Sharenting: quando la famiglia va online 

da | 5 Set, 2023 | da non perdere, Lifestyle, Soldi e Diritti, Tech

Condividere la genitorialità online è una pratica normalizzata, ma quali sono le conseguenze sui figli delle abitudini dei genitori digitali?

Cosa significa oggi essere genitori di nativi digitali, ovvero di bambini cresciuti in un mondo di schermi e connessioni in rapida evoluzione, lo sappiamo bene.

Ma il fatto di essere la prima generazione di genitori “digitali” passa spesso in secondo piano: tra social, registri elettronici, informazioni di ogni genere, le sfide della genitorialità si intrecciano con le nuove frontiere tecnologiche e prendono nuove forme. 

Consigli, confronti, scambi: Internet rende tutto più accessibile e colma il vuoto per le famiglie, che sono sempre più isolate. Condividere le proprie storie e ascoltare quelle degli altri può essere di grande aiuto. Ma non solo: in rete, in particolare sui social, si celebrano eventi privati come l’ultimo giorno di scuola o il compleanno, e ognuno costruisce, a volte inconsapevolmente, la narrazione della propria famiglia.

Siamo quindi noi i pionieri della nuova genitorialità digitale e le riflessioni che nascono da questa constatazione sono tante. 

Perché condividiamo contenuti privati online? I social hanno cambiato il nostro modo di essere genitori? E quali sono le conseguenze dell’utilizzo che ne fanno i genitori sui ragazzi, non dimenticando che i bambini accedono per la prima volta al mondo digitale attraverso i dispositivi dei loro genitori?

Di sharenting e altre pratiche genitoriali su Internet abbiamo parlato con Alberto Rossetti, psicoterapeuta e autore di “La vita dei bambini negli ambienti digitali, di Edizioni Gruppo Abele.

Costruire il racconto della genitorialità

Nei paesi in cui la maggior parte della popolazione ha accesso a Internet, tre genitori su quattro condividono immagini e video dei figli in rete.

La parola sharenting è un neologismo composto da to share e parenting, e si riferisce alla pratica, occasionale o meno, di condividere aspetti o episodi della vita o riflessioni sulla propria esperienza di genitorialità, ed è ormai in uso da una decina di anni, ovvero da quando esistono i social.

“Lo sharenting nasce dai primi blog – spiega Alberto Rossetti -. Era il 2008 quando una donna, mamma di un bambino autistico, pubblicava sul proprio blog una lettera in cui si lamentava di come era stato trattato suo figlio al supermercato. Seppur molto più lentamente rispetto a ora, la lettera diventò virale ed ebbe un grande impatto mediatico”.

Poi arrivano i social network: cambiano le modalità, i contenuti, e spesso anche le finalità. “Una rete che aggrega utenti e contenuti mediati da algoritmi, piattaforme che puntano a intrattenere e trattenere i propri utenti”. La genitorialità sui social oggi è un contenuto come gli altri, raccontata attraverso riflessioni e foto. “Anche chi ha la tendenza, tutta nuova, di mostrare una genitorialità imperfetta, fatta di debolezze e difficoltà, sceglie ugualmente cosa mostrare e cosa no, seguendo un proprio stile comunicativo. E questo non è normalizzare la genitorialità, ma costruirne una versione ritagliata a piacimento”.

Tanti modi di fare sharenting

Normalizzare la condivisione porta a pubblicare foto, video e racconti che riguardano i nostri figli.  È lecito o educativo, accettabile, oppure dannoso e da condannare? 

“Pubblicare le foto dei figli non è un’azione di per sé negativa – sostiene Rossetti -. Ci sono, a grandi linee, tre orientamenti. I primi sono i genitori che pubblicano ogni tanto foto di vacanze o eventi per raccontare in maniera positiva o condividere la crescita dei figli con amici e parenti. 

Poi ci sono i genitori che cercano il confronto tra pari: da come gestire il rapporto con i maestri alla scelta dei palloncini per la festa di compleanno. E’ il tipo di orientamento su cui lavorano gli influencer, ma ovviamente con un pubblico più ristretto. Non si tratta di narcisismo ma, semplicemente, si sente la necessità di un confronto attraverso questi canali in discussioni da aprire e chiudere a piacimento. 

