Esiste un sano equilibrio nella competizione?

Ti sfido! è la raccolta di racconti di Anna Vivarelli che esplorano motivazione e competizione, incluso il limite tra ambizione e distruzione

La competizione, nelle sue molteplici sfumature, è il tema senza tempo di Ti sfido! Storie di rivalità e duelli senza fine, pubblicato da Sinnos: una raccolta di racconti che hanno al centro rivalità e duelli, dai conflitti fisici alle battaglie intellettuali. E sono tutte storie vere.

Scritto da Anna Vivarelli, autrice torinese di narrativa contemporanea per ragazzi, è un viaggio nella storia e nel significato profondo dell’onore e nei meccanismi che regolano le relazioni umane quando la competizione si mette in mezzo: quella forza interiore che, se da una parte ci stimola a fare meglio, può diventare talmente eccessiva da ferire l’orgoglio e condurci al disprezzo dell’avversario. Attraverso le storie di personaggi storici più o meno noti, Anna Vivarelli invita i lettori a esplorare il lato più umano e complesso della competizione e a riflettere su quanto sia labile il confine tra ambizione e distruzione.

La vendetta degli anti-eroi

Le storie raccolte in Ti sfido! sono consigliate per ragazze e ragazzi a partire dalle scuole medie e superiori, ma incuriosiscono e appassionano anche gli adulti. 

Le narrazioni sui singoli personaggi, dal poeta Pushkin al grande pittore Jackson Pollock, sono il risultato di un lavoro meticoloso di documentazione: informazioni, immagini, avvenimenti che ricostruiscono la vita di questi protagonisti dal carattere affascinante e contraddittorio.

“Le vicende umane sono narrate come avventure, ispirano l’esplorazione di temi e figure storiche” spiega Anna Vivarelli. “Anche se alcuni riferimenti storici o definizioni possono risultare impegnativi per i più giovani, è la narrazione stessa a stimolare la curiosità e l’approfondimento in autonomia”. 

I protagonisti di queste avvincenti avventure non sono per nulla eroi positivi, perché al di là degli indubbi meriti personali in molti campi, dalla scienza all’arte alla letteratura alla politica, hanno fatto della competizione un’esperienza distruttiva. “L’idea di scrivere di questa tematica complessa attraverso una raccolta di storie indipendenti tra loro è arrivata dopo il successo di Naufraghi e naufragi che, al contrario, narra di storie di eroi, anche questi realmente esistiti, positivi esempi di resilienza. 

Questa volta ho voluto esplorare i meccanismi complessi generati dalla competizione tra uomini e donne, che regolano, anche se in misura diversa, tutte le relazioni umane. 

Per farlo ho scelto personaggi sicuramente meno edificanti, veri antieroi le cui vite, almeno in parte, sono contrassegnate da invidia, gelosia, desiderio di sopraffazione, che hanno pesato al punto da offuscarne la genialità. Un diverso aspetto dell’animo umano che, talvolta, impedisce di riconoscere il valore altrui e che in realtà ci riguarda tutti. 

Tutto è iniziato da una riflessione personale e sociale, in combinazione con alcune letture. “In quel periodo rileggevo Breve storia di (quasi) tutto di Bill Bryson, un saggio divulgativo che trovo meraviglioso. In un capitolo si parla di due celebri paleontologi, Marsh e Cope, che si sono sfidati non solo a favore del progresso scientifico, ma anche per ambizioni personali e narcisismo, mostrando aspetti patologici come depressione e incapacità di collaborare e riconoscere il merito dell’altro. I protagonisti di questa storia che mi ha affascinato tantissimo sono al centro del racconto “La guerra dei dinosauri”. 

Quella sana competizione che fa crescere talenti

“Talvolta la competizione è l’unico modo per realizzare se stessi, per ottenere il riconoscimento della propria persona e dei propri meriti, per affermare le proprie convinzioni” sostiene Anna Vivarelli nella prefazione. La motivazione quindi, è il motore che ci spinge a fare meglio. 

“La competizione è importante, positiva e stimolante, se basata sulla correttezza e sul riconoscimento dei propri meriti e di quelli degli altri. Tuttavia diventa pericolosa se si trasforma in prevaricazione e annientamento dell’avversario. 

Un talento ha bisogno di essere riconosciuto per essere coltivato. Spirito di sacrificio, fatica e ambizione sono gli elementi imprescindibili per accrescere un talento e dare valore al proprio margine di miglioramento. 

Se un talento non viene valorizzato, il rischio è che venga messo da parte, portando chi ne è dotato a perdere motivazione e volontà di migliorare. Pensiamo a figure straordinarie come Marie Curie e altre persone come lei che hanno dovuto affrontare ostacoli e sacrifici per ottenere riconoscimento e raggiungere risultati. In quei casi lo spirito di competizione e l’ambizione sono stati i semi della loro motivazione e la spinta a dare il meglio”. 

anna vivarelli

Essere consapevoli dei propri limiti

Se la sana e misurata competizione può influenzare le relazioni umane in positivo, il suo eccesso si trasforma spesso in ansia da prestazione e svalutazione. L’equilibrio tra autostima e gestione delle frustrazioni entra in gioco e diventa cruciale per affrontare le sfide quotidiane, sviluppare il proprio talento ma al tempo stesso imparare ad accettare le limitazioni che ognuno di noi ha, in ambiti diversi. 

