Della Pasqua e della transizione proteica

da | 26 Mar, 2024 | Green, Lifestyle, Tutto food

E se la festa diventasse l’occasione per ripensare il nostro modo di mangiare? Le scelte giuste per la Pasqua

Le feste del nostro calendario sono dettate da ricorrenze religiose, laiche, tradizionali o inventate ad arte per creare impulsi commerciali che ormai dominano anche i momenti più solenni. Finito il carnevale, tempo di eccessi per eccellenza, ci sI incammina nei quaranta giorni (Quaresima) che ci portano alla Pasqua. Un periodo che per i cristiani prevede(va) anche il digiuno e che, con il passare del tempo, è diventato meno rigido con l’indicazione di mangiare di magro (cioè senza carni ed eccessi), sino a quella più soft di evitare la carne e i grassi animali il mercoledì delle Ceneri e il venerdì.

Sembra quasi un suggerimento per un regime alimentare più leggero e salutare che già molti praticano quotidianamente. Le settimane che precedono la Pasqua potrebbero, quindi, essere un’occasione per ripensare un po’ alla nostra dieta e attuare quella transizione proteica – meno carne (ma buona e proveniente da allevamenti che rispettano l’ambiente e il benessere animale) e più legumi – che medici e ambiente ci invitano ad attuare al più presto. 

I sapori unici delle primizie selvatiche

Dopo il buio intervallo invernale, i prati e gli alberi da frutto prendono vita, i contadini preparano il terreno per le grandi semine e gli orti iniziano ad animarsi. Questa risurrezione della natura torna a donarci frutti preziosi. Allora perché non approfittare delle ore di luce in più per una gita in campagna alla ricerca di sapori freschi e sinceri delle primizie selvatiche: asparagi, agretti, spinaci e ortiche per preparare succulenti piatti della tradizione dalle frittate alle torte salate, alle zuppe (molte idee si possono trovare su Erbe spontanee a tavola, Slow Food Editore)?

Oggi questi doni della natura ci ricollegano direttamente al cosiddetto foraging (ci può essere d’aiuto l’Atlante gastronomico delle erbe di Andrea Pieroni): un’attività vecchia quanto l’uomo e che è stata custodita per secoli dalle donne, vere conoscitrici delle proprietà e dei sapori di ciò che spontaneamente la natura ci offre. Oltre la natura, l’intelligenza e il savoir-fair di generazioni ci consegnano anche prelibati e originali dolci di più semplice fattura, senza sfoggio di molti ingredienti e creme, destinati a ricordare il carattere penitenziale della Quaresima. 

Dolci semplici della tradizione

Ogni regione ne vanta un’ampia scelta: dai friulani, di forma romboidale, senza uova e burro, con una grattata di scorza di limone, ai toscani di colore scuro, dato dallo zucchero caramellato, per ricordare il lutto della Chiesa per la morte di Cristo e dalle forme caratteristiche la A (alfa), la O (omega) e la M di “memento”.

Mandorle e scorza d’arancia caratterizzano i dolci siciliani conosciuti in provincia di Trapani come taglian’cozzi. Poi ci sono gli invitanti genovesi ricoperte di glassa la cui origine è attribuita alle suore agostiniane o gli austeri lucani (altre preparazioni su I dolci delle feste, Slow Food Editore). Prodotti che hanno loro radici profonde nella tradizione rurale come molti simboli che caratterizzano questo periodo, ad esempio la luna e le uova. 

Tempo di pace e rinnovamento della vita

Mentre le altre date delle festività religiose sono fisse, quella della Pasqua varia ogni anno ed è calendarizzata nella prima domenica che segue la luna piena dopo l’equinozio di primavera. Il risveglio della natura coincideva anche con il risveglio delle comunità. Sono di questo periodo molti rituali che avevano la funzione di mantenere e rafforzare la vita delle realtà rurali dopo il torpore invernale. Ed è in questo contesto che si inseriscono usanze come la questua delle uova – simbolo di fecondità perché embrioni della vita – che, sul finire del periodo quaresimale, si effettuava nelle cascine lontane dai centri abitati al fine di ricostruire la socialità del paese depotenziata dall’isolamento invernale.

Tra queste, la più diffusa (e ancora attiva) almeno tra le colline di Langa e Roero, è il Canté j’euv (Cantare le uova): gruppi di giovani, nel cuore della notte, passano di cascina in cascina, cantando e ballando, ricevendo in cambio delle uova o altri prodotti della campagna. Non solo risveglio della natura, quindi, ma anche inclusione e dialogo tra realtà diverse, tempo di pace, di rinnovamento della vita, che caratterizzavano le comunità rurali: aspetti di cui abbiamo estrema necessità in questo periodo storico.

Di Valter Musso
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