Unlearning: viaggiare per disimparare

da | 1 Mag, 2016 | Persone

Quando Anna e Lucio sono diventati genitori di Gaia si sono trovati pieni di dubbi sul modo in cui portavano avanti la vita quotidiana: otto ore di lavoro al giorno e poco tempo da trascorrere in famiglia, babysitter e asilo a cui delegare la cura e l’educazione della bambina, grandi magazzini in cui andare ad acquistare in fretta e furia cibi plastificati, cene dedicate a trovare un modo di sopravvivere nella gimkana del mutuo e delle bollette. Poi, all’improvviso, la sensazione di un’insofferenza che si fa sempre più acuta e che trova conferma nel disegno di un pollo a quattro zampe: “Noi viviamo in città, a Genova. Gaia non aveva mai visto un pollo in carne e ossa e quando lo ha disegnato per la prima volta si è ispirata all’unico esistente nel suo immaginario: quello venduto sui banchi carne dei supermercati, in comode confezioni da quattro cosce!”.

Da lì la consapevolezza che fosse arrivato il momento di staccare la spina, di mettere in stand-by lavoro e routine per partire con lo zaino in spalla alla scoperta di qualcosa di nuovo. Così è nato Unlearning: un progetto, un viaggio di sei mesi e infine un docufilm attraverso ecovillaggi, comunità, cohousing e fattorie didattiche dentro e fuori l’Italia, in cerca di modelli di vita alternativi e nuove idee di famiglia.

In viaggio a suon di baratto

L’avventura ha avuto inizio il 5 aprile 2014. “Ma ci abbiamo messo circa un anno per organizzarla – racconta Anna -. Eravamo senza soldi, perciò il primo passo è stato capire come viaggiare spendendo il meno possibile, ma continuando a pagare mutuo e bollette”. In loro soccorso sono venuti il baratto, l’economia solidale e la Sharing Economy: ne hanno studiato il funzionamento e i servizi e hanno imparato a trarne bene cio in tutte le fasi del progetto. “Per gli spostamenti abbiamo usato BlaBlaCar, con cui abbiamo percorso quasi tutti gli oltre 5.000 chilometri del nostro viaggio. Non sempre i passaggi sono stati pagati con la moneta: laddove possibile li abbiamo barattati con crediti Reoose (una piattaforma di baratto dove un oggetto vale per la sua utilità e non per la sua marca), notti nella nostra casa di Genova, cene con il social eating Gnammo o scambio di competenze tramite la banca del tempo digitale Timerepublik. Airbnb ci è stato di supporto per mantenere la casa: due amici ci hanno aiutato nella gestione e con il denaro ricavato siamo riusciti a coprire tutte le spese. La maggior parte del viaggio, invece, si è svolta con l’aiuto di Wwoofing, Workaway e Helpx, tre servizi che mettono in contatto i viaggiatori con tante realtà agricole, sociali e artistiche con cui si concorda l’ospitalità in cambio di lavoro: un modo di viaggiare che permette non solo di abbattere i costi, ma di vivere un turismo diverso e imparare sempre qualcosa di nuovo. Le spese tecniche di realizzazione del documentario, infine, sono state coperte grazie al crowdfunding”.

Quanto avete speso in tutto durante il viaggio? “Seicento euro, in tre, per sei mesi”.

I pregiudizi degli altri

Prendersi una pausa dal lavoro non è stato facile, Anna e Lucio hanno rischiato molto: lui, che è un regista freelance, ha perso tanti clienti mentre lei, insegnante alle scuole superiori, ha preso un congedo parentale non retribuito. “Ho avuto qualche difficoltà a farlo accettare ai colleghi e al preside – spiega Anna -. I miei genitori l’hanno presa malissimo: mia mamma era così spaventata che ci ha chiesto di darle le targhe di tutte le macchine che ci avrebbero dato un passaggio! Ci siamo resi conto di quanta diffidenza ci sia in Italia verso l’idea di mettersi in viaggio per lungo tempo con i bambini: io e Lucio però siamo stati girovaghi e sappiamo che all’estero le famiglie si muovono senza difficoltà anche con tre o quattro figli, portandoli un po’ ovunque”. Come avete reagito alle resistenze di amici, parenti e colleghi? “Una volta presa la nostra decisione, consapevoli che fosse quella giusta per la nostra famiglia, abbiamo imparato a non ascoltare, ad abbassare un po’ il volume dei commenti”. E a Gaia come avete detto che sareste stati via sei mesi? “I bambini subiscono un po’ sempre le scelte dei genitori. Abbiamo provato a parlarle del nostro progetto, dicendole che saremmo stati via tutta l’estate; ma a 4 o 5 anni non si ha ancora la concezione del tempo”.

Il bello dell’imprevisto

Messi da parte critiche e scetticismi, Anna e Lucio si sono dedicati con impegno a tracciare l’itinerario. “All’inizio abbiamo studiato tutto al millimetro, confezionando un programma così preciso da sembrare quasi una missione di lavoro. Peccato che non avessimo preso in considerazione gli imprevisti!” racconta Anna. E infatti, come da copione, pochi giorni prima di partire arriva una telefonata da Malta, la prima tappa: le persone che avrebbero dovuto ospitarli ritirano la loro disponibilità a causa di un grosso problema di famiglia. Che avete fatto? “Abbiamo deciso di partire lo stesso, sempre da Sud. Inizialmente un po’ impauriti, abbiamo imparato presto ad affidarci all’istinto e alle persone che, tappa dopo tappa, abbiamo incontrato: l’improvvisazione, quella che nella nostra casa di Genova non avevamo calcolato, è diventata la nostra migliore amica”.

