Educare non significa rendere felici a tutti i costi, ma accompagnare i figli nella scoperta dei confini, delle emozioni e del rispetto reciproco
Adesso provate a dire NO! Un bel NO che riempia la bocca, rotondo e pieno. Che cosa vi fa provare questo suono?
Per alcuni genitori è un suono rassicurante, che comunica fermezza e protezione.
Per altri, invece, è un suono scomodo, che richiama l’idea del conflitto o del rifiuto.
Eppure, quel “no” è il punto di partenza di ogni relazione educativa autentica.
C’è chi sente forza e chiarezza, chi disagio e paura. Eppure, educare significa anche saper dire no, soprattutto quando quel “no” diventa un atto d’amore.
Educare non significa rendere felici a tutti i costi, ma accompagnare i figli nella scoperta dei confini, delle emozioni e del rispetto reciproco. Tre elementi che, insieme, formano quella che chiamo la teoria delle tre R: Regole, Rabbia e Rispetto.
Tre parole semplici, ma profondamente intrecciate, che possono trasformare il clima familiare e restituire ai genitori un ruolo chiaro e consapevole.
Le regole: il confine che fa crescere
Ogni essere umano ha bisogno di confini per sentirsi al sicuro. I bambini e gli adolescenti, in particolare, trovano nella presenza autorevole dell’adulto una bussola indispensabile.
Le regole, se ben poste, non limitano la libertà: la orientano.
Daniel Siegel, nel suo La disciplina senza drammi, spiega che una regola efficace nasce sempre dal bisogno di sicurezza, non dal desiderio di controllo. In altre parole, “una regola serve a proteggere, non a punire”. Troppe famiglie oggi oscillano tra due estremi: da un lato il permissivismo: “non voglio che mio figlio soffra o si arrabbi”, e dall’altro l’autoritarismo: “le regole si rispettano punto e basta. Ai miei tempi non mi sognavo minimamente di rispondere a mio padre o dire di no a mia madre”.
Entrambe le posizioni generano instabilità: nel primo caso il bambino/adolescente non interiorizza la direzione, nel secondo teme la relazione.
La via educativa più sana è quella della fermezza empatica: saper dire “no” con calore, spiegando il motivo, mantenendo la coerenza, e dimostrando che anche nel limite c’è amore.
Le regole, quando sono chiare, costanti e condivise, permettono ai figli di sentirsi riconosciuti e guidati. Non a caso, studi di psicologia evolutiva mostrano come lo stile genitoriale “autorevole” – caratterizzato da affetto e fermezza insieme – favorisca nei ragazzi migliori competenze sociali, maggiore autostima e un più alto livello di autonomia.
La rabbia: l’emozione che chiede ascolto
La seconda R è la più temuta: la rabbia. Nessun genitore ama vedere un figlio urlare, sbattere porte o chiudersi nel silenzio. Eppure, la rabbia è un’emozione essenziale: un segnale di disagio, un campanello che indica che qualcosa, dentro o fuori di noi, non va come vorremmo.
Spesso, la difficoltà non sta nella rabbia del figlio, ma in quella del genitore. Ci sentiamo messi in discussione, colpiti, sfidati. Eppure, come ricorda Isabelle Filliozat in Te lo dico perché sei tu, “la rabbia è una forza vitale: reprimerla la trasforma in colpa o paura, ascoltarla la trasforma in conoscenza”.
Imparare a stare nella rabbia, senza negarla né esploderla, è un atto educativo potente e coraggioso. Quando un genitore riesce a restare calmo davanti alla tempesta emotiva del figlio, trasmette un messaggio profondo: “Puoi arrabbiarti, e io resto qui. Non perdo la relazione, anche se ora è difficile. Ti voglio bene comunque e sono qui per te quando vorrai”. Questo è il vero modello di autoregolazione emotiva: non reprimere, ma contenere; non giudicare, ma comprendere.
Anche Daniel Goleman, nel celebre Intelligenza Emotiva, sottolinea come la capacità di riconoscere e regolare le emozioni, proprie e altrui, sia la chiave per relazioni sane e resilienza psicologica.
Dunque, non temiamo la rabbia: impariamo a darle un nome, a osservarla, e a trasformarla in dialogo. E soprattutto non pretendiamo di instaurare un dialogo quando i nostri figli adolescenti sono arrabbiati: quello non è il momento per parlare. E’ il momento per lasciare a loro il tempo buono per metabolizzare e capire cosa ha “innescato la bomba”.
Il rispetto: la radice della relazione
La terza R è quella che tiene insieme tutte le altre: il rispetto. Molti genitori desiderano che i figli imparino a rispettare le regole, ma dimenticano che il rispetto non nasce dall’obbedienza: nasce dall’esperienza di essere rispettati. Il rispetto non è un atto formale, ma una qualità del modo in cui si sta in relazione. È ascoltare senza interrompere, accogliere le emozioni altrui anche quando non le comprendiamo, usare parole che non feriscono. È, soprattutto, ricordare che il figlio non è “una nostra estensione”, ma un individuo in formazione, con la propria identità e il proprio ritmo. Un figlio che si sente rispettato sviluppa un senso profondo di valore personale; un adolescente rispettato diventa capace di rispettare gli altri. Il rispetto è la radice della sicurezza interiore, la condizione per cui le regole non sono percepite come imposizioni, e la rabbia può essere espressa senza distruggere la relazione.
Le tre R come bussola educativa
Regole, rabbia e rispetto non sono tre concetti separati: sono tre dimensioni che si sostengono a vicenda. Le regole danno forma alla convivenza, la rabbia dà voce alle emozioni, il rispetto tiene unita la relazione. Quando queste tre forze convivono in equilibrio, la famiglia diventa una piccola comunità di crescita, in cui tutti – genitori e figli – imparano l’arte più difficile: stare in relazione senza perdere se stessi. Come scrive Alfie Kohn in Amare senza condizioni, “l’amore non è un premio per chi si comporta bene, ma il terreno su cui far crescere la responsabilità e la libertà”.
Le tre R, allora, non sono regole da applicare, ma atteggiamenti da coltivare.
E ogni volta che riusciamo a dire un “no” chiaro, a gestire la rabbia con calma, o a guardare nostro figlio con rispetto anche nella divergenza, stiamo insegnando – più che con mille parole – come si costruisce una relazione sana, viva e autentica. Perché essere genitori significa essere guide e non giudici, essere presenti con responsabilità e autenticità. I nostri figli imparano seguendo il nostro esempio. Che esempio scegli di essere tu?
Di Antonella Beggiato, coach per famiglie e adolescenti
Libri per approfondire
Daniel J. Siegel & Tina Payne Bryson, La disciplina senza drammi (Rizzoli, 2017)
Haim G. Ginott, Genitori e figli (Bompiani, 2019)
Isabelle Filliozat, Te lo dico perché sei tu (Sperling & Kupfer, 2018)
Daniel Goleman, Intelligenza emotiva (Bur, 2019)
Adele Faber & Elaine Mazlish, Come parlare perché i figli ti ascoltino e come ascoltare perché ti parlino (Mondadori, 2016)
Alfie Kohn, Amare senza condizioni (Macro Edizioni, 2014)






































