Mamma, papà, ho un amico immaginario

L’amico immaginario è una tappa naturale nello sviluppo emotivo dei bambini. Stimola creatività, empatia e aiuta a costruire relazioni autentiche

Chi ha visto Inside Out ricorderà Bing Bong, l’amico immaginario della protagonista: un elefantino rosa che piange caramelle e si sacrifica per lei. L’amico immaginario, spesso temuto dai genitori, è in realtà una manifestazione frequente e sana dello sviluppo infantile, soprattutto nei figli unici o in bambini con fratelli molto più grandi.

Compare dopo i tre anni, quando il bambino acquisisce le competenze cognitive ed emotive per dare forma alle sue fantasie. Non è segno di disagio psicologico, ma una strategia creativa per sperimentare l’amicizia, la socialità e l’intimità. Si tratta di una capacità simbolico-astratta che coinvolge l’intelligenza creativa e che può anticipare, ma non sostituire, le relazioni tra coetanei. In questa fase emergono anche l’umorismo e l’empatia. Il gioco simbolico inizia intorno ai due anni e si evolve fino a includere persone immaginate: il bambino non ha più bisogno di un oggetto concreto, gli basta pensarlo. Il genitore deve rispettare questa individualità, evitando domande invadenti, ironie o eccessiva serietà.

L’amico immaginario è una parte di sé, un modo per esplorare bisogni e desideri, rafforzare l’autostima e prepararsi al confronto con la realtà. Origliando con discrezione, i genitori possono cogliere spunti preziosi su come relazionarsi con il figlio.

Le funzioni psicologiche dell’amico immaginario

Secondo Omar Fassio, psicologo e psicoterapeuta, l’amico immaginario può rappresentare un ideale di sé, una parte negativa da elaborare, o un portavoce per esprimere bisogni con distacco. È una figura che accompagna il bambino nel suo percorso di crescita e che scompare quando ha esaurito le sue funzioni. Il sorriso, spesso associato alla gioia, è in realtà un facilitatore sociale: sorridiamo per mettere a proprio agio l’interlocutore, non necessariamente perché siamo felici.

Le emozioni espresse dal volto, come dimostrato da Paul Ekman, sono universali e biologicamente determinate, ma possono essere modulate dalla cultura. Ekman ha identificato le micro-espressioni e le display rules, e ha sviluppato il sistema FACS per analizzare i movimenti facciali. Tuttavia, altri studiosi come Fernandez-Dols mettono in discussione l’universalità delle emozioni, mostrando come espressioni intense possano essere ambigue. Il silenzio, infine, è anch’esso comunicativo: può indicare ambiguità, intimità o rispetto dei ruoli sociali. L’amico immaginario, in tutte le sue forme, è una tappa preziosa e delicata nel viaggio verso l’autonomia.

Pubblicità
Pubblicità

I più letti

I più letti

100 cose da fare con i bambini

Si chiama “toddler bucket list” e serve tantissimo quando c’è tempo libero e manca l’ispirazione. Una lista di cose da fare con i bambini a casa e all’aperto