Dalla Sicilia all’Austria, a passo lento

Saltata la tappa di Malta, dove vi siete diretti? “Siamo partiti alla volta della Sicilia, destinazione Ciumara Ranni (che in siciliano significa “fiumara grande”), un ecovillaggio nato in un’umida valle sopra Siracusa, un posto magico che si prepara a un’indipendenza energetica totale. Da lì i passaggi con BlaBlaCar ci hanno portato in quasi tutte le regioni d’Italia fino a raggiungere l’Austria, unica meta all’estero.

Siamo stati ospitati da 38 famiglie in cohousing e fattorie didattiche, ecovillaggi vegani, comunità anarchiche e circensi. Il focus del nostro percorso è sempre stato quello di confrontare il nostro modello di famiglia cittadina con quello di chi ha deciso di non delegare parte della propria vita al sistema scegliendo pratiche come l’homeschooling, l’autoproduzione del cibo o la coabitazione”. In tutto questo viaggiare, ci sono stati momenti critici in cui avete pensato di tornare a casa? “Talvolta la stanchezza e la nostalgia hanno preso il sopravvento – ammette Anna -. Gaia ogni tanto chiedeva di tornare a casa a vedere la sua cameretta, mentre io ho invocato tre giorni di vacanza! Ma abbiamo sempre trovato delle strategie. Per Gaia abbiamo istituito la “giornata gaia”: 24 ore in cui era lei a decidere cosa fare e cosa non fare. Io ho imparato a rallentare un po’ laddove mi sentivo stanca e tutti quanti ci siamo presi una pausa dopo i primi tre mesi e mezzo. Abbiamo rallentato, è vero, ma non abbiamo mai pensato di mollare”.

Prima e dopo

Chi erano e chi sono diventati Anna, Lucio e Gaia dopo questo viaggio itinerante? “Eravamo e siamo una famiglia che ha avuto il coraggio di mettersi in discussione. Non vedevamo alternative e abbiamo avuto la forza di provare a osservare e capire dall’esterno quello che ci faceva stare male. Oggi siamo un nucleo più forte, grazie al tempo che ci siamo dedicati e alle peripezie che abbiamo affrontato insieme. Ognuno ci ha messo i suoi talenti. Non era affatto scontato rimanere fuori casa per sei mesi interi, le cose potevano andare male; invece ci siamo scoperti una squadra affiatata e compatta”.

Un’altra vita è possibile?

Nel settembre 2014 Anna e Lucio sono ritornati nella loro casa nel centro di Genova e hanno ripreso subito a lavorare. Ci si sarebbe aspettati un trasferimento in campagna… E invece no.

In che modo è cambiata la vostra vita dopo il viaggio? “Quando abbiamo rimesso piede a Genova, ci siamo sentiti più confusi di quando siamo partiti! Viaggiare ti mette a contatto con così tante esperienze, idee e persone che ci vuole del tempo per metabolizzare. Durante i sei mesi non abbiamo mai pensato di volerci fermare da qualche parte: in fondo siamo partiti alla ricerca di ispirazione, non per trovare un altro luogo in cui vivere. Per capire cosa ci fosse successo e cosa avessimo imparato, ci è stato utile lavorare sul documentario. Rivedere il girato e sceglierne la linea narrativa ci ha illuminati sul maggiore insegnamento del viaggio: il modello educativo dell’homeschooling (o istruzione parentale) per nostra figlia. Oggi Gaia frequenta la seconda elementare non in una scuola tradizionale, ma in un progetto educativo che si chiama Officina del Crescere. Si tratta di un luogo dell’imparare condiviso e gestito dalle famiglie stesse, insieme ad alcuni educatori. Alla base c’è il concetto di pedagogia attiva sul modello Montessori, che permette ai bambini di apprendere in autonomia attraverso l’esperienza, mantenendo vivo il legame con il territorio. Per adesso crediamo che questa sia la scelta giusta per la nostra famiglia. Poi un domani si vedrà: certo Gaia sarebbe contentissima di trasferirsi in mezzo al verde!”.

Unlearning, il docufilm

Un inno a disimparare, disobbedire, mettersi in discussione, andare alla ricerca di un cambiamento. Questo è Unlearning, il docufilm che racconta gli incontri con le famiglie che Anna, Lucio e Gaia hanno conosciuto durante i sei mesi di viaggio e che sta facendo il giro d’Italia. “All’inizio volevamo dare vita a un manuale per persone che cambiano il mondo, poi pian piano il documentario è diventato qualcos’altro: il racconto della crescita di Gaia, il suo sguardo di bambina che osserva queste realtà insieme ai suoi genitori, che crescono con lei”. Sul sito di Unlearning (www.unlearning.it/in-tour) c’è il calendario completo delle proiezioni, a cui spesso partecipano personalmente anche Anna e Lucio (che, in quel caso, chiedono ospitalità in cambio di film e dibattito!). Il successo di pubblico, fino a oggi, è stato straordinario: “Stiamo creando una bella moda, il mio sogno è che dopo la visione del documentario nascano tanti bambini girovaghi!”.

[Serena Carta]

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