Lo spreco alimentare è aumentato del 50% negli ultimi quarant’anni, risultato della crescita del benessere
C’è la confusione tra bene e merce e tra valore e prezzo: da qui dobbiamo partire quando parliamo di spreco alimentare. La spersonalizzazione dell’acquisto di cibo: dal banco del negozietto o dalla bancarella (magari di un contadino) nel mercato rionale, alla rastrelliera di un supermercato. E ancora la pubblicità e la politica aggressiva del marketing della grande distribuzione da cui deriva la figura del consumatore moderno: consumiamo, non mangiamo, è già un messaggio. E poi la scarsa conoscenza della reale durata e commestibilità dei prodotti agroalimentari che si acquistano. E poi, come ulteriore derivato, c’è lo spreco enorme alla fonte, nei campi, nei frutteti, negli orti, da una parte per le rigide regole di acquisto dei prodotti da parte della grande distribuzione organizzata (per dire: le carote storte, i calibri troppo grossi o troppo piccoli, la frutta “brutta” o lievemente intaccata che non viene ritirata) e dall’altra la remunerazione talmente bassa che spesso non coprirebbe le spese di raccolta. Così i prodotti restano nei campi o sugli alberi.
Un po’ di numeri, tanto per capire di cosa stiamo parlando: lo spreco alimentare è aumentato del 50% negli ultimi quarant’anni, risultato della crescita del benessere (che evidentemente non coincide col ben essere). Nel mondo si buttano via ogni anno circa un miliardo e trecento milioni di tonnellate di cibo perfettamente commestibile. Di questi, novecento milioni tra campi e negozi (supermercati soprattutto), il resto lo facciamo noi direttamente a casa nostra, nelle mense e nei ristoranti. Nel nostro piccolo, in Italia si lasciano marcire nei campi circa diciotto milioni di tonnellate di prodotti agricoli, quasi altri due milioni vengono sprecati dall’industria di trasformazione agroalimentare, trecentomila tonnellate si perdono nella distribuzione (soprattutto iper e supermercati, che in fondo sprecano meno in proprio, ma inducono tutti gli altri sprechi), e poi arriviamo noi a dare la botta finale (i dati dicono che buttiamo via tra il 30 e il 40% di quanto acquistiamo).
Dati che fanno paura, vero?
E ci spaventeremmo ancora di più se traducessimo in soldi, in euro, il valore di questo spreco.
Ma, soprattutto, se quei prodotti agroalimentari non fossero considerati merci con un prezzo di mercato ma dei beni alimentari che hanno valore, probabilmente ci si penserebbe due volte prima di destinarli alla pattumiera. Se si riflettesse sul fatto che sono prodotti dalla natura grazie al lavoro di uomini che investono fatica, pazienza e sapienza per metterceli a disposizione, forse li si guarderebbe sotto un’altra luce.
E forse se questi prodotti ce li procurassimo direttamente da chi li coltiva e produce, ci sarebbero più evidenti i “valori” che portano con sé. Magari non li butteremmo così facilmente, neanche sotto forma di avanzi della tavola, tanto meravigliosamente recuperabili e valorizzabili, come ben sapevano le nostre nonne.
Si tratta quindi, da parte nostra, di cambiare l’approccio e la mentalità, capire il valore che hanno questi beni materiali e comuni.
È esattamente quello che sta facendo da anni Slow Food, con i Presidi, con i Laboratori del Gusto, con gli Orti in Condotta, con i Mercati della Terra, con i Gruppi di Acquisto, con i progetti di recupero degli sprechi alimentari come Last Minute Market. Ma proprio il Last Minute Market, che consiste nel recupero e nell’utilizzo da parte di associazioni assistenziali di merci edibili destinate alla discarica, seppur lodevole e meritevole, è una trasformazione dello spreco in risorsa: una toppa sullo strappo per abbassare la vergogna, non un’eliminazione dello spreco. Che va invece eliminato, ridotto a zero.
Per avvicinarsi a questo obiettivo serve concretamente un cambio del nostro stile di vita, della nostra visione del cibo. Serve un grande cambio di passo, un grande cambio di mentalità e pensiero, perché, come diceva Albert Einstein: “un problema non si risolve col pensiero che lo ha creato”.
[Bruno Boveri – Presidente Slow Food Piemonte]