Vivere alle Fiji: socialità e condivisione contro l’isolamento

da | 22 Lug, 2022 | Lifestyle, Persone

Chi non ha mai sognato di vivere per un periodo alle Fiji? Cittadina del mondo e mamma, Sylvia è parte un gruppo di donne nato per favorire sostegno reciproco e scambio culturale

Le isole Fiji, perle del Pacifico, sono un paradiso tropicale dove il mare è sempre caldo e la cui popolazione è stata definita una delle più amichevoli del pianeta. 

Ma come si vive, davvero, in un paradiso tropicale? E come, chi abita qui, affronta la vita “isolata” e distante dal proprio paese d’origine in un luogo che sembra lontanissimo dal resto del mondo?

Sylvia vive alle Fiji da due anni: insieme al compagno e alla figlia Amelia, di 9 anni, è arrivata in piena pandemia. 

Cittadina del mondo, ha vissuto in Inghilterra, Turchia, Tunisia, Afghanistan e Sud Sudan; dopo la nascita della bambina, la famiglia ha trascorso i primi anni in Kenya, poi in Italia, e ora è approdata alle Fiji. 

Una vita da expat senza dubbio ricca di emozioni e novità, ma che si porta dietro anche delle difficoltà, in particolare quelle legate all’ennesimo riadattamento dei figli.

Ma in tema di reinserimenti in nuovi paesi Sylvia è esperta, sia dal punto di vista pratico che emotivo, legato alla socialità di cui si sente il bisogno e che bisogna ricostruire da zero.

Un adattamento per ogni età

Quando nel 2020 la famiglia arriva Suva, capitale delle Fiji, Sylvia è già super esperta di traslochi. Questa volta però c’è Amelia, e la nuova esperienza è un salto nel buio: ogni età infatti ha i suoi problemi di adattamento e quando i bimbi crescono spostarsi appare meno facile.

“Dopo anni di esperienza, siamo ormai esperti in relocation – racconta Sylvia -. Ogni luogo è ovviamente un mondo a sé, ma con il tempo abbiamo imparato come organizzarci al meglio per prevenire, nei limiti del possibile, i problemi che possono insorgere.

Devo ammettere di essere stata preoccupata per Amelia, non sapevo come avrebbe reagito questa volta a quello che avremmo trovato. Alla fine per fortuna è andato tutto abbastanza liscio: forse perché, avendo vissuto in Kenya, conosceva già bene l’inglese e questo è un grande vantaggio. Lei ha un carattere solare, si adatta alle situazioni nuove e fa facilmente amicizia: il fatto di essere figlia unica l’ha portata sempre a cercare il contatto con bambini fuori casa. 

Al nostro arrivo qui aveva solo sette anni, età considerata ancora ‘gestibile’ per il reinserimento in un nuovo ambiente. Non nascondo però di essere un po’ preoccupata per gli spostamenti futuri, non ancora in programma, ma inevitabili; in particolare nel periodo dell’adolescenza. Per chi come noi, vive una vita da expat, l’aspetto relativo allo spostamento dei figli è sicuramente quello più preoccupante”. 

Viviamo così

Un ambiente multiculturale ma poco locale

A Suva Amelia frequenta la Scuola Internazionale, opzione quasi obbligata per chi, come lei, si trova spesso a cambiare paese per via del lavoro dei genitori. 

“Tra i principali vantaggi della Scuola Internazionale c’è la varietà culturale: è frequentata da bambini e ragazzi che vengono da tutte le parti del mondo, davvero molto arricchente per loro..  

E poi ci sono le questioni pratiche: la scuola è ben organizzata per accogliere bambini che arrivano in qualsiasi momento dell’anno, sia per i processi di inserimento sia per il supporto linguistico. Questo è un aspetto che tranquillizza molto i genitori. 

Inoltre, nel caso delle famiglie che si spostano ogni tot anni, permette di dare continuità ai bambini rispetto a programmi, lingua e sistema educativo. Inserirli ogni volta in un sistema locale, viste le enormi differenze tra un paese e l’altro, sarebbe davvero un grande ostacolo e per noi è l’unica soluzione possibile”. 

Ma non ci sono solo vantaggi. “Oltre a essere a mio parere molto costosa, non fa in modo che i bambini si avvicinino alla vita locale se non in piccola parte. Deve essere quindi la famiglia a cercare di colmare questa carenza provando a integrarsi il più possibile”.

Non solo palme e cocktail

Cultura, ritmo di vita, paesaggi, clima: rispetto alla vita in Europa, vivere alle Fiji è tutta un’altra cosa. Gli stranieri che si trasferiscono qui considerano i fijiani come persone che amano la vita slow,  in generale amichevoli e solari. 

Tuttavia bisogna considerare anche l’enorme divario sociale ed economico: le Fiji sono infatti considerate paese in via di sviluppo. Il clima non è sempre sole e cielo azzurro, ma spesso bisogna affrontare anche cicloni improvvisi. 

“Quando dici che vivi alle Fiji le persone che non sono mai state qui ti immaginano tutto il tempo in spiaggia, a fare snorkeling nella barriera corallina, oppure sotto una palma con un cocktail in mano. 

Un immaginario che non corrisponde esattamente alla realtà. Vivere a Suva significa fare vita cittadina; qui non ci sono spiagge, c’è un microclima molto umido e piove spessissimo. 

A noi piace il caldo e non ci mancano per nulla il freddo e la nebbia padana, ma chi ama il clima più fresco patisce. 

Per quanto mi riguarda è un buon posto dove vivere: a un’ora dalla capitale si raggiungono spiagge bellissime. 

Alcune isole minori sono costose perché ospitano un unico resort di lusso, altre hanno prezzi più accessibili. 

