Una bambina, una fattoria, una comunità: Anita e i suoi fratelli è un luogo dove l’inclusione e il diritto di crescere liberi si coltivano nel tempo
Un cambio di sguardo che apre a un percorso illuminante, fatto di incontri con famiglie, diritti da rivendicare e un movimento sempre più vivo e grande che lotta per l’autodeterminazione delle persone con disabilità: è la storia di Anita e della sua famiglia e della loro associazione, Anita e i suoi fratelli. Ce l’ha raccontata la mamma, Chiara.
La nascita di Anita e un nuovo sguardo sul mondo
Nasce nel 2017 la piccola Anita, terza arrivata in una famiglia già vivace: la sua nascita si rivela per Chiara da subito un’esperienza nuova e profonda di maternità. Poco dopo essere essere venuta al mondo, infatti, alla bimba viene diagnosticata la Trisomia 21, ovvero la sindrome di Down.
“Per motivi di lavoro e formazione personale ero entrata in contatto con il mondo della disabilità e, anche per questo motivo, avevo scelto di non affrontare l’amniocentesi, sentendomi pronta ad accogliere la mia bimba per come sarebbe venuta al mondo. Ovviamente, nonostante la mia preparazione teorica, nella realtà l’impatto emotivo è stato potente: la paura di non riuscire ad accompagnare Anita verso una vita felice, verso la libertà, non trovava risposte razionali. Ma un incontro fortuito, direi chiave in questa esperienza, ha portato me e il mio compagno a spostare il nostro punto di vista. Sono state la pediatra dell’ospedale e la neuropsichiatra che, tenendo Anita in braccio, ci hanno chiesto, senza soffermarsi sulle sue difficoltà: Cosa sognate per il suo futuro? Da quel momento, la prospettiva è cambiata. Ci siamo messi da parte e abbiamo messo Anita al centro, come una bambina con sogni e desideri da realizzare, proprio come avevamo fatto con i suoi fratelli”.
Il sogno che prende forma: la fattoria didattica
L’associazione “Anita e i suoi fratelli”, nata nell’agosto 2018, un anno dopo la nascita della bimba, ha un luogo fisico: si trova a Portacomaro, in provincia di Asti, ed è una fattoria didattica, realizzazione tangibile di un sogno condiviso.
“Dopo la separazione dal padre dei miei due figli, e prima di conoscere il papà di Anita, mi ero trasferita in un paese vicino e avevo chiuso il maneggio che possedevo, anche se continuavo ad avere la proprietà agricola. Quando abbiamo riflettuto su ciò che volevamo per Anita bambina era uno spazio dove poter giocare liberamente e imparare. Quel terreno, in un contesto naturale ricco di biodiversità, era rimasto lì in attesa di questo progetto. La fattoria era disastrata, ma quando abbiamo lanciato la call to action per cercare volontari per darci una mano e trasformarla in uno spazio gioco, da un giorno all’altro ci siamo trovati fuori dalla porta 80 persone volenterose. Incredibile!
La fattoria non nasce come progetto assistenziale, ma come spazio educativo per tutti i bambini, con e senza disabilità. Anita ci ha ispirati, nel desiderio di costruire un mondo più accogliente, inclusivo e intergenerazionale.
Il suo primo anno di vita è stato segnato da qualche ricovero per motivi di salute, ma anche da grandi intuizioni: ogni volta che incontravo altri genitori nella mia situazione si parlava solo di difficoltà o traguardi raggiunti nonostante la disabilità. Volevo qualcosa di diverso per mia figlia, sentivo la necessità di un luogo dove il gioco fosse al centro, dove i genitori potessero osservare i figli in uno spazio libero e felice. Dove la disabilità non fosse l’unico tema, ma solo una delle sfumature della diversità umana”.
Oggi nella fattoria ci sono cavalli, pony, asini, pecore, galline e oche, tutti animali adottati o salvati da situazioni di maltrattamento. Il lavoro con gli animali è un ponte verso il rispetto dei tempi, delle relazioni, della diversità. “La natura – sottolinea Chiara – è maestra di lentezza e di equilibrio: proprio ciò di cui abbiamo bisogno per uscire dai parametri della prestazione e della competitività, per capire che ognuno è unico con i propri tempi e caratteristiche”.
