Le aflatossine

da | 1 Giu, 2014 | Tutto food

A quanto si sa, la prima epidemia documentata di aflatossine risale al 1961, quando furono colpiti interi allevamenti di tacchini negli Stati Uniti d’America. Da allora le cose non sono migliorate di molto e i livelli di contaminazione restano alti. Periodicamente si riscontrano nuovi casi, e relativi allarmi, di alte concentrazioni presenti nei cibi per il consumo umano. Ma cosa sono le aflatossine? Dove si trovano e perché sono pericolose per la salute? L’aflatossina, o micotossina, è una sostanza prodotta da funghi (in particolare un fungo, l’Aspergillus flavus) che si sviluppano su substrati vegetali come i cereali (il mais è il più colpito), semi oleosi (come le arachidi, le noci e le mandorle), spezie, granaglie, frutta secca ed essiccata e alcuni tipi di legumi. I funghi produttori proliferano a temperature relativamente calde (25° – 32° C) e possono produrre tossine sia durante la coltivazione che durante il raccolto o l’immagazzinamento. Delle 17 aflatossine finora identificate, due risultano particolarmente dannose: la B1 e la M1. Nella formazione di queste sostanze intervengono alcuni fattori come la temperatura e l’umidità: se i cibi non sono conservati in maniera corretta, i funghi presenti possono proliferare e generare tossine. Sistemi di coltivazione, lunghe fasi di trasporto, ambienti non idonei alla conservazione e allo stoccaggio sono fattori di rischio. Alte concentrazioni di micotossine sono presenti anche nei prodotti di origine animale: latte, formaggi e latticini in generale, ma anche carne e uova. La causa è da ricercarsi nel mancato controllo sulla qualità delle derrate di cereali destinate alla produzione di mangimi. Una mucca alimentata con mais (cibo non di specie, tra l’altro) contaminato, produce un latte con un’alta concentrazione di micotossine. Nel formaggio, prodotto con latte contaminato, può accumularsi un livello cinque o sei volte superiore a quello riscontrato nel latte di partenza, visto che le aflatossine resistono alla pastorizzazione e alla cottura. Le aflatossine, in particolare quelle che si trovano nel latte e nei suoi derivati, sono unanimemente considerate molto tossiche, ma non è stato mai fissato un limite di consumo giornaliero considerato accettabile, come invece è stato fatto per altre sostanze potenzialmente dannose. Purtroppo non esiste un modo per evitarne la produzione, quantomeno a livello di consumatore: la formazione avviene durante tutta la filiera. Senza creare allarmi non giustificati, la Comunità Europea ha fissato limiti massimi tollerabili per l’aflatossina B1, le aflatossine totali e l’aflatossina M1 in cereali, frutta secca, spezie, prodotti per l’infanzia e latte, inoltre ha vietato l’uso di agenti chimici per ripulire le partite di prodotti contaminati e la possibilità di miscelare partite conformi a quelle non conformi. I limiti di legge sono sensibilmente inferiori ai livelli di rischio, vale a dire che i limiti tollerati sono al di sotto del livello di attenzione oltre al quale statisticamente le aflatossine possono avere un impatto sulla salute umana. Questo garantisce la ragionevole certezza di non vedere i limiti superati, anche se è indispensabile l’azione di controllo e prevenzione.

[Mario Bettas Valet]

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