Tra schermi e quaderni, come cambia l’apprendimento di ragazzi e ragazze. I dati parlano chiaro, ma non tutto è da condannare
Negli ultimi anni, il dibattito sull’impatto dei dispositivi digitali sull’apprendimento scolastico si è intensificato. Uno studio pubblicato su JAMA Network Open ha seguito oltre 3.000 bambini in Ontario, Canada, dal 2008 al 2023, analizzando il tempo trascorso davanti a schermi (TV, smartphone, tablet, videogiochi) e i risultati ottenuti nei test standardizzati di lettura e matematica in terza e sesta classe. I dati mostrano una correlazione tra l’uso intensivo degli schermi e punteggi più bassi in queste materie, soprattutto tra le bambine che giocano ai videogiochi. Tuttavia, non è stata riscontrata alcuna incidenza negativa sulle capacità di scrittura.
La dottoressa Catherine Birken, del SickKids Research Institute di Toronto, sottolinea l’urgenza di promuovere abitudini digitali sane fin dalla prima infanzia. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i bambini tra i due e i quattro anni non dovrebbero superare un’ora di schermo al giorno, mentre per quelli sotto l’anno l’uso dovrebbe essere evitato del tutto. Ma come spesso accade, la realtà è più sfumata: il tempo sullo schermo non è tutto uguale, e non sempre è dannoso.
Non solo danni: quando lo schermo aiuta
Nonostante le preoccupazioni, alcuni studi recenti evidenziano anche potenziali benefici. Un rapporto del 2025 dell’Unione Europea suggerisce che un uso moderato e condiviso dello schermo, ad esempio tra genitori e figli, può favorire lo sviluppo linguistico nei bambini piccoli. L’interazione, più che il contenuto, sembra essere la chiave. Chris Ferguson, psicologo alla Stetson University, invita alla cautela nell’interpretare i dati: “Le implicazioni nel mondo reale sono molto meno certe”, afferma, ricordando che la correlazione non implica causalità.
In effetti, la qualità del tempo digitale conta più della quantità. Guardare un cartone animato passivamente non equivale a partecipare a un gioco educativo interattivo. E se il bambino è guidato da un adulto, l’esperienza può diventare un’occasione di apprendimento condiviso. Il problema non è lo smartphone in sé, ma come, quando e perché viene usato.
Soluzione? La didattica consapevole
Il rapporto tra smartphone e compiti non è un duello, ma una convivenza da gestire. Demonizzare gli schermi rischia di essere sterile, così come ignorarne gli effetti può essere pericoloso. Serve una pedagogia digitale che sappia integrare le tecnologie nella vita scolastica e familiare, senza perdere di vista il benessere emotivo e cognitivo del bambino.
Insegnare ai più piccoli a usare lo smartphone con consapevolezza è già un compito educativo. E forse, più che limitarli, dovremmo accompagnarli. Perché tra un’app e un esercizio di matematica, ciò che conta davvero è la relazione che si costruisce — con gli strumenti, con gli adulti, e con se stessi