Matrigna #6. Chi sono io?

da | 19 Apr, 2023 | Lifestyle, Persone

“Ma tu chi sei tu per me?”: era una domanda ricorrente, ed era difficile trovare una risposta unica. “Non ero una mamma, ma nemmeno un’amica, per lei” è la risposta di Barbara, protagonista della rubrica Matrigna del mese 

Barbara ha quarant’anni da poco e non se li sente. Non ha figli e nella vita non le era mai balenata l’idea di farne. Per questo, quando ha cominciato a vivere con Silvio e la sua bambina, lei non si è sentita una figura genitoriale neanche per un istante.

La storia di questo mese è quella di una Matrigna che – come la maggior parte – non ama la parola Matrigna, e che ha trovato una soluzione alternativa al suo nome: non è solo Barbara, non è mamma. La sua è una storia fortunata e positiva. Una storia di studio, di pazienza, di conoscenza e di apertura.

Barbara conosce il suo compagno da quattro anni, Samanta, la figlia, da tre. Samanta ora ha dodici anni, non è più una bambina. Barbara sa che le sfide che deve affrontare non sono finite. Durano tutta la vita.

La storia di Barbara

“Ma tu chi sei per me?”, all’inizio della loro relazione Samanta lo chiedeva spesso a Barbara. Lo chiedeva quando era il momento di presentarla alle amiche, alle maestre. Lo chiedeva per trovare le giuste coordinate: “chi sei tu per me?”. Era una domanda ricorrente, ed era difficile trovare una risposta unica.

“Io non lo sapevo cos’ero. Non ero la fidanzata di papà – non solo, almeno. Non ero una mamma, ma nemmeno un’amica, per lei”. Barbara sapeva solo di essere una figura adulta di riferimento e di rifiutare il ruolo e la parola matrigna. 

“All’inizio sono andata in crisi: arrivavo da un retaggio di mamma eroina, molto in contrasto con la persona che sono. Mi sentivo intrappolata nell’ansia di essere un modello”. Ci è voluta molta pazienza, e consapevolezza per districarsi tra queste immagini. 

Più di tutto, ciò che ha aiutato Barbara è stato il percorso di counseling che ha intrapreso. A un certo punto, si è resa conto che il suo obbiettivo era cambiato: voleva diventare counselor a sua volta, lavorare su se stessa e su come entrare in empatia con le altre persone. Questa strada le ha permesso di trovare strumenti per approfondire le proprie relazioni con sguardo consapevole.

Possiamo sempre esprimere le emozioni

E poi sono servite le regole. Poche, ma pensate a lungo insieme a Silvio. Barbara, prima di quel momento, aveva sempre vissuto da sola. Per tutti loro c’è stato bisogno di una fase di assestamento. “Abbiamo deciso che sarebbe stato bello avere delle regole, scritte e appese in casa”. Le regole vanno dal Si va a dormire alle 9:30, a un sempre utile In casa si aiuta, a un meno scontato, ma molto d’impatto Possiamo esprimere le emozioni. E vale per tutti.

“È stato importante inserire quella regola. Per lei e per noi. Spesso a Samanta veniva da piangere, ma si vergognava. Nascondeva anche la rabbia”.

C’è stato un avvenimento in particolare che ha convinto Barbara di quanto fosse indispensabile questa regola. 

Un giorno erano andati a fare una passeggiata, Samanta era ancora piccola e non abituata a camminare: si impuntava, faceva delle scene. Barbara aveva un forte mal di testa, voleva arrendersi, voleva che Silvio la riportasse a casa. Stava perdendo la pazienza. “Lì mi sono davvero scontrata con le mie difficoltà: non riuscivo a essere così eroica come mi sarei sempre aspettata, così olimpica nella mia tolleranza, praticamente perfetta”. 

Barbara si è allontanata per passeggiare da sola, rilassarsi e pensare. La sua emicrania si è, a poco a poco, affievolita ed è tornata a casa. Per quanto la situazione si fosse tranquillizzata, lei ha sentito di doverla affrontare direttamente con Samanta. “Le ho detto che dovevamo imparare a conoscerci, io e lei. A dire quello che provavamo. A riconoscere che a volte volevamo delle cose diverse e che non c’è niente che non va in questo, solo dobbiamo imparare a dircelo”.

La mamma in panchina

Barbara pensava che dopo questo incontro—così diretto, così poco canonico—Samanta l’avrebbe odiata per sempre. “Mi sono detta, però, che era meglio presentarmi per quella che sono. Che mi odi per i miei difetti, piuttosto che fingere che vada sempre tutto bene”.

Quel confronto — come quelli seguenti — ha funzionato, e Barbara e Samanta hanno un rapporto profondo. Dopo tanto pensare, dopo tante riflessioni sul suo ruolo e su come chiamarsi, a Barbara è venuta un’idea. Quando qualcuno chiede a Samanta chi sia Barbara, lei risponde: “La mamma in panchina.”

“È diventato il nostro termine, come nel calcio. La mamma naturale è quella che gioca e sta in campo; però io sono lì, anche io titolare della maglia. Entro alla prima sostituzione: quando c’è bisogno di me”.

Si vive giorno per giorno e Barbara ne è consapevole: “Probabilmente Samanta non userà per sempre mamma in panchina per definirmi. Lo so che si arrabbierà di nuovo con me, ma va bene. 

D’altronde tra le regole appese nella loro casa, troneggia su tutte Possiamo esprimere le emozioni. Anche la rabbia.

Hai anche tu una storia da raccontare? Scrivi a: silvia.cannarsa@gmail.com

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