Batti e corri

da | 12 Gen, 2016 | Salute e Benessere

Esiste un diamante che non si trova in gioielleria. Si presenta in terra rossa, con un quadrato che ha per vertici le quattro basi: casa base, prima, seconda e terza base. Disciplina di origine anglosassone, il baseball è uno sport di squadra, in cui si cimentano nove giocatori per nove inning, alternandosi a turno nella fase di attacco e difesa. Per sapere dove, quando e perché cominciare a giocare a baseball, parliamo con Marco Mannucci (anche lui giovane genitore) presidente regionale della FIBS, la Federazione Italiana Baseball e Softball, che conta oggi 23 società, ciascuna presente con diverse categorie, dai più grandi ai piccini.

A che età è consigliabile cominciare a giocare a baseball? “L’attività agonistica può cominciare intorno agli 8 anni, anche se esistono campionati indoor che permettono ai ragazzini già dai 6 anni di avvicinarsi e prendere confidenza con questo sport. Iniziare dopo i 14/15 anni può essere tardi per raggiungere un discreto livello agonistico. Il softball consente, invece, attraverso i campionati misti, di avvicinarsi a livello amatoriale a qualsiasi età“.

Perché scegliere il baseball? “Premesso che ogni sport ha le sue qualità, va detto che nel softball e nel baseball si ritrovano alcune caratteristiche dal punto di vista educativo e formativo. La prima è certamente il “turno di battuta”: ovvero ognuno ha il proprio turno di battuta, ciò vuol dire che un giocatore batte almeno 4 volte, oltre ovviamente al proprio impegno in difesa. Questo significa coinvolgere tutti allo stesso modo, dai più timidi ai più disinvolti. È uno sport dove difficilmente ci si nasconde ed è molto netto: se sbagli paghi, ma sei fai bene non sfugge ugualmente. È una disciplina che premia le persone riflessive: bisogna ragionare prima di ogni lancio e ciò insegna a pensare in anticipo. Questo è un insegnamento che rimane anche nella vita. Diciamo che non c’è molto margine di improvvisazione: è un gioco codificato dove è difficile trovare un fantasista. Il fuoricampo è un risultato di tecnica e potenza”.

Il focus non è sulla palla
“Altro aspetto curioso è che nel baseball il punto lo segna il corridore che torna a casa base. In quasi tutti gli sport il punto lo segna la palla che entra in rete o nel canestro o in buca. È un gioco di squadra nel vero senso della parola. Si pensi alla “giocata di sacrificio”, in cui il battitore sacrifica una propria azione a vantaggio del compagno di squadra. E poi si impara il rispetto dei ruoli“.

Ci sono tante regole? “Sì, ma dopo aver giocato tre partite si apprende almeno il 60% delle regole. Sembra difficile, ma in realtà molte regole sono riconducibili ad altre piuttosto semplici. Poi ci sono anche quelle che si apprendono solo dopo anni di gioco, ma sono una piccola categoria residuale”.

Qual è l’allenamento ideale? “Si comincia con due pomeriggi a settimana. Ad alto livello i migliori risultati si ottengono allenandosi un’ora e mezza tutti i giorni“.

È possibile diventare dei campioni? “In Italia è difficile e comunque non si diventa ricchi. Però è uno sport che facilmente può portarti in giro per il mondo per giocare e confrontarsi con culture diverse. Mi viene in mente l’esperienza di Riccardo Cirillo, un ragazzo che lo scorso anno ha partecipato con la nazionale italiana Under 12 ai mondiali di Taipei in Cina. Personalmente l’esperienza più bella che ricordo nella mia carriera di lanciatore sono stati due mesi negli Stati Uniti per un try-off. Trovo che ci sia molta cultura in questo sport. In America, per esempio, ogni partita è vissuta come una festa che coinvolge tutta la famiglia”.

[Cathia Zedde]

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