“Avere una buona autostima non significa essere convinti di poter riuscire a fare tutto ciò che si vuole. Come scrittrice, posso dire che la competizione con me stessa e il desiderio di miglioramento sono sempre stati fonte di crescita” rivela Anna Vivarelli. “Ma questo non significa che non sappia riconoscere i talenti degli altri e che non sia consapevole dei miei limiti. So che esistono tantissimi autori di un livello per me irraggiungibile, ma questo non riduce o ostacola il mio impegno.  

Perché il riconoscimento dei propri meriti non significa disconoscere quelli degli altri e il talento degli altri non deve sminuire o togliere nulla al nostro”.

La competizione distruttiva che annulla lo sforzo e il talento

L’aspetto estremo distruttivo della sfida si incarna in tutti i protagonisti dei racconti narrati da Anna Vivarelli. Conflitti fisici, scontri intellettuali, dinamiche competitive dalle origini differenti generati, come nel caso dei duelli ottocenteschi, da una forma insana di orgoglio o, a volte, anche dalla noia. 

“In molte di queste storie le dinamiche sono radicate in convenzioni sociali e codici d’onore già anacronistici all’epoca, come dimostrano le vicende di Pushkin o Felice Cavallotti. I duelli riflettevano forme di maschilismo ed esibizionismo sociale, alimentato dall’orgoglio e dall’eccessivo egocentrismo. Il codice cavalleresco era considerato norma insensata già nel Regno Unito prima che in Italia, ma questi atteggiamenti, quando messi in atto da personaggi molto noti, contribuivano a perpetuare queste pratiche obsolete”.

Non solo di duelli con spada e pistola si tratta. Molte sfide sono anche intellettuali e non per questo meno crudeli psicologicamente. 

Come accade per i paleontologi Marsh e Cope, protagonisti della cosiddetta “guerra delle ossa”: oggi, anziché celebrarne i risultati scientifici, li ricordiamo principalmente per la distruzione reciproca causata dalla loro ossessiva competizione”.

O come mostra la storia dei fratelli Dassler, fondatori di due marchi di calzature di fama mondiale, in cui si mostra come la gelosia e i rancori personali possano ‘macchiare’ i successi professionali e addirittura tramandarsi per generazioni.

Un confronto in continua evoluzione

Unico racconto che vede due donne come protagoniste è quello che narra la sfida tra Lady Braddock e Mrs. Elphinstone, per l’epoca fatto decisamente raro, in quanto duelli e sfide intellettuali erano, fino al secolo scorso, quasi solo appannaggio degli uomini. Eppure, se non con spada e coltelli, anche le donne sanno essere competitive, anzi, spesso oggi vengono considerate più competitive degli uomini. 

“Sinceramente non condivido questa opinione” sostiene Anna Vivarelli. 

“La competizione non ha genere, e rischiamo come sempre di alimentare stereotipi e anche una guerra tra sessi. I tempi sono cambiati, le donne sono non più solo relegate a posizioni professionali subordinate, e dunque per fortuna viene riconosciuto anche a loro il diritto di coltivare le proprie ambizioni. E il processo di emancipazione ancora in corso può portarle, più degli uomini, a cercare riconoscimenti e migliorare se stesse con una spinta maggiore, naturale e necessaria”.

La riflessione sulle dinamiche di genere e sui cambiamenti culturali legati alla competizione è ampia, ma se oggi pensiamo a giovani e competitività non possono non venirci in mente i modelli appariscenti e talvolta effimeri proposti dai social media con cui ragazze e ragazzi cercano di competere.  

“Di sicuro i social ampliano a dismisura la platea e quindi anche le problematiche legate alla competizione attraverso modelli sbagliati. Credo, però, che anche in questo caso si amplificano le esperienze negative legate alle sfide online, a cui viene dato molto risalto”. 

Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce, infatti. “La maggior parte dei giovani, a mio parere, sa che la vita vera è altrove, e che la gestione dei conflitti, la competizione e la motivazione si apprendono solo in un contesto sociale reale. Ho raccontato queste storie di antieroi per mostrare che lo spirito competitivo deve aver dei limiti riconoscibili, che non è un male di per sé ma lo diventa quando si trasforma nell’unico obiettivo, quando cioè diventa unica ragione di vita”.

Può essere, se vogliamo, una lente preziosa dalle molteplici sfaccettature, dall’autostima alla motivazione personale, che ci aiuta a comprendere meglio i cambiamenti individuali e i rapporti tra le persone in un contesto sociale in continua evoluzione.

anna vivarelli

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