Cosa mettono in tavola le mense scolastiche?

da | 5 Ott, 2019 | Lifestyle, Salute e Benessere

A scuola si mangia bene o male? I bambini sono contenti? E quanto costa un pasto? Ne parliamo con la Rete Commissioni Mensa Nazionale

Siamo quello che mangiamo, si dice. E i nostri bambini, soprattutto quelli piccoli, consumano a scuola quasi la metà dei loro pasti, tra il pranzo e gli spuntini. Ma cosa mangiano? Com’è la qualità? Gli piace quel che trovano nel piatto? Un’associazione di genitori, la Rete Commissioni Mensa Nazionale, ha fotografato il funzionamento delle mense nelle scuole italiane. Il risultato? Un grande divario di prezzo da città a città, poca scelta biologica e capitolati che non sempre sono rispettati. 

Quanto varia il costo del pasto

Lo studio è partito da Biobank 2018, un report annuale sull’utilizzo del cibo biologico nelle scuole e si è ampliato includendo altre informazioni di pubblico dominio. I dati analizzano il periodo tra settembre 2018 e aprile 2019. Per la prima volta tutte le informazioni reperibili sulle mense sono state messe a sistema in modo chiaro. 

Dall’analisi emerge un grande divario di costo, non rigorosamente legato all’area geografica. Si sfata il mito che al Sud la scuola costi meno. Il costo più basso si ha nel napoletano, a Casoria, dove si paga 1,36 euro a pasto. Seguono Barletta in Puglia (1,60 euro) e Gravina di Puglia (1,75 euro). I più cari sono i comuni di Fano, nelle Marche (9,37 euro), Busto Arsizio (7,75 euro) e Ancona (7,29 euro).

Non è il bio quel che paghiamo

“Uno dei risultati più rilevanti – spiega Sabina Calogero della Rete Commissioni Mensa Nazionale – è che non c’è alcuna correlazione tra il costo e la qualità del servizio, oppure la presenza di cibi biologici nel piatto”.

Effettivamente sui tavolini delle scuole di Gravina, che sta sul podio per economicità della mensa, i bambini hanno un piatto 100% biologico. Al contrario, la cucina assai più cara di Busto Arsizio vanta solo il 30% di alimenti biologici. Ugualmente Ancona non supera il 40%. 

Teoricamente la correlazione tra il numero di pasti prodotti e il costo di ogni pasto dovrebbe far sì che dove si cucina di più si spende di meno.

Non è così: dove si cucinano meno di 10 mila pasti (vale a dire tutti i comuni medio-piccoli) al crescere dell’utenza cresce il costo del pasto. Ugualmente, il costo medio nei comuni che servono più di 10 mila pasti è superiore a quello applicato nei piccoli comuni. 

La cucina interna

Un’altra credenza da sfatare è che la cucina interna sia più costosa. Non emerge alcuna correlazione fra numero di pasti prodotti dalle cucine interne e il prezzo di aggiudicazione.

In altre parole, sembrerebbe che la scelta di chiudere le cucine delle scuole per creare grandi centri cottura non porti alcun vantaggio economico.

Quel che ne risente, invece, è il gradimento. “A livello di sicurezza alimentare cambia davvero poco tra i pasti cucinati internamente nelle scuole e quelli distribuiti dai grandi centri. Cambia molto invece la qualità percepita, nel senso che i piatti cucinati sul momento e non riscaldati sono più gustosi. Le materie prime, tuttavia, sono le stesse”, commenta Sabina Calogero.

La politica del pasto appaltato

“Pur analizzando con cura ogni dato a disposizione, non siamo riusciti a comprendere in base a quale criterio viene definito il prezzo dei pasti. Gli accordi sembrano puramente economici e commerciali. La gestione del cibo nelle scuole è appaltata in gran parte d’Italia alle stesse, pochissime, ditte di dimensioni molto grandi. Eppure le stesse ditte firmano contratti molto diversi con i vari committenti”. 

A parte il costo, il problema reale delle mense scolastiche è la qualità dei prodotti. E su questo la lamentela è omogenea.

Cosa chiedono i comitati di genitori e la Rete? “Le commissioni chiedono innanzitutto di rispettare i capitolati, quindi la quantità di biologico, l’origine di alcuni alimenti (come per esempio la carne e il pesce), la quantità del cibo servito nei piatti. Innanzitutto chiediamo di poter controllare quello che i nostri figli mangiano realmente”.

Il cibo da casa

La sentenza della Corte di Cassazione che nel luglio 2019 ha “abolito” il panino a scuola perché viola il principio di uguaglianza, ha di nuovo messo in discussione la possibilità di portare il pasto da casa. Secondo quanto affermato dalla Cassazione non esiste un diritto soggettivo e incondizionato.

La gestione del servizio mensa rientra nell’autonomia organizzativa delle singole istituzioni scolastiche. “Sono due i motivi per cui le famiglie chiedono di poter portare il cibo per il pranzo da casa: c’è chi lo fa per motivi economici e chi desidera controllare la qualità della dieta dei propri figli. Diciamo che l’introduzione del pasto da casa poteva essere una buona occasione per ristrutturare e migliorare il servizio di ristorazione, rivedendo sia la qualità che i prezzi dei pasti. A fronte di una migliore offerta, anche i genitori favorevoli al pasto a casa sarebbero tornati a consumare in mensa. Trasformando tutto in una disputa legale, si porta invece alla frantumazione. La decisione arriva a livello dei Consigli di istituto, per cui possono crearsi situazioni molto diverse da scuola a scuola, con conseguenti tensioni tra genitori e istituti e tra famiglie”.

La Rete e la ricerca

La Rete Commissioni Mensa Nazionale nasce nel 2015 e raccoglie un gruppo di 45 comitati di genitori attivi nei controlli delle mense scolastiche dei loro figli.

Lo scopo è quello di dare forza alle singole commissioni, di favorire lo scambio di informazioni tra famiglie e di fare una fotografia del cibo servito nelle scuole.

È nato così lo studio su 257 Comuni italiani con almeno mille iscritti a scuola, vagliati sulla base di dati ufficiali reperiti dai siti istituzionali. Sono state analizzate le gare d’appalto, i costi, la percentuale di cibo biologico, il numero di cucine, i pasti serviti e diversi altri indicatori.

ricerca qualità mense

 

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