Handicap: cosa dice la legge 104?

da | 30 Ott, 2016 | Lifestyle, Soldi e Diritti

C’è un numero che conoscono bene i genitori di bambini portatori di handicap: il 104. È il numero della legge quadro del 5 febbraio 1992, che attribuisce alle persone con disabilità e ai loro familiari precisi diritti come l’assistenza, la piena integrazione, la prevenzione, il recupero funzionale e sociale.

Vogliamo conoscere questa legge più da vicino? Possono usufruire di permessi per l’assistenza e la cura di un figlio disabile non solo i lavoratori (pubblici e privati) regolarmente residenti in Italia, ma anche gli stranieri e gli apolidi, residenti, domiciliati o aventi stabile dimora nel territorio nazionale. I permessi possono essere estesi ai parenti o affini entro il terzo grado nel caso in cui i genitori o il coniuge del disabile siano deceduti, mancanti, ultrasessantacinquenni o affetti da patologie invalidanti. Non possono chiedere i benefici previsti dalla legge 104 i lavoratori domestici, quelli a domicilio, i lavoratori agricoli giornalieri, nonché i lavoratori in Cassa Integrazione i quali, di fatto, non sono impegnati in attività lavorative. Il primo passo per ottenere le agevolazioni è far riconoscere la gravità dell’handicap del proprio figlio. Una volta ottenuto il certificato di disabilità grave si può presentare la domanda all’Inps per ottenere i benefici. La legge ha previsto alcuni congedi e permessi, utilizzabili nel caso in cui la persona disabile non sia ricoverata a tempo pieno presso un istituto medico (ma ci sono alcune eccezioni).

Per i figli fino a 3 anni

I genitori, conviventi e non, possono usufruire di tre diverse possibilità di assenza dal lavoro per assistere e curare il bambino disabile entro il terzo anno di vita. Questi benefici sono alternativi e non sovrapponibili nell’arco del mese. Primo: possono scegliere se prolungare l’astensione dal lavoro (congedo parentale) con una indennità pari al 30% della retribuzione. Il padre può beneficiare di questo prolungamento anche se la madre non ne ha diritto perché, per esempio, è casalinga o libera professionista. Il beneficio dei 3 giorni di permesso mensili, del prolungamento del congedo parentale e delle ore di riposo deve intendersi alternativo e non cumulativo nell’arco del mese. Nel caso in cui un genitore non abbia usufruito di tutto il congedo parentale, può farlo nel restante periodo tra i 3 e gli 8 anni del figlio. In questo caso, il congedo parentale è retribuito soltanto se il reddito individuale del richiedente non supera un determinato limite (2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione). Secondo: i genitori possono chiedere riposi orari retribuiti rapportati all’orario giornaliero di lavoro (2 ore di permesso giornaliero per orario pari o superiore a 6 ore, 1 ora negli altri casi). Il genitore può chiedere il permesso di 2 ore giornaliere in luogo del congedo parentale (astensione facoltativa dal lavoro) sia per i primi sei mesi che per il periodo di prolungamento di questo (fino ai 3 anni). Terzo: tre giorni di permesso mensili anche frazionabili in ore sin dalla nascita del bambino disabile. Tale diritto decorre dal giorno del riconoscimento della situazione di gravità.

Dai 3 ai 18 anni

Se il minore ha un’età compresa tra i 3 e i 18 anni, i genitori (naturali, adottivi o affidatari) hanno diritto a tre giorni di permesso mensile retribuito da utilizzare in maniera continuativa nell’arco del mese, oppure ripartiti fra gli stessi genitori con assenze alternate e sempre nel limite di tre giorni per lo stesso figlio disabile. Possono avvalersi di tale diritto, al posto dei genitori, anche i parenti o affini entro il secondo grado.

Figli maggiorenni

In presenza di figli disabili maggiorenni si può utilizzare lo stesso periodo di permessi mensili, ma in questo caso il diritto viene riconosciuto in caso di convivenza, solo se non sono presenti nel nucleo familiare altri soggetti che possano fornire assistenza, mentre in assenza di convivenza solo quando l’assistenza della lavoratrice o del lavoratore soddisfa le condizioni della continuità e dell’esclusività. La legge italiana prevede, anche, il cosiddetto congedo straordinario della durata massima di due anni nell’arco della vita lavorativa. I destinatari del beneficio sono sia i genitori, lavoratori dipendenti (anche a tempo determinato) del settore pubblico e privato, sia, nel caso di scomparsa di entrambi i genitori, fratelli e sorelle (anche adottivi) del soggetto handicappato grave e con lui conviventi, che siano lavoratori dipendenti. I genitori possono essere naturali, adottivi o affidatari e il beneficio spetta loro in maniera alternativa non potendo essere utilizzato contemporaneamente da entrambi. Nel caso di affidamento il congedo non è fruibile oltre la scadenza del periodo di affidamento del bambino. Il congedo straordinario gode di una notevole flessibilità, sia perché si può frazionare in periodi giornalieri, settimanali o mensili, sia perché può essere fruito alternativamente dagli aventi diritto che possono garantire una adeguata assistenza al familiare disabile. Se il figlio è minorenne è possibile fruire del congedo anche se l’altro genitore non lavora e non è necessaria la convivenza; se invece il figlio convive con entrambi i genitori ed è maggiorenne, non è possibile beneficiare del congedo se l’altro genitore non lavora, a meno che non sia dimostrata l’impossibilità di prestare assistenza. Durante la fruizione del periodo di congedo spetta all’interessato un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione in godimento.

[Laura Citroni – www.slcx.it]

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