Cadere e rialzarsi è una cosa da grandi. L’importanza della caduta nello sviluppo del bambino

da | 12 Apr, 2018 | Salute e Benessere

Cadere e rialzarsi: il gesto più importante fin dai primi passi. Ci sono nomi come Goethe, Jim Morrison, Muhammad Ali e Confucio che non solo ammettono, ma persino celebrano la caduta. E l’importanza di saper cadere e saper rialzarsi è celebrata anche nello sport: il  rugby, le arti marziali, l’equitazione, la ginnastica, la lotta, fino al paracadutismo e al parkour.

L’atto di cadere, che nell’immaginario collettivo è spesso sinonimo di errore, resa e fallimento, è uno strumento di conoscenza, di accettazione, se non, addirittura, un punto di forza.

Non si può cadere dal pavimento

Dal basso non si può cadere. “I bambini sono come i cuccioli di qualsiasi specie e iniziano a organizzare il loro mondo partendo dal suolo – spiega Massimo Bugnano, istruttore della Federazione istituti superiori Arti Marziali, FISAM -. Il contatto diretto con la terra costituisce un laboratorio fondamentale nella crescita psicofisica di ogni futuro individuo“.

Gli adulti basano la loro vita sensoriale principalmente su vista e udito, ma nei neonati questi due sensi sono in fase embrionale. Sono il tatto e il gusto ad avere un ruolo preponderante nell’esplorazione dell’ambiente. “Lo dimostra il fatto che tutti i bambini, indiscriminatamente, toccano e si infilano in bocca qualunque cosa, è il loro modo di conoscere, di costruire la propria esperienza, distinguendo tra bello e brutto, buono e cattivo, piacevole e sgradevole. Al suolo dovranno affrontare la prima grande sfida con la gravità, capire come gestirla e assecondarla; dovranno sviluppare doti coordinative per spostarsi, comprendere le distanze, relazionarsi con lo spazio e il tempo. Questo apprendistato sul terreno sarà il background motorio che li accompagnerà per tutta la vita”.

A contatto col suolo

Il senso di protezione di molti genitori, unito a un po’ di superficialità e di pigrizia (anche mentale) priva il bambino di quel laboratorio sensoriale che è il contatto col suolo. “Avete notato quante volte capita di sentire: tirati su, stai rovinando i pantaloni, per terra è sporco, guarda che ti fai male -continua Massimo Bugnano -. Così facendo si instilla fin dalla tenera età l’idea che gattonare, rotolare per terra, cadere, siano comportamenti sbagliati, inopportuni. Eppure cadere rappresenta un momento di apprendimento insostituibile, sottovalutato nel sistema educativo occidentale moderno. Si pensa (erroneamente) che l’unica educazione che conti sia quella scolastica, ma una visione sistemica dell’individuo suggerisce che mente e corpo siano in stretta relazione”.

È la “mens sana in corpore sano” di cui parlavano i latini e, ancor prima, gli ellenici. “Lo hanno capito bene anche le arti marziali del vicino Oriente, dove le cadute e il contatto col suolo sono la prima lezione da imparare sul dojo. La differenza tra un maestro e un principiante non sta nel fatto che il maestro non cade mai, ma sa cadere senza farsi male; maestro è colui che se cade non è sconfitto, ma è ancora attivo, pericoloso, in grado trasformare l’apparente svantaggio in vittoria”.

Cadere e rialzarsi, senza farsi male

Cadere è imprescindibile, inevitabile e utile. Più lo si fa da piccoli, meno rischi correremo da grandi. “A ben vedere, sono sempre gli adulti a riportare i danni più gravi da contatti improvvisi e inaspettati col suolo; questo perché sono rigidi, hanno perso quell’elasticità, non solo fisica ma anche mentale, che li portava a superare la paura del contatto. Così, spaventati da ciò che non conoscono più, finiscono col sentirsi a disagio in situazioni che escono dalla loro zona di comfort. Lo vedo in palestra: c’è chi si muove con consapevolezza e serenità, chi con paura. Cadere non è banale, non è una cosa da bambini, ma un’eventualità di ogni età. Sapere come non farsi male o come farsene il meno possibile rappresenta un ottimo investimento per la propria vita di adulti”.

Equilibrio dinamico

Non aver paura di cadere è un ottimo modo per mantenersi giovani. Il contatto con il suolo e con gli altri aiuta a diventare consapevoli del proprio corpo. Non a caso, il contatto fisico con la mamma, cioè le coccole, sono la prima forma di linguaggio riconosciuta da un bambino. “È attraverso la pelle che diventiamo degli esseri in grado di amare, non s’impara ad amare sui libri, ma essendo amati”, scrive l’antropologo e saggista inglese Ashley Montagu.

Lo parafrasa il più noto Lorenzo Cherubini, che ha fatto della gioventù il suo nome d’arte: lasciare cadere nostro figlio o nostra figlia non è un atto di irresponsabilità, ma significa comunicargli, senza parole, “mi fido di te”. Che mondo sarebbe se anche i grandi si ricordassero che “la vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare”?

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