L’educazione è un diritto, soprattutto quella alimentare 

da | 23 Feb, 2024 | Green, Lifestyle, Salute e Benessere, Tutto food

I sistemi educativi possono rispondere al meglio a una società in rapida evoluzione, valorizzando inclusività e diversità e includendo temi come l’educazione ambientale, digitale, civica, alimentare e al gusto

Il diritto all’educazione non può rimanere una dichiarazione astratta perché i principi, quando non agiti, sono violati (Manifesto Slow Food per l’educazione, 2010)

Si è celebrata pochi giorni fa (24 gennaio) la giornata Internazionale dell’Educazione voluta dall’Onu nel 2018 per ricordarne il ruolo essenziale per raggiungere la pace e lo sviluppo. L’istruzione come strumento per uscire dalla voragine della povertà sociale e intraprendere un percorso verso un futuro migliore. Ormai tutto ha una giornata commemorativa, a volte sminuendone il significato, ma questa è centrale per ricordarci che l’educazione è fondamentale per lo sviluppo dell’individuo e della società. Ricordare che è un diritto sembra una cosa scontata, ma purtroppo non lo è. Circa 244 milioni di bambini e adolescenti nel mondo non vanno a scuola e 617 milioni non sanno leggere e fare matematica di base; meno del 40% delle ragazze nell’Africa sub-sahariana completa la scuola secondaria inferiore e circa 4 milioni di bambini e giovani rifugiati non ricevono un’istruzione (dati Nazioni Unite). Già la Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948 individuava l’istruzione elementare come momento di crescita che deve essere garantito a tutti, gratuito e obbligatorio. Con il passare degli anni, delle dichiarazioni e delle convenzioni, l’educazione viene riconosciuta come elemento essenziale di crescita. Addirittura, nel 2023 con l’adozione dell’Agenda 2030 le Nazioni Unite hanno riconosciuto che è essenziale per il raggiungimento di tutti i 17 obiettivi individuati. 

Ambienti di apprendimento solidali e inclusivi

È evidente come sia opinione dominante che investire sull’educazione sia essenziale per lo sviluppo, sia prioritario “per accelerare i progressi verso tutti gli obiettivi di sviluppo sostenibile sullo sfondo di una recessione globale, crescenti disuguaglianze e la crisi climatica” (Unesco). Purtroppo però le crisi politiche e umanitarie (guerre, governi corrotti e accentratori…) ed economiche (inflazioni, sfruttamento del lavoro, investimenti assurdi in armi…) mettono in secondo piano gli investimenti pubblici per un’istruzione universale al passo con i tempi. Così come l’adozione di azioni concrete che creino ambienti di apprendimento solidali e inclusivi per tutti gli studenti. Le barriere che ostacolano un accesso universale all’educazione invece di essere abbattute sono nella migliore delle occasioni dimenticate. 

Le sfide dei sistemi educativi

Il futuro dell’educazione è pieno di grandi sfide, diverse da caso a caso e nella stessa Italia ci sono condizioni molto diverse tra di loro. Non stiamo parlando di un contesto drammatico, ma sicuramente non degno di un Paese che si ritiene una potenza industriale: abbandono scolastico, scuole fatiscenti, dotazioni tecnologiche inadeguate, mancanza di mense in molte scuole, classi sovraffollate, programmi di studio obsoleti. C’è la necessità di capire come i sistemi educativi possano adattarsi e rispondere al meglio a una società in rapida evoluzione, valorizzando inclusività e diversità. Allora temi come l’educazione ambientale, digitale, civica, alimentare e al gusto (vecchia battaglia di Slow Food) diventano centrali per far maturare persone capaci di sviluppare un pensiero critico e essere promotori di quella crescita sociale di cui si ha tanto bisogno. 

L’educazione alimentare non è il calcolo delle calorie

Il rapporto tra istruzione e cultura del cibo è sempre stato debole e lasciato spesso all’azione di qualche volenterosa maestra. Per lo più l’insegnamento, secondo i programmi ministeriali, ha un’impronta nutrizionista: calcolo delle calorie e igiene alimentare. Così facendo si perde di vista la complessità del cibo che è al centro di molti fatti della quotidianità come crisi climatica, migrazioni, salute, disparità sociali, inflazione, diversità culturali. Quindi quando si studia il cibo si parla prima di tutto di piacere, ma anche di sociologia, economia, antropologia e scienze. Questo tipo di studio, interdisciplinare, sarebbe propedeutico per la riduzione dello spreco, per l’economia locale dei nostri contadini, per la salvaguardia di un patrimonio di biodiversità in campo alimentare e per la difesa del suolo e dell’ambiente, oltre a renderci più consapevoli e sensibili verso quelle comunità, oltre quella in cui viviamo, che, in diverse parti della terra, ci garantiscono alimenti che noi non produciamo.

Di Valter Musso

www.slowfood.it

 

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