Il corpo parla a tutte le età. Comprendere la comunicazione complementare del bambino e per leggere il suo linguaggio è utile per seguire lo sviluppo e la crescita
Gli esseri umani comunicano in innumerevoli modi, non solo con il linguaggio e le parole. Il tentativo di comunicazione arriva dal bambino già dai primi giorni di vita. Moltissime informazioni passano attraverso il canale non verbale che comprende la mimica, l’apparenza fisica la postura, l’abbigliamento, lo sguardo, la distanza tra le persone.
La comunicazione non verbale è spesso di tipo “complementare”, cioè si pone in essere completando e sostenendo altre modalità di comunicazione. Per questo motivo passa un po’ in secondo piano, tuttavia la sua importanza non è secondaria. Poiché gesti, sorrisi e ammiccamenti veicolano contenuti profondi, risultano assai meno controllabili delle parole.
Saper interpretare la comunicazione non verbale è utile in moltissime situazioni. Vi ricordate quando i vostri genitori capivano che stavate dicendo una bugia anche se a parole affermavate una contraria, spavalda verità? A tradirvi, probabilmente, erano gli occhi, lo sbattere eccessivo delle palpebre e il linguaggio del corpo del bambino che sa di fare una cosa sbagliata.
3 mesi: il sorriso sociale
Il corpo parla a tutte le età e saper leggere il linguaggio del corpo è utile per seguire il corretto sviluppo del proprio bambino. Ci concentriamo tanto sui vocalizzi e sulle prime parole, ma cosa sappiamo del modo tutto fisico in cui comunica il nostro bebè?
A partire dai tre mesi, per esempio, il piccino comincia a sorridere in un modo particolare. Quello che illumina il suo visetto è il cosiddetto “sorriso sociale”, un sorriso automatico che risponde alla stimolazione proveniente dal viso, dallo sguardo e dalla voce della madre o di chi si prende cura di lui.
Nel corso dei successivi mesi di vita, però, l’azione del sorridere subisce un ulteriore cambiamento. Diventa una risposta “discriminata”, perché viene offerta solo ai visi familiari, e anche “reciproca”, perché il bimbo sorride in risposta ai sorrisi altrui.
Il passaggio da una fase all’altra è ovviamente graduale e ciascun bambino segue un suo proprio sviluppo, ma è bene imparare a osservare per comprendere meglio le fasi di crescita e di sviluppo.
0 – 6 mesi: comunicazione non intenzionale
Prima dei sei mesi, l’interazione tra il bambino e il mondo esterno avviene in modo esclusivo con una persona o con un oggetto. È la cosiddetta fase diadica: per il bimbo esiste solo se stesso e l’altro. La comunicazione, inoltre, non è volontaria. È piuttosto l’automatica conseguenza di uno stato interno del bambino stesso.
Il bambino piange non per ottenere uno scopo o per raggiungere un certo effetto su chi lo vede o lo ascolta. Piange perché sente male al pancino, perché ha freddo oppure ha fame. Sono gli adulti che interpretano il pianto come un momento comunicativo e reagiscono di conseguenza.
Questa fase comunicativa del bambino viene definita preintenzionale: il bambino, attraverso i suoi comportamenti, segnala che ha bisogno di qualcosa, ma agisce in modo non intenzionale, dato che non è ancora in grado di indicare quello di cui ha bisogno. Le abilità interpretative della madre, del padre o delle altre persone dedicate alla sua cura sono indispensabili per riuscire a individuare quello di cui necessita.
La condivisione dell’attenzione al sesto mese
Crescendo, tra il sesto e il nono mese, il bambino arriva a una fase evolutiva fondamentale per lo sviluppo delle competenze comunicative e di relazione con tutti gli altri esseri viventi. Questa fase si definisce di “condivisione dell’attenzione”, perché è a partire da questo momento che il nuovo nato comincia a prendere in considerazione più elementi contemporaneamente.
In questo stadio il bambino impara a condividere la propria attenzione con un adulto e a rivolgere la propria attenzione verso un elemento esterno. Avviene anche un cambiamento nel modo di guardare, perché il bebè acquisisce progressivamente la capacità di coordinare lo sguardo con un’altra persona.
Avete presente quando due persone guardano insieme un oggetto, poi si guardano e poi condividono la propria percezione? È esattamente quello che succede in questa fase: una dinamica importantissima perché è il presupposto per la futura capacità di dialogare.
9 mesi: la comunicazione intenzionale
Dal nono mese arriva l’acquisizione della capacità comunicativa intenzionale. È una fase importante che ha un valore aggiunto: la capacità di distinguere fra azioni intenzionali e azioni involontarie dell’altra persona. A partire da questa momento, voi diventate soggetti che il bambino “adopera” per soddisfare i suoi scopi e desideri.
Tipici della comunicazione intenzionale sono i “gesti deittici”, la cui comparsa significa che il bambino è finalmente in grado di indicare gli oggetti!
Si tratta di gesti dal grande valore comunicativo che svolgono tanto una funzione di richiesta quanto di dichiarazione. Sono una richiesta quando vengono usati per esprimere all’adulto il proprio desiderio di azione o di attenzione altrimenti non raggiungibile. Sono di dichiarazione quando il bambino cerca di condividere con l’adulto l’attenzione sul medesimo oggetto.
Gesti come stendere il braccio o l’indice per indicare un oggetto sono gesti universali e indicano il completamento della fase che ha portato il piccino dall’interazione diadica (madre-bambino) a quella triadica (bambino, adulto e oggetto).
Solo successivamente, verso i dodici mesi, la comunicazione del bambino cambia decisamente. Compaiono altri tipi di gesti, chiamati referenziali che, oltre a possedere un’intenzione comunicativa, sono di natura sociale e rappresentano in maniera iconica e stereotipata oggetti, eventi e situazioni. Avete presente fare ciao ciao con la manina o mandare un bacetto? Sarà il vostro regalo per il primo compleanno!