentali del nostro essere umani e del nostro vivere in comunità e a volte in comunione con altri. Innanzitutto il posare lo sguardo, fermarsi, sostare e osservare. Cogliere in un tempo quieto, spesso da ritagliare, l’attimo che scorre e afferrarlo. La scrittura ci aiuta e ci invita a posare lo sguardo con delicatezza. Poi il dedicarsi, donare e dedicare il proprio tempo alla relazione con l’altro che spesso ha più bisogno di tempo dedicato che di oggetti e proposte. La scrittura diviene così strumento per esercitarsi al dedicarsi. Infine il fare memoria. Un fare memoria che non significa ancorarsi agli accadimenti del passato ma comprenderne il senso per non dimenticarli e per orientarsi meglio al tempo che viene. La scrittura ci aiuta ad accrescere la nostra consapevolezza rendendo più consapevoli anche i nostri bambini”.

 

Grazie a Manuela, Cristina, a Ondateatro, ai bambini, perché ci si sente in buona compagnia nel dare valore al dialogo tra genitori e figli.

 

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