I programmi di Parental Control nascono per tutelare i bambini da quel che vedono sullo schermo. Sono strumenti utili, ma da soli non bastano
di Roberta Franceschetti, co-fondatrice di Mamamò
Sto caricando la lavastoviglie e ho lasciato mia figlia Vittoria sul divanetto della cucina, a guardare i suoi cartoni animati preferiti su YouTube. Mentre chiudo lo sportellino del detersivo, sento una manina che mi tira la camicia. È Vittoria, che mi porge il tablet e mi chiede di cambiare il cartone animato perché “Peppa Pig è cattiva”.
Sorpresa, prendo in mano il dispositivo e scopro che mia figlia di 4 anni stava guardando una parodia in chiave splatter di uno dei personaggi più amati dai bambini.
Non è un racconto dell’orrore. Episodi simili sono realmente successi ad alcuni genitori dopo il lancio di YouTube Kids nel 2017, l’applicazione della piattaforma di videosharing pensata appositamente per i bambini dai 2 agli 8 anni.
Gli algoritmi non sono infallibili
Stando ai dati di Ofcom, una organizzazione no-profit del Regno Unito, il 73% dei bambini inglesi tra i 5 e i 15 anni utilizza YouTube. Il sistema fa concorrenza alla televisione come interfaccia abituale dei più giovani per guardare cartoni, ascoltare musica o seguire il proprio programma preferito.
Peccato che la piattaforma americana non sia nata per avere tra i suoi utenti i bambini (aprendo così la strada a grossi interrogativi circa il trattamento dei loro dati) e, soprattutto, per filtrare i contenuti non adatti ai minori.
Forse per queste ragioni, i vertici di Google (che è proprietario di YouTube) hanno deciso di lanciare l’app YouTube Kids, dedicata ai bambini con contenuti idonei in un ambiente protetto.
Questo almeno nelle intenzioni, perché in alcuni casi l’algoritmo predisposto a filtrare i contenuti ha mostrato qualche falla, non riuscendo per esempio a distinguere un cartone animato da una parodia splatter pensata per adulti.
Contenuti non appropriati
In seguito a questi e altri scandali che hanno investito anche la piattaforma principale, il colosso di Mountain View è corso ai ripari, annunciando la chiusura di 50 canali.
I video che veicolavano messaggi inappropriati o in cui i bambini apparivano in uno stato emotivo sofferente o di disagio sono stati rimossi.
“I revisori umani rimangono essenziali, sia per rimuovere i contenuti sia per addestrare i sistemi di machine learning, perché il giudizio umano è fondamentale per prendere decisioni che tengano conto del contesto di ciascun contenuto”, ha spiegato Susan Wojcicki, amministratrice delegata della piattaforma.
Quando l’app YouTube Kids è arrivata finalmente in Italia, nel 2018, ha offerto ai genitori un sistema articolato di parental control.
Questo sistema consente per esempio di disattivare la funzione di ricerca e di far navigare i bambini solo tra contenuti preselezionati dal team. Se si trovano contenuti non appropriati, l’app consente al genitore di inviare una segnalazione per farli rimuovere. Il che ammette implicitamente la fallibilità dei sistemi di filtro automatici e ci conduce al quesito fondamentale che si pongono molti genitori: possiamo affidare la sicurezza dei nostri figli rispetto all’universo digitale a un software?
I sistemi di parental control sono utili?
Che peso ha la presenza dell’adulto quando un bambino è davanti a uno schermo? La risposta, come tutto ciò che riguarda la genitorialità, non può essere liquidata facilmente. Iniziamo ad articolarla in più domande.
Sì, i sistemi di parental control possono essere utili nella gestione dei dispositivi all’interno della vita familiare. Lo sono soprattutto con i bambini più piccoli, per inibire l’accesso a contenuti non appropriati o a contatti con sconosciuti, creando per esempio un ambiente di navigazione chiuso. Lo sono invece molto meno per regolare l’uso degli schermi e quando i bambini crescono.
Restringere i contenuti accessibili
Il primo utilizzo dei sistemi di parental control è proteggere da immagini o riferimenti che possono spaventare o turbare i più piccoli perché contengono violenza, sesso o trivialità. In questo caso, per esempio, i sistemi di sicurezza offerti di default dagli smartphone permettono di precludere l’accesso a Internet e quindi i contatti con altri utenti e contenuti diversi dalle app sicure scaricate sul dispositivo da papà e mamma.