Infine ci sono le persone che organizzano i contenuti in maniera più strutturata, riuscendo a ottenere guadagni dalla condivisione della propria genitorialità. Questi papà e queste mamme permettono a migliaia, ma anche a milioni di sconosciuti di entrare in casa propria e mostrano frammenti, ovviamente selezionati, della vita privata dei propri figli. Questo avviene in particolare attraverso le Stories di IG, che ti ‘proiettano’ dentro le case altrui in un secondo”.

Inutile negarlo, ma tutti ci siamo chiesti, almeno una volta, cosa penseranno tra 20 anni i figli dei genitori digitali a tutti gli effetti, ovvero gli influencer, oggi piccoli, quando chiederemo loro un parere sulla scelta dei propri genitori di condividere la prima pappa con milioni di sconosciuti, che sapranno nei dettagli com’erano e cosa facevano quando erano piccoli.

“Ancora non lo sappiamo. Potrebbero non trovarsi d’accordo con questa scelta o fare fatica ad allontanarsi da questa dinamica. Quello che possiamo immaginare può essere una reazione legata alla difficoltà a uscire dal racconto che i genitori hanno realizzato, da quell’immagine di figlio o figlia sempre felice che non è detto sia reale. È probabile che i ragazzi, da adulti, entrino in contrasto con questo racconto idealizzato”.

Genitori digitali e assenza di confini

Quando la condivisione della propria esperienza genitoriale diventa assidua, la prima immagine che ci viene in mente è la totale assenza di confini.

“Sui social è difficile tenere i confini tra genitori e figli, e anche tra pubblico e privato. I ragazzi sono il prodotto della società e dell’ambiente in cui vivono. Spesso sono gli adulti a insegnare ai piccoli che avere tanti followers è una gran bella cosa, e che può portare guadagno. Per questo quando poi vediamo dei ragazzi che trasformano in un vero lavoro la loro presenza sui social dovremmo riflettere prima di puntare il dito. 

Sono cresciuti in un decennio in cui la vita online è stata normalizzata. All’inizio sembra una novità, ma poi diventa un’abitudine. Negli anni ’80 e ’90 il cambiamento culturale passava dalla TV: abbiamo normalizzato programmi come il Grande Fratello o altri che erano considerati moralmente discutibili.  

Ora, però, nell’era dei social ci sono anche i bambini di mezzo. Sono molto più presenti di prima, quotidianamente e inconsapevolmente”.

Più contenuti e creatività, meno bambini

Nel saggio di Alberto Rossetti, un dato che emerge è forse più importante di altri: più i bambini sono piccoli e più finiscono in rete.

Eppure nel Commento generale 25 delle Nazioni Unite sui diritti dei minorenni in relazione all’ambiente digitale, ‘lo sharenting viene considerato un comportamento molto discutibile e pericoloso: ma i bambini come possono essere tutelati?

“Per il momento in nessun modo, purtroppo. Si tratta di una zona grigia difficilmente risolvibile. Non possiamo pubblicare le foto degli altri ma siamo responsabili dell’immagine dei nostri figli. 

Se non siamo d’accordo con questi modelli, dovremmo iniziare seriamente ad avere un atteggiamento più critico, almeno laddove sono presenti bambini in contenuti social finalizzati al guadagno, oppure esposti al puro intrattenimento di migliaia di sconosciuti. Insomma, al momento possiamo fare molto di più a livello culturale che normativo”.

Sui social però c’è anche chi produce contenuti di qualità: nel caso della genitorialità, ad esempio, capita spesso di seguire pediatri, educatori o parent coach che condividono pezzi della propria vita in famiglia a scopo divulgativo.

“Chi produce materiali divulgativi di valore potrebbe fare la scelta di lasciare fuori i bambini. Il contenuto sarà meno ‘potente’ e raggiungerà meno persone nell’immediato, ma sono proprio queste persone che possono lanciare un segnale. 

Ricordo uno dei primi blog che ho seguito sulla genitorialità – Nonsolomamma di Claudia De Lillo:  usava nomi inventati e aveva creato un racconto fantastico per parlare di temi in cui tutti si potevano riconoscere.

Forse dovremmo tornare a essere ‘diversamente’ creativi, inventare di più e lasciare da parte le immagini dei bambini, anche se catturano l’attenzione più velocemente. Ognuno di noi può scegliere cosa seguire e cosa no: questa è l’unica arma a nostra disposizione quando accediamo alla vita online”. 

alberto rossetti

Cosa dice il Garante per l’infanzia:
www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/la_tutela_dei_minorenni_nel_mondo_della_comunicazione.pdf

sharenting

 

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