Parliamo di hikikomori: quando il palcoscenico sociale si fa insopportabile

da | 25 Ott, 2018 | Lifestyle, Salute e Benessere

È una parola giapponese, hikikomori, e letteralmente significa “stare in disparte”.

Viene usata per riferirsi ad adolescenti e giovani che decidono di isolarsi dalla società, vivendo nella solitudine della propria camera da letto, rifiutando l’intrusione di amici e famigliari.

Proprio per la sua caratteristica di isolamento, il fenomeno rimane spesso nascosto e, nonostante inizi a diffondersi anche in altri paesi industrializzati, tra cui l’Italia, è un disagio ancora poco conosciuto.

Hikikomori, in fuga verso un luogo sicuro

Nei soggetti più fragili e predisposti, l’isolamento è la risposta più naturale alla paura di fallimento sociale.

Attiva il meccanismo tipico di difesa primordiale in una situazione di pericolo: la fuga. In questo caso è la fuga verso un luogo più sicuro come la tana/camera. La paura di fallire, di non essere all’altezza delle aspettative si nutre di quella pressione alla realizzazione così diffusa nella nostra società.

Proviamo a tracciare un identikit degli hikikomori. Sono spesso ragazzi introversi, intelligenti e sensibili, più sovente maschi, figli unici, tra i 14 e i 25 anni.

L’insorgenza delle manifestazioni di ritiro sociale avviene generalmente nel periodo della preadolescenza o dell’adolescenza.

Tra i principali campanelli di allarme c’è il ritiro scolastico. L’ambiente scolastico è uno dei più delicati per il rapporto con gli insegnanti e i coetanei vissuto con sofferenza).

Oppure il disinteresse nelle interazioni reali, specialmente con i coetanei, l’inversione del ritmo sonno-veglia (vivono di notte quando il mondo è inattivo), l’autoreclusione nella propria camera.

Da non dimenticare anche la preferenza per attività solitarie – di solito legate alle nuove tecnologie. Queste sono erroneamente additate come la causa del fenomeno e non come un rimedio per ridurre la tristezza della solitudine.

Un intervento su più fronti

L’isolamento può durare alcuni mesi o diversi anni e generalmente non si risolve spontaneamente.

Quali sono gli interventi possibili per un genitore? È bene sapere che non esiste un trattamento univoco, ma servono interventi coraggiosi, tanta pazienza e speranza.

Soprattutto serve riconoscere il disagio e agire su più livelli, puntando su obiettivi semplici e raggiungibili. Innanzitutto, la rete degli adulti (genitori, parenti, medici, psicologi, docenti ed educatori) attorno a un giovane ritirato deve essere sempre cooperativa affinchè l’hikikomori riacquisisca la fiducia e il coraggio di fronteggiare nuovamente le relazioni sociali.

La psicoterapia, spesso rifiutata inizialmente, può servire per impostare un progetto personale di riemersione dal ritiro.

Ma anche la scuola ha un ruolo cruciale: più tempo dura l’isolamento, maggiore è la vergogna, la percezione di impossibilità a rimettersi al passo con i coetanei. Sono perciò necessari piani didattici individualizzati.

Al tempo stesso è molto utile coinvolgere i coetanei. I ritirati sociali hanno subito spesso atti di bullismo o esclusione che non riescono a rielaborare positivamente.

Coltivare nuovi interessi

Infine, i genitori possono aiutare i figli a riappropriarsi delle loro risorse interne, coltivando le proprie passioni. Questo è essenziale per consentire al ragazzo di compensare il vuoto derivante dal ritiro.

Attenzione: le nuove tecnologie, i social sono svago, informazione e confronto… non le cause del fenomeno!

I tempi del reintegro sono lenti e variano da caso a caso, con un andamento discontinuo e altalenante. E se i vostri bambini sono ancora piccoli, sappiate che giocare è una buona prassi preventiva, perché è una delle prime forme di interazione sociale, è la matrice su cui si costruiscono le regole di interpretazione dei comportamenti sociali.

Il gioco è meno competitivo rispetto alla vita reale, è il luogo dove possiamo “far finta che” e costruire uno scenario protetto dove fare e rifare le prove, preparandoci a vivere “per davvero”.

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