Una rete di diritti e una comunità che cresce
Con il passare del tempo, le attività della fattoria si sono inserite in una rete di realtà e collaborazioni che ha trasformato il progetto in un esperimento di cittadinanza attiva. Le “domeniche insieme”, che si svolgono una volta al mese con attività a tema e laboratori, coinvolgono famiglie, educatori, associazioni e cooperative come Vedogiovane Asti, Missione Autismo e altre realtà impegnate nell’inclusione.
“L’area agricola accanto alla fattoria è diventata spazio di lavoro e progetto per ragazzi più grandi con disabilità – spiega Chiara -. Grazie al finanziamento del progetto ‘Una serra per tutti’, si coltivano fiori, si gestisce la serra, si costruisce futuro. Il coinvolgimento delle scuole di Portacomaro ha portato tanti piccoli e piccole volontarie e nuove energie, in un modello che punta sull’inclusione reale, quotidiana e concreta. Lo stesso vale per i progetti dei Comuni di Asti, che ci permettono di accogliere il contributo dei ragazzi che non hanno l’abilità lavorativa. Con loro coltiviamo fiori, e viene fornito un finanziamento per ogni metro quadro di fioritura.
D’estate, organizziamo le Settimane Verdi, per accogliere piccoli gruppi di bambini; i numeri sono volutamente contenuti per garantire qualità e attenzione. In autunno e inverno si alternano attività ludico-sportive (come la camminata “CorriAnita”) e gli eventi culturali, in uno spirito di apertura che abbraccia tutte le età e le esigenze.
Altro progetto simbolico è il trekking solidale che si svolge solitamente alla fine di agosto: tappe di 20 km al giorno in media, da Bossolasco a Pietra Ligure, percorribili anche in parte, sempre accompagnati da un asino — simbolo di lentezza e convivenza. Nessuno resta indietro: chi corre deve rallentare, chi fatica viene sostenuto. Il cammino diventa metafora del diritto alla vita indipendente, all’autodeterminazione, alla libertà di scelta, alla solidarietà attiva. Tappe e serate di confronto, per ricordarsi che ogni essere umano — in qualunque condizione — ha diritto a vivere con uguaglianza, libertà e dignità”.
Il mio biberon è mezzo pieno
Tra le tante iniziative nate dal percorso con Anita, una delle più toccanti è il libro “Il mio biberon è mezzo pieno”, scritto da Chiara Bertinetti e illustrato ad acquarello da Emiliana Amerio. Un racconto che immagina una piccolissima Anita come narratrice di se stessa, del mondo che la circonda e le persone che la osservano.
“Ho scelto questo modello narrativo perché non volevo essere io a raccontare Anita. Ma è lei che guarda il mondo, dialoga con il Signor Down (a volte fastidioso, a volte sorprendentemente arricchente) e ci restituisce una visione diversa della vita fatta di curiosità, ironia e sensibilità.
L’idea è nata quando eravamo in ospedale per una bronchiolite: immaginavo come Anita percepisse quel contesto, le voci, gli sguardi dei genitori e degli altri bambini, che vedevano qualcosa di diverso persino nella malattia che era uguale a quella degli altri”.
Una storia affettuosa e lucida, per superare il concetto di cura e accompagnamento, e promuovere l’obiettivo della libertà e dell’autodeterminazione.
I fratelli di Anita, Samir e Oliver, sono parte attiva dell’associazione e di questa visione. “In realtà, Samir, che ha 19 anni, da un anno è andato a vivere da solo per lavorare come cuoco all’estero. Non ho mai dato per scontato che debbano occuparsi di Anita. Saranno loro a scegliere, in libertà, che tipo di rapporto vorranno costruire, perché anche loro hanno diritto a libertà e autodeterminazione”.
“Il mio biberon è mezzo pieno” è acquistabile sul sito dell’associazione, ed è parte di un messaggio più ampio: nessun giudizio, ma solo vita vissuta. È nell’esperienza, nello stare insieme, nel gioco e nella relazione che si trasforma il senso della disabilità. E Anita, con il suo sguardo attento e le sue parole immaginate, ci insegna ogni giorno a vedere il mondo con occhi nuovi.