La strada è la mia tela: lo street artist Ale Puro si racconta (anche come papà)

da | 16 Feb, 2017 | Persone

“Sono uno di quei nonni che si occupano dei nipotini durante la settimana. Mi piacciono le cose ordinate e le strade pulite, i palazzi con le facciate appena restaurate. Visito musei e gallerie. Sono stato fortunato, avevo un papà pittore e questo ha stimolatola mia sensibilità artistica. E mi sono chiesto, sin dalla comparsa del fenomeno (e sono passati ormai trent’anni) che cosa volessero dirci questi cosiddetti street artist, pronunciato in inglese perché a dire artisti di strada vengono in mente i madonnari da marciapiede, che a pensarci adesso sono anni che non si fanno vedere in città”.

La discussione è nata sulle panchine dei giardini. Il nonno con cui abbiamo cominciato a chiacchierare teneva lo sguardo fisso sul muro “imbrattato” dal disegno che ci stava  di fronte. La discussione si è allargata. All’arte. Alla strada. Ai bambini. Al cambiamento. Al diventare genitori e poi nonni. Al merito della street art, che non sta soltanto nel rendere bello uno squarcio grigio di città, ma nella esplicita intenzione di portare l’arte fuori dai consueti e angusti spazi “da iniziati”.

L’arte di strada costringe tutti a confrontarsi con un elemento estetico, a interrogarsi su cosa sia arte oppure no, a schierarsi, ad accettare o rifiutare, a distinguere l’arte dal vandalismo, senza alcuna tutela o suggerimento proveniente da un direttore, un gallerista o un curatore. Lo diceva anche Keith Haring, forse il più noto street artist: “Mi è sempre stato chiaro che l’arte non è un’attività elitaria riservata all’apprezzamento di pochi. L’arte è per tutti”.

La street art e Ale Puro

La street art si esprime attraverso tecniche e forme diverse, come il writing, lo stencil o gli sticker. Si distingue dall’arte tradizionale solo per il luogo in cui si trova e per le modalità con cui viene prodotta ed esposta. Tutte queste tecniche sono accomunate da una motivazione di fondo: l’urgenza di esprimere ed esporre un moto artistico libertario e antiproibizionista, al di fuori delle convenzioni, in un luogo pubblico, in diretto contatto con i fruitori che transitano sotto, sopra o a fianco dell’opera.

Gli antenati della street art si trovano nella tradizione popolare (il muralismo) o nelle correnti artistiche americane, dall’espressionismo astratto alla pop art, di cui però la strada ribalta il messaggio: sempre arte e sempre a beneficio delle masse, ma in pezzi unici e non in forma seriale come professava Andy Warhol.

“Agli esordi la street art affondava le radici nell’antagonismo, nel contrasto con la municipalità, scontando la propria dichiarata illegalità – continua il nonno dei giardini – ma si è andata progressivamente istituzionalizzando, in forme di aperta collaborazione con gli enti pubblici. La troviamo negli interventi di recupero estetico degli spazi e delle aree urbane: un esempio su tutti è l’East Side Gallery, cioè la decorazione dei frammenti residui del muro di Berlino, diventato monumento protetto. Per altri versi, invece, si è evoluta influenzando e interagendo con il design e la comunicazione in genere. Oggi è una corrente artistica riconosciuta e variegata, con artisti noti a tutti, come Bansky o il bolognese Blu oppure Pao, di cui tutti conoscono i panettoni decorati a forma di pinguino. E questo giovane Ale Puro, che è andato a dipingere il muro della scuola di mio nipote e che ispira la sua arte proprio ai bambini”. Un bimbo malinconico, una bimba con lo sguardo sognante. Sono loro a guardarci dal muro di fronte.

 

I bambini sui muri della città

Ale Puro, visto di spalle, col cappuccio della felpa tirato su, sembra un ragazzo e non l’artista affermato e due volte papà che in effetti è. “Sono stato invitato a disegnare un murales in una scuola – racconta – ed è stata un’esperienza. I bambini mi hanno letteralmente massacrato di domande, ogni particolare era oggetto di discussione, ciascuno aveva il suo consiglio da darmi e nessuno si stupiva che stessi disegnando su un muro che fino a quel momento era inabitato e insignificante. Invisibile, ai loro occhi”.

