“Ci siamo adottati”

da | 20 Gen, 2016 | Lifestyle

Adottare è accogliersi, l’uno nel cuore dell’altro. Anche i genitori adottivi “nascono” e la loro famiglia è un desiderio portato nel cuore e nutrito per mesi, a volte anni. I ricordi dell’attesa sono tanto forti quanto quelli della gravidanza, forse persino di più, perché la “gravidanza del cuore” non è sempre definita, sicura e tranquilla. Quattro famiglie ci raccontano la loro storia di adozione, dal primo incontro all’arrivo in casa, con tutti i momenti vissuti come un dono speciale.

Marina, Vittorio e Virginia
L’adozione è un desiderio dentro al cuore. Argaw è stato accolto da una mamma, Marina, un papà, Vittorio e dalla sorellina Virginia. “Dopo aver dato alla luce la piccola Virginia, trascorsi alcuni anni, sentivamo il desiderio di un secondo figlio. La ricerca naturale non ha esaudito il nostro sogno – racconta Marina –. Nel tempo abbiamo maturato la scelta di adottare. Il primo a pensarci è stato Vittorio, poi io, che fino a quel momento non ci avevo mai pensato”. Marina e Vittorio hanno scelto l’adozione internazionale, un percorso che li ha portati a rivolgersi ai vari enti impegnati in diversi paesi del mondo. “Avevamo circa quarant’anni e la nostra Virginia ne aveva 8. Dapprima ci siamo indirizzati alla Colombia, poi ci fu un incontro e tutto cambiò. Abbiamo conosciuto una coppia che ci ha parlato del Centro Aiuti per l’Etiopia, un ente che si occupa di adozioni e realizza progetti in loco per la popolazione. Poco tempo dopo abbiamo partecipato a un ritrovo nazionale e lì abbiamo respirato un’aria familiare, di grande condivisione e forte spirito di gruppo”.

Marina si emoziona ancora parlando della scelta. Le brillano gli occhi quando inizia a raccontare la telefonata che le annunciava la grande notizia. “Dopo un anno e mezzo ha squillato il telefono. Il presidente, che si occupa personalmente del Centro di accoglienza in Etiopia, ci ha detto che il piccolo Argaw di soli 10 mesi ci stava aspettando. Virginia saltellava dalla gioia al pensiero di un fratellino così piccolo, mentre io ero lì ferma, impietrita. Né io, né Vittorio potevamo immaginare di diventare nuovamente genitori di un bambino così piccolo. Pur avendo già cresciuto una figlia, mi sono sentita inadeguata”. Dopo tre mesi Virginia, mamma e papà sono andati in Etiopia per conoscere il fratellino. Sarebbero stati insieme solo tre giorni: la burocrazia etiope prevede due viaggi per la famiglia adottiva, il primo per l’incontro e la sentenza in Tribunale, il secondo per ritrovarsi e ripartire tutti insieme. Marina sapeva che non sarebbe stato facile lasciare il bambino in Etiopia per altri mesi e immaginava la sofferenza che avrebbe patito anche la piccola Virginia.“Non è stato semplice, ma molto razionalmente abbiamo trascorso quel poco tempo con Argaw cercando di non affezionarci troppo. Ricordo che il viaggio di ritorno in Italia è stato difficile perché Virginia piangeva per la separazione dal fratello”. Dopo alcuni mesi sono tornati in Etiopia. “Virginia non vedeva l’ora di prendere in braccio suo fratello, è corsa da lui e me lo ha portato in lacrime. L’ho preso in braccio e ci siamo guardati negli occhi. Ho detto ad Argaw che da quel momento sarei stata la sua mamma per sempre. Il giorno dopo Argaw ha pronunciato la sua prima parola, mamma”. Tra le coccole di Virginia e le dolci cure di mamma e papà, Argaw è arrivato in Italia. Oggi ha 4 anni e va all’asilo. Negli occhi porta la luce dell’Africa.

Antonella ed Enzo
Due paesi diversi hanno trasformato il sogno di una famiglia in realtà. Ecco la storia di Milan e Kim. “Per noi l’adozione significa aver dato vita al sogno di avere una famiglia. Il progetto iniziale mio e di Enzo era quello di avere dei figli. Non sono arrivati e abbiamo scelto un’altra strada. Antonella ed Enzo hanno scelto l’adozione internazionale in due paesi diversi: la Slovacchia e la Cambogia. “Le nostre esperienze sono diverse e simili per tanti aspetti. Con Milan siamo diventati genitori per la prima volta e anche lui non aveva mai respirato il profumo di una famiglia perché era stato abbandonato alla nascita. Ha vissuto 4 anni e mezzo in un istituto, fino al giorno del nostro incontro. Ci è venuto incontro fiducioso e con il sorriso in volto. Abbiamo provato tanta emozione e un gran senso di responsabilità”.