Noi abbiamo avuto la fortuna di arrivare qui subito dopo il lockdown: non c’erano casi, non si utilizzavano mascherine e le isole erano completamente chiuse al turismo. 

Le strutture alberghiere e i resort proponevano tariffe scontatissime per attirare il turismo locale e questo ci ha permesso di visitarne più di una.

A partire da quest’anno però, l’arcipelago è di nuovo aperto al turismo, quindi i prezzi sono nuovamente aumentati, quindi ci andiamo frequentemente.

In generale, nel nostro tempo libero facciamo gite nei dintorni della capitale o organizziamo attività tipiche delle città in cui fa caldo tutto l’anno, come barbecue e feste nel giardino delle famiglie che abbiamo conosciuto”.

10 ore di fuso orario

Rispetto ad Asia o America, per gli europei vivere alle Fiji significa essere letteralmente dall’altra parte del mondo. Una distanza enorme per tornare a casa e per mantenere i contatti con la propria famiglia. 

“Nel nostro caso la famiglia è lontanissima ed è complicato anche sentirci: ci sono 10 o 11 ore di differenza di fuso orario con l’Italia, quando mi sveglio al mattino spesso i miei genitori vanno a letto. 

Anche per questo motivo ci imponiamo di tornare due volte all’anno. Un obiettivo ambizioso, specialmente l’anno scorso, quando, per via della pandemia, c’erano pochi voli e per trovare le giuste connessioni dovevamo affrontare viaggi di 40 ore, a volte anche 60, per tornare a casa. 

Tuttavia vogliamo continuare a farlo soprattutto per Amelia: è vissuta buona parte della sua vita fuori dall’Italia e vorremmo che mantenesse un buon legame con il nostro paese di origine, con i nonni e i cugini, e per questo trascorrere dei periodi con loro è fondamentale”.

Viviamo così

Regola numero uno: la rete sociale

Per chi sceglie di vivere lontano dalla propria famiglia e rete di amicizie, crearsi una rete sociale in loco è spesso fondamentale: un giro di amicizie, spesso expat che vivono la stessa esperienza, è importante per non sentirsi isolati e avere qualcuno su cui contare nel caso del bisogno.

“Buttarsi, conoscere persone anche di età diverse dalla tua, confrontarsi con expat che vivono la tua esperienza ma anche locali: è la mia regola di base da sempre. 

Con il trascorrere degli anni e l’aumentare del numero di paesi in cui ho vissuto, mi rendo sempre più conto di quanto sia davvero necessario. 

Non è un approccio che hanno tutti ovviamente: c’è chi preferisce una vita più tranquilla e riservata, ognuno trova il suo modo per stare bene. Per me non importa tanto il luogo in cui vai ma la qualità della rete di amicizie che riesci a costruire.

Trovare persone con cui trascorrere bei momenti è un fattore imprescindibile per una buona qualità della vita e per poter contare sul loro supporto nei momenti difficili è importantissimo per chi vive lontano dalla propria famiglia.

Perché come tutte le esperienze, la vita da espatriati ha i suoi aspetti eccitanti ma anche quelli duri”.

Regole numero due: socialità e condivisione

“Quando sono arrivata a Fiji ho avuto la fortuna, dopo poco tempo, di entrare a far parte di un gruppo di donne, soprattutto expat ma anche locali, che mi ha aiutato a sentirmi molto meno isolata. Avevo già vissuto esperienze simili in altri paesi ma questo gruppo è stupendo perché vario, molto attivo, e ognuna ha la libertà di esprimersi come meglio crede. 

Se possibile ci incontriamo una volta alla settimana, anche se non ci siamo mai tutte, e a ogni incontro proponiamo un’iniziativa o un’attività per stare insieme, dibattiti su tematiche che ci stanno a cuore, oppure una di noi ‘insegna’ alle altre qualcosa sulla base delle proprie competenze o passioni. 

Siamo una ventina, di circa quindici paesi diversi: c’è la Cina, la Russia, l’India, la Colombia, la Nigeria, il Camerun, la Spagna, l’Australia, l’Inghilterra, le Filippine, la Corea, la Nuova Zelanda, il Giappone, la Romania e ovviamente le Fiji.

Un melting pot da cui emergono interessanti confronti e discussioni. Recentemente ad esempio, abbiamo affrontato la tematica green, ovvero come attivare qui a Fiji un sistema di riciclaggio della plastica, problematica urgente qui nelle isole del Pacifico, dove molta plastica finisce in mare!

Ovviamente uno degli aspetti più interessanti è quello di conoscere la cultura delle altre: abbiamo così festeggiato il capodanno cinese, organizzato una festa indiana e un workshop di flamenco. Lo scopo è quello di stare insieme, in una dimensione tutta femminile, per confrontarsi e rafforzare la propria rete sociale sull’isola. 

In generale a Suva ci sono tante persone che si dedicano ad attività di volontariato e che organizzano iniziative. 

Questo gruppo nasce per contrastare l’isolamento in modo leggero e festoso, e i nostri incontri hanno ancora più valore dopo il periodo della pandemia. 

La cosa bella è la condivisione della propria cultura e delle proprie capacità, e vedere che dall’altra parte c’è sempre qualcuno che ha voglia di imparare e che ogni iniziativa è ben accolta.

E’ un po’ l’essenza del ‘micromondo’ ogni espatriato prova a costruirsi nel nuovo paese di adozione: un tipo di vita che ti offre una grande ricchezza, e ti permette di incontrare nel tuo cammino tante persone diverse, vedere le cose attraverso il loro punto di vista e da una prospettiva culturale differente”.

viviamo così

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