Nel caso il bambino abbia un telefonino proprio, si può creare un account “figlio” collegato al nostro e stabilire, per esempio, che possa scaricare solo app adatte a minori al di sotto dei 12 anni. In questo caso il genitore dovrà fornire, dal proprio telefono, l’autorizzazione al download e quindi avrà sott’occhio i contenuti che il figlio sta utilizzando.
“Screen time”, tra controllo ed educazione
Se pensiamo invece alle regole d’uso degli schermi, l’utilizzo di sistemi di parental control è di utilità più dubbia, perché si sostituisce a un sistema di autodisciplina che dovrebbe essere acquisito nel tempo dai bambini. Esistono per esempio sistemi di controllo parentale che permettono al genitore di stabilire che il bambino potrà giocare a Fortnite per un’ora al massimo. La console invierà un alert per avvisare il piccolo gamer che il tempo è esaurito. E se non smette, il genitore potrà intervenire anche a distanza bloccando il dispositivo. In questo caso, sarebbe invece meglio condividere il sistema di regole all’interno della famiglia e fare in modo che sia un genitore a verificare che vengano applicate – con inevitabile discussione più o meno conflittuale – piuttosto che demandarne l’applicazione a un software, che rischia di deresponsabilizzare il bambino.
Strumenti di buonsenso
In poche parole, i sistemi di parental control non sono attrezzi da Grande Fratello e non sono vicari di mamma e papà. Sono semplici strumenti che vanno usati con buonsenso e per le giuste finalità. Solo così possono aiutare le famiglie a gestire la presenza dei numerosi schermi che abitano la nostra quotidianità, talvolta in modo troppo invadente. Il che non vuol dire che il controllo si possa sostituire all’educazione che favorisce la crescita autonoma e responsabile dei nostri figli, anche a costo di qualche ansia di mamma e papà.
L’alternativa al controllo: “fare insieme”
Il ruolo dei genitori, oggi, prevede che ai figli si offra non solo un sistema di regole solide e condivise. Basta una relativa dose di funambulismo per destreggiarsi tra permessi, divieti e contrattazioni, ma presenza e attenzione sono fondamentali: merci sempre più rare di questi tempi.
Gli schermi sono oggi tra i maggiori responsabili del furto del nostro tempo. Per assurdo. il loro utilizzo condiviso con i figli può diventare la strada maestra per una consapevole gestione dello screen time.
L’approccio che gli anglosassoni chiamano ‘co-play’ consiste infatti nello stare insieme, anche quando ci si trova davanti a uno schermo, magari per giocare a un videogioco o guardare un video, navigare o fare una ricerca. Il dialogo che si sviluppa è la migliore strada per comprendere che esistono pericoli, ma anche che si possono evitare o affrontare. E che, “se hai bisogno di me, io ci sono”.
Con gli adolescenti più confronto e meno controllo
Questo approccio è importante fin da quando i bambini sono piccoli, ma diventa evidente quando entrano in una fascia d’età pre-adolescenziale e iniziano a percepire il limite come un affronto intollerabile e una sfida da superare.
Qui i sistemi di parental control iniziano a essere poco efficaci, anche perché rischiano di limitare eccessivamente le attività digitali dei ragazzi. Volete fornire a vostro figlio una scusa perfetta per non svolgere una ricerca su internet data dalla scuola? “Mamma, non ho potuto farla perché il termine – assolutamente innocuo – che stavo cercando viene inibito dal sistema di controllo”.
Pensiamo poi che un sistema di controllo automatico è una umiliazione per un dodicenne, che magari ci si imbatte di fronte ai compagni. Il parental control non deve essere un ostacolo alla crescita. Come genitori dobbiamo imparare a tenere sotto controllo le preoccupazione e ad affidarci al dialogo.
Il punto sta proprio qui: dobbiamo costruire un percorso condiviso nell’uso della tecnologia, basato sull’esempio, fin dall’infanzia. Quando i figli entreranno nell’adolescenza, noi genitori smettiamo di essere il perno della loro vita sociale. L’educazione digitale a un corretto utilizzo dei media si coltiva fin da piccoli, sui diversi schermi. Nessun filtro o blocco, può sostituire il nostro stare vicino, il nostro accompagnare nella crescita e la nostra capacità di dare l’esempio.