Kim, la seconda figlia, è nata in Cambogia ed è stata accudita per diverso tempo dalla sua famiglia di nascita, fino a quando ha potuto. Poi, l’adozione. “Mi sono sentita mamma di Kim appena l’ho vista. Il nostro primo incontro è stato di abbracci e baci. Lei era confusa perché si è ritrovata in una famiglia diversa. Si è attaccata a me sin da subito, ma era spaventata dalle figure maschili, rifiutava Enzo e Milan. Sapevamo che sarebbe potuto accadere, ma viverlo è destabilizzante. Capivo il ‘bisogno di mamma’ che aveva mia figlia, ma ero dispiaciuta per mio marito e mio figlio”. Milan e Kim, oggi adolescenti, hanno espresso nel tempo il desiderio di rivedere il loro paese di nascita. “Siamo stati con Milan in Slovacchia perché la sua terra aveva per lui un’immagine poco definita. Ha voluto visitare l’ospedale dove è stato lasciato alla nascita, poi l’istituto e ha voluto incontrare la giudice che ha emesso la sentenza adottiva. Con questo viaggio si è appropriato della sua identità. Kim sta manifestando il desiderio di tornare in Cambogia, ma allo stesso tempo non vuole perché dice di aver paura dell’aereo. Un timore che ha la forma di uno scudo, ancora non si sente pronta”.

Daniela e Marco
Due sorelline adottate insieme. “Marco e io pensiamo che l’adozione sia il dono più grande che abbiamo ricevuto, perché abbiamo avuto la possibilità di diventare davvero una famiglia, di essere genitori. Le nostre figlie sono nate da un’altra parte, ma nel profondo ci aspettavano come noi aspettavamo loro. Da quando abbiamo saputo che eravamo diventati genitori delle nostre figlie, di 3 e 5 anni, nulla è stato più come prima, ci sono entrate nella mente e nel cuore”. Il primo incontro è sempre colmo di emozioni e sensazioni: gioia, incertezza, scoperta, stupore, ansia, dubbi, speranza. “Abbiamo incontrato le nostre figlie ma non le conoscevamo. Siamo stati tanto tempo insieme tutti e quattro, avvicinandoci affettivamente, scoprendo le caratteristiche di ciascuno e provando noi genitori a intraprendere il cammino dell’educazione. In questo ci ha aiutato giocare insieme, passeggiare all’aperto, condividere i momenti della quotidianità: i pasti, il bagnetto, le coccole e molto altro. Piano piano stavamo costruendo un legame per la vita”. Daniela e Marco oggi sono genitori di due ragazze di 12 e 14 anni. Due sorelle caratterialmente diverse: la più grande di carattere espansivo, sensibile e socievole, alle prese con un ritardo cognitivo importante. La piccola più riservata, amante di libri avventurosi e fantastici, che ha bisogno dei suoi tempi per esprimersi in contesti nuovi. “Il cammino continua con fiducia e speranza. Aiutiamo le nostre ragazze a tirar fuori i loro talenti, perché possano essere felici e raggiungere il loro equilibrio. Affrontiamo le tappe della crescita, ma non vogliamo nascondere le difficoltà e le sofferenze”.

Manuela e Fabio
Sin dall’inizio hanno pensato all’adozione come a una scelta. Sono diventati famiglia attraverso due esperienze completamente diverse: la prima un’adozione nazionale, la seconda una internazionale. “La prima aveva 4 mesi, il secondo 18. Con la prima è stato tutto semplice, per il secondo tutto più complicato. Con la prima io mi sono sentita subito mamma, ma non è successo altrettanto a lei. Per il secondo c’è voluto più tempo, ma forse lui mi ha sentito sua mamma più velocemente. Per la prima eravamo vicini a casa, per il secondo siamo andati dall’altra parte del mondo. Simile, tra le nostre due esperienze, c’è solo che ora sono semplicemente i nostri figli”. Nel cammino adottivo di Fabio e Manuela ci sono ricordi di periodi dolci e altri a tratti un po’ amari. Aspettando la prima figlia hanno vissuto momenti di paura, durante i quali pensavano che non sarebbero mai diventati genitori. Diversa è stata l’attesa del secondo bambino, quando in famiglia erano già in tre. “Ogni tanto è stato difficile spiegare a nostra figlia la lunga attesa. È trascorso molto tempo, quasi cinque anni”. Nel periodo dell’attesa ci si prepara, ma non si è mai davvero pronti al grande giorno. “Per me e Fabio è stato più difficile. Nostro figlio aveva 18 mesi, un carattere già formato, abitudini completamente diverse dalle nostre: un conto è saperlo, un conto è viverlo. La bimba invece ha vissuto l’arrivo in modo diverso, per lei era arrivato suo fratello e finalmente avrebbero potuto giocare insieme”.

In ambito di adozione si parla spesso del viaggio di “ritorno alle origini”. Un bambino adottato deve, necessariamente, confrontarsi con la propria storia e attribuire un significato all’abbandono attraverso un processo di comprensione, rielaborazione e accettazione del proprio vissuto. Ai genitori spetta il compito di accompagnare i propri figli in questo cammino, stando al loro fianco, sostenendoli e mettendo a disposizione la loro esperienza. “Per il nostro secondo figlio potrebbe trattarsi di un viaggio in Corea, ma per la prima, il ritorno alle origini sarà più difficile. Non sappiamo quale sia il suo paese d’origine. Per lei tornare alle origini significa tornare a trovare la famiglia affidataria dove è stata accolta. Ogni tanto lo chiede e li andiamo a trovare, perché è importante il luogo in cui la sua storia è iniziata”.

[Sara Leo]

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