Mettersi in proprio. La conciliazione tra essere mamma e partita Iva

da | 27 Nov, 2018 | Lifestyle, News, Persone

I liberi professionisti fanno più fatica dei dipendenti e spesso le mamme che decidono di mettersi in proprio sono costrette a scegliere tra lavoro e famiglia. Ma il mondo del lavoro sta cambiando. Abbiamo chiesto a Valentina Simeoni, autrice del libro “Mamme con la partita Iva”, di guidarci in questo mondo, libero ma non troppo.

Flessibili, precarie, sempre libere o troppo occupate. Essere lavoratrici in proprio significa dover essere persone intraprendenti, curiose, a volte persino sfacciate. Le donne che per scelta o per destino sono diventate libere professioniste, abituate al fare i conti con il rischio dell’instabilità, a volte mettono in dubbio la possibilità di avere una famiglia.

Ma forza e coraggio, care mamme autonome!  Qualcosa sta cambiando (anche se molto lentamente).

I numeri delle partite Iva in Italia

Sono più di cinque milioni i lavoratori autonomi in Italia, secondo le stime dell’Istat nel emse di novembre 2018. Oltre tre milioni di uomini e un milione e mezzo di donne.

L’età degli autonomi è relativamente alta: sopra i 35 anni. Questo vuol dire che lavoratori indipendenti si diventa, per scelta o perché obbligati. E che la maggior parte degli autonomi è in età da mettere su famiglia.

Le mamme lavoratrici autonome

Sempre secondo i dati dell’Istat, le mamme con partita Iva sono circa mezzo milione. Queste donne, più delle altre, si dividono tra clienti, lavoro di cura, allattamento e consulenze.

Il loro numero sembra destinato a crescere, perché sono numerosi i settori che spingono le donne ad aprire la partita Iva, sia per le caratteristiche dei nuovi lavori “al femminile”, sia per convenienza economica dei datori di lavoro.

I congedi per i genitori autonomi

Chi vuole mettersi in proprio deve sapere che tendenziamente sarà svantaggiato quando si parla di congedi e permessi. La loro concessione è infatti un affare piuttosto recente.

Nel luglio 2016 l’INPS ha messo in atto quanto stabilito dal Jobs Acts, l’ultima riforma del diritto del lavoro in Italia. In tema di conciliazione sono stati definiti i criteri e condizioni per i congedi di maternità e paternità per i lavoratori autonomi.

L’indennità di gravidanza, per la mamma lavoratrice autonoma, è riconosciuta due mesi prima del parto e per i tre mesi successivi. Al padre spettano tre mesi dopo il parto, ma solo se la mamma è completamente assente.

Durante i periodi indennizzabili a titolo di maternità (o paternità) la lavoratrice ha diritto a percepire un’indennità pari all’80% della retribuzione giornaliera stabilita annualmente dalla legge per il tipo di attività svolta. Attenzione però: l’indennità non comporta l’obbligo di astensione dall’attività lavorativa autonoma! In pratica: le lavoratrici autonome possono continuare a lavorare con il bambino appresso.

Il libro che racconta le mamme libere professioniste

“Mamme con la partita Iva”, edito da Sonzogno, è un libro che raccoglie storie come quelle vissute in prima persona dall’autrice, Valentina Simeoni. Valentina è ricercatrice, libera professionista e madre.

Nel libro dà informazioni pratiche per aiutare chi vuole aprire una attività in proprio. Ci sono le tipologie di partita Iva, vengono spiegati i congedi e diritti degli autonomi e come accedervi. E ovviamente si offrono consigli sulla gestione del tempo e degli spazi.

Valentina Simeoni racconta di madri libere professioniste, ma che libere non sono mai davvero. Perché combattono ogni giorno con un mondo che mette il lavoro contro la vita e si ostina a vedere la maternità come un limite.

A dirci che può essere invece una risorsa ci pensano loro, tutte le (stra)ordinarie donne protagoniste dell’indagine.

Le difficoltà del diventare mamma con una partita Iva

I problemi non sono delle mamme, sono mancanze di un sistema. “Mancano tutele reali – commenta l’autrice -. E mancano riferimenti e sportelli efficaci, perché spesso riuscire a ottenere ciò che spetta di diritto diventa complicatissimo”.  Questo è il grande buco nero delle partite Iva. Gli stessi funzionari INPS fanno fatica a seguire questi “casi strani”.

Manca anche lo spazio. “Chi ha la partita Iva lavora sempre o parzialmente da casa. Con l’arrivo di uno o più figli, spesso il primo spazio a essere sacrificato è quello che la donna utilizzava per lavorare. Ovviamente questo comporta un cambiamento in termini cognitivi e pratici”.

Sì, ammettiamolo, lavorare in salotto, in cucina o dove capita, rende molto difficile la concentrazione e la distinzione fra tempi del lavoro e tempi della vita affettiva.

Infine, ça va sans dire, c’è la cronica mancanza di tempo, ma questo probabilmente vale per tutte le mamme.

Una cultura di sostegno

Se i liberi professionisti fanno fatica a immaginarsi genitori e a fare il grande salto di diventare tre è perché l’ambiente che c’è intorno non aiuta per niente.

“Dalle interviste e storie raccolte nel libro emerge che alle madri con partita Iva – dice Valentina Simeoni – manca un contesto culturale di sostegno, prima di tutto familiare. Mi riferisco al partner, alla famiglia, alle reti più o meno salde attorno alla mamma. Il sostegno deve essere anche economico, capace di comprendere e rispettare la specifica dimensione del lavoro libero professionale svolto da una donna”.

Ci sono anche i pro

Messo così, il lavoro autonomo sembra quasi una condanna, tuttavi ci sono anche i vantaggi. E non sono pochi.

“Senz’altro chi sceglie di mettersi in proprio avrà flessibilità organizzativa, cioè la possibilità di autogestire i propri tempi lavorativi e, in alcuni casi, anche gli spazi lavorativi”.

La mamma lavoratrice autonoma sa che una parte del suo lavoro andrà svolta mentre il neonato dorme o mentre  si intrattiene con qualche palestrina o cestino pieno zeppo di giochi. Ma se non dorme o ha bisogno della mamma, lei è lì con lui, senza dover delegare.

“Non potrei accudire mio figlio così se fossi impiegata stabilmente in un’agenzia, perché dovrei essere in ufficio a orari determinati e chiedere ogni volta dei permessi”.

Tutto questo si traduce in una grande opportunità: quella di essere molto presenti nella vita dei propri figli. Ma anche, in quanto persone, di coltivare aspirazioni, sviluppare progetti, farsi autrici di sé stesse in quanto professioniste.

Cosa chiedono le mamme autonome

I genitori hanno bisogno di risposte molto pratiche e semplici. Un accesso più semplice, trasparente e inclusivo all’indennità di maternità (o paternità).

Serve la possibilità di accedere, a costi facilitati perché spesso non sono alti i loro fatturati, a spazi di lavoro condiviso (coworking) soprattutto nella fase di ripresa dell’attività lavorativa.

Servono voucher specifici per poter usufruire dei servizi alla prima infanzia;

Infine i servizi per la prima infanzia: indispensabili nuovi modelli che tengano conto, per esempio in termini di orario, dei ritmi di vita e lavoro tipici della libera professione, con picchi, scadenze e orari non canonici.

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