Stereotipi in movimento tra identità, coraggio e libertà. La storia di Francesco
Nel mondo dello sport, il corpo è protagonista. Ma spesso, più che il corpo, è il genere a decidere cosa è “giusto” praticare. Danza classica per le femmine, calcio per i maschi. Rugby per i ragazzi, ginnastica per le ragazze. Bambine che scelgono sport considerati “maschili” spesso si trovano a dover giustificare la propria scelta. E i maschi subiscono ancora più pressioni: devono essere forti, competitivi, virili. Devono evitare sport “delicati” o “artistici”, pena la perdita di status.
Secondo i dati ISTAT, in Italia solo l’1,3% dei bambini tra i 3 e i 10 anni pratica danza o ballo, contro il 30,7% delle bambine. Un divario che non si spiega con la fisiologia, ma con la cultura: in altri paesi europei le percentuali raccontano un’altra realtà, per non parlare del continente americano, dove il ballo è una pratica che appartiene a tutti, maschi e femmine, giovani e vecchi, legata alla tradizione e alla condivisione degli spazi collettivi.
Ma qualcosa, per fortuna, sta cambiando. Sempre più bambini si sentono liberi di sperimentare, e sempre più adulti si interrogano sul ruolo educativo dello sport come spazio di libertà e autodeterminazione.
Francesco: la danza allena tutti i muscoli
Francesco ha undici anni e ha scoperto la danza grazie a una compagna di classe. “Mia mamma, che conosceva bene il mio interesse per la musica e il ballo, mi ha proposto di provare. Praticava la danza da piccola e mi ha trasmesso la sua esperienza positiva.
Ero incuriosito ma titubante perché non conoscevo nessuno, così quando la mia compagna di classe mi ha consigliato il suo corso, e sapevo che avremmo potuto andare insieme, ho deciso di lanciarmi. Mi è piaciuto subito, e dopo il primo anno di corso, che mi ha impegnato due pomeriggi a settimana, ho capito che è uno sport che voglio continuare.
La cosa che amo di più? La musica che ci propone la nostra insegnante, che mi fa sempre sentire a mio agio. E poi il fatto di ballare insieme e sentirsi parte di un gruppo. Solo provando ho capito che è uno sport completo, che allena molto i muscoli, tutti i muscoli”.
Perché dire che è da femmine?
Francesco parla con entusiasmo, ma anche con consapevolezza, sa che la sua scelta non è scontata.
“All’inizio era un po’ strano, perché facevo danza maschile, che è diversa da quella femminile ed ero solo. Ma poi ho iniziato a fare lezione con Alberto – che tra l’altro ha anche vinto tanti premi in competizioni di danza a cui ha partecipato – e non è stato più strano”.
Francesco ha sentito spesso frasi come “la danza è da femmine” oppure “ma perché proprio danza?” , e non le ha lasciate passare.
“Quelle frasi e qui giudizi, mi fanno un po’ arrabbiare. La mia risposta istintiva è: ‘Ma se non l’avete mai provata, perché dite che è per femmine?’ Esistono maschi molto bravi che la praticano, e non capisco quando i miei compagni di scuola mi giudicano e prendono in giro su una cosa che non conoscono e non hanno mai provato”.
Secondo Francesco, il problema inizia dagli adulti. “Io credo che molti bambini non la provino perché i loro genitori sono i primi a pensare che si tratta di uno sport da femmine. E allora hanno paura di essere presi in giro. Ma è normale, anche io all’inizio avevo questa paura”. Un grande supporto per Francesco è arrivato da genitori e nonni, che apprezzano la sua determinazione nel portare avanti un messaggio chiaro: non lasciarsi fermare dai pregiudizi.
“Adesso, a distanza di più di un anno, non ho più timore di essere giudicato. E se qualcuno mi prende in giro, vado avanti e faccio finta di non sentire. Secondo me la danza è disciplina per tutti”.
Educare alla libertà: lo sport come spazio di espressione
L’esperienza di Francesco ci ricorda che lo sport non è solo competizione, ma anche espressione, identità, libertà e appartenenza. E che educare oltre gli stereotipi significa permettere a ogni bambina e bambino di scegliere lo sport che ama, senza paura di essere giudicato. “È un peccato che la danza, un’attività così bella, non includa metà dei bambini, cioè i maschi. A quelli che sono incuriositi, dico di avere coraggio e di non dare importanza alle cose brutte e sgradevoli che a volte ti dicono. La danza è uno sport, ma anche un’arte. È adatta a tutti, perché esistono varianti diverse. E questo è il bello: ci sono tanti modi di fare danza, e basta questo per farci capire che è una disciplina per tutti”.
Superare gli stereotipi: serve un impegno strutturale
Anche se sono i bambini a insegnarci che possiamo costruire un mondo in cui le scarpe da ballo e i palloni non abbiano più genere, per superare gli stereotipi e rendere lo sport uno spazio davvero inclusivo, servono azioni concrete, come quelle promosse dall’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere (EIGE).
Tra le misure già adottate, molte federazioni europee e alcuni paesi, come Francia, Germania e Svezia, hanno avviato obiettivi volontari per l’equilibrio di genere nelle strutture sportive. Ma non basta: l’EIGE suggerisce di integrare una prospettiva di genere in tutte le fasi delle politiche sportive — dalla progettazione all’attuazione — attraverso il cosiddetto gender mainstreaming. Inoltre, propone programmi di tutoraggio, dibattiti pubblici e campagne di sensibilizzazione per smantellare i ruoli prescrittivi che ancora condizionano lo sport.
Per agire con efficacia è fondamentale raccogliere dati disaggregati per sesso e creare indicatori comparabili a livello europeo; solo così è possibile monitorare i progressi e costruire politiche che rispondano davvero alle esigenze di tutti.
Perché la danza, come ogni disciplina sportiva, non è un affare da femmine o da maschi. È un affare di libertà, di sogni da inseguire e corpi e sentimenti da rispettare.