I tuoi disegni di bambini sono il tuo tratto caratteristico e il motivo della tua notorietà. Ce li spieghi? “I bambini sono il mio soggetto preferito, perché sono più ricchi di immaginazione. Sono i personaggi più liberi di fantasticare. Quelli che disegno sono un po’ malinconici, pensierosi, come se stessero attraversando una fase di crescita e sapessero di vivere sulla soglia fra la fantasia e la consapevolezza”.

Ale Puro

Viaggi, figli, ispirazione

Diventare padre influenza l’espressività? “Sì, l’arrivo della piccola Nina è stato un momento significativo – risponde Ale Puro -. Sono stato il primo tra i miei amici ad avere figli, dopo aver studiato all’Accademia di Brera, aver lavorato e viaggiato molto, soprattutto in Messico e in India. Direi che mia figlia Nina e i viaggi hanno influenzato in egual misura i miei disegni. Con Ilaria, la mia compagna, sono andato a convivere due giorni prima che Nina nascesse. Eravamo due persone diverse che stavano imparando a conoscersi”.

Essere un writer con un neonato. Non è difficile? “Vero, non posso più uscire tutte le notti, ma rimango sveglio comunque, anche se per motivi legati a Nina, che si addormenta tardi, ed è incredibile quanto poco dorma, pur andando al nido tutti i giorni. Tra una cosa e l’altra si finisce sempre alle ore piccole, così Ilaria e io andiamo avanti a lavorare fino a tardi. Però Nina è una continua fonte di ispirazione: mi perdo nei suoi stupori, nel suo sguardo che vede cose che a noi passano inosservate. Mi affascina la sua curiosità di fronte a qualsiasi evento, come la neve che cade e che riesce a tenerla incantata, mentre noi grandi neanche troviamo il tempo di pensarci”.

Quando hai cominciato a fare graffiti? “Ho cominciato a fare graffiti a 16 anni, a volte con amici, a volte da solo. I primi segni sono stati le classiche tag; il mio nome deriva da una scatola di sigari cubani, i Puros, di cui mi piaceva tanto il significato quanto l’estetica delle lettere. Poi mi sono accorto che la tag non mandava messaggi e sono passato al disegno. Per dipingere uscivamo di notte, in gruppo. Prima si studiavano con cura i colori, il muro, il treno, i cassonetti o qualsiasi altro elemento permettesse di interagire con l’arredo urbano. Dalle case dei privati ci tenevamo alla larga, per scelta”. Hai vissuto parecchio all’estero. Cosa ti è rimasto dei tuoi viaggi? “Nei viaggi mi sono svegliato. Il Messico è il classico posto da sogno per tutti, con uno stile di vita molto simile al nostro. Di mio padre, che viene dal Sud, ho ritrovato modi di fare molto simili. L’India mi ha colpito di più e mi ha aperto un nuovo modo di vedere. Vivevo in un villaggio dove staccavano la corrente elettrica diverse volte a settimana, il classico villaggio nel cuore dell’India. Conoscevo i ragazzi del posto, che per un verso vivevano paradigmi totalmente incomprensibili, come la divisione in caste, e per altri versi erano persone normalissime, del tutto simili ai ragazzi che vivono ovunque nel mondo. Mi invitavano ai loro battesimi e matrimoni, così ho avuto modo di avvicinarmi alla loro cultura. Anche in loro, come nei bambini, ho notato la capacità di stupirsi. Ricordo un uomo, cieco e forse anche sordo, che impagliava sedie per strada con assoluta serenità. Oppure Mayuri, un’amica indiana, che con la massima trasparenza mi spiegava di sentirsi molto fortunata. E io sapevo come viveva: in una casa povera, in un villaggio lontano da tutto, dividendo la stanza con le sorelle e la nonna. Eppure la sua felicità era bellissima, senza la sofferenza futile tipica del nostro modo di vita occidentale. Ricordo, come un aneddoto, di averle fatto vedere le foto della mia città. L’avevano colpita le strade. ‘Ma le pulite apposta per fare le foto?” mi ha chiesto”. Alla piccola Nina piace disegnare? “Con Nina in casa dobbiamo lavorare di nascosto. Quando vede pennelli e colori deve mettersi a disegnare anche lei. Ma è bello vedere l’evoluzione del suo stile. Io da piccolo ero scarso, le suore mi stracciavano i quaderni con le grechine perché non sapevo tirare le linee dritte (neanche adesso). Nina è più avanti: a dirla con parole formali siamo già al figurativo. Ora, tra i miei artisti preferiti (Modigliani, Quentin Blake e Jean-Michel Basquiat) c’è anche Nina!

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