Raggiungere le famiglie, un passo alla volta

Raggiungere OdV è un’associazione che supporta, informa e ascolta le famiglie di bambini e bambine con malformazioni agli arti

Nata con l’obiettivo di offrire supporto, informazione e tutela dei diritti, OdV Raggiungere è un punto di riferimento in Italia per le persone nate con malformazioni agli arti e per le loro famiglie. L’associazione promuove una cultura dell’inclusione e della consapevolezza, accompagnando bambini, ragazzi e adulti in un percorso di crescita e autonomia; si occupa di attività educative e sensibilizzazione, con un’attenzione particolare al ruolo delle famiglie e all’importanza di una rete capillare di sostegno, per “raggiungere”, appunto, tutti coloro che si trovano davanti a una situazione che si può affrontare solo con la condivisione e la giusta informazione.

Un gruppo di genitori in ascolto e condivisione

“Raggiungere è nata nel 1986 da un gruppo di genitori di bambini o bambine nati con una malformazione agli arti. E tra loro c’erano anche i miei genitori”, racconta Carlo Antonini, socio attivo dell’associazione e privo dell’arto superiore destro, a causa di una malformazione congenita.

“All’epoca non esisteva nulla: nessun punto di riferimento, nessuna informazione, nessun confronto. Spesso le famiglie si sentivano sole. Non c’era Internet a disposizione e creare una rete con chi viveva una situazione simile non era facile”.

Nel tempo l’associazione è cresciuta, trasformandosi da un piccolo gruppo di auto-mutuo-aiuto a una realtà nazionale, con sedi in diverse regioni e una rete di volontari e professionisti.

“Il nostro punto di forza è sempre stato l’ascolto, sin da quando ai genitori in attesa di un figlio o una figlia viene comunicato che qualcosa non va: in questi casi si tratta di assenza o di malformazione di uno degli arti. Un’emozione difficile da gestire, combinata con una grande paura per il futuro. Le famiglie che ci contattano trovano qualcuno che ha vissuto le stesse esperienze, che può dare risposte concrete e, soprattutto, può capire. Siamo una comunità che si sostiene, che condivide informazioni, che si batte per i diritti e che cerca di migliorare la qualità della vita non solo delle persone con malformazioni agli arti ma di tutta la famiglia, che è il miglior accudimento su cui un bambino può contare, e che quindi deve essere coinvolta in questo processo”

Le protesi e la corretta informazione

Parlare di assenza di arti oggi è inevitabilmente associato all’esistenza, accessibilità e innovazione delle protesi. “Sull’argomento ci dichiariamo generalmente agnostici. Ovvero: non possiamo consigliare tipologie di protesi e neanche suggerire alle famiglie che sosteniamo se utilizzarle oppure no, perché questo varia da caso a caso. Io le utilizzo per guidare o per andare in bicicletta, ma non trattandosi di protesi robotiche non le uso spesso perché significa portarsi dietro solo un peso. L’utilizzo della protesi nella vita quotidiana dovrebbe essere una scelta e non una necessità: dovremmo creare un modo accessibile a tutti per come siamo fatti. Solo così possiamo smettere di sentirci persone a cui manca qualcosa”.

Per bambini e bambine, però, spesso l’ausilio è fondamentale. “In Italia, purtroppo, il sistema sanitario non garantisce sempre un accesso equo e tempestivo alle protesi, soprattutto per i più piccoli. Tempi lunghi, burocrazia complessa e mancanza di aggiornamento tecnologico penalizzano chi ha bisogno di dispositivi moderni e funzionali. Esistono protesi all’avanguardia, ma hanno dei costi inaccessibili per quasi tutte le famiglie. E anche per supporti come carrozzine, plantari o cosmetica, i tariffari sono aumentati ma non è stato modificato il tetto della copertura sanitaria: in questo modo le famiglie devono coprire la differenza di costi, che è sempre più alta. In Germania, i bambini ricevono protesi più frequentemente, in linea con la loro crescita. Da noi, invece, spesso si aspetta troppo, con il rischio che il bambino perda occasioni fondamentali di sviluppo motorio, con ripercussioni anche sul piano psicologico”.

La cultura della diversità

Docente presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, Carlo Antonini è da poco tornato in Italia dopo un anno trascorso in Canada con la sua famiglia per lavoro. Le differenze tra i due paesi sono tante, ma quali sono quelle più evidenti agli occhi di una persona con una malformazione degli arti? “In Canada avevo l’impressione che le persone si accorgessero di meno della mia disabilità. In Italia è comune che un bambino mi indichi ai propri genitori con faccia sconvolta. Ho avuto l’impressione che in Canada ci sia un approccio completamente diverso con la diversità, che non sia vista come un problema da nascondere: forse è dovuto a una minore attenzione, in generale, all’aspetto delle persone. Inoltre, ho scoperto con grande meraviglia che i Canadesi fanno attenzione a non descrivere gli altri attraverso i tratti fisici, in particolare se questi possono essere oggetto di discriminazione”.

In Italia, invece, identificare una persona per un tratto fisico è la normalità. Anche a scuola o nei contesti sportivi, l’inclusione è ancora troppo legata alla buona volontà dei singoli. Sono temi che rispetto a prima  vengono affrontati maggiormente a scuola, ma purtroppo spesso i ragazzi riportano gli stereotipi e le etichette che sentono degli adulti.

“In campo sportivo si sono fatti passi da gigante, grazie ai Giochi Paralimpici, ma a volte rischiamo di esagerare nel senso opposto, proponendo ai bambini modelli eccezionali, di superuomini o superdonne, quando invece dobbiamo pensare a come affrontare la quotidianità, che già da sola è una grande sfida”.

Sognare un futuro senza etichette

“Il sogno più grande per noi dell’associazione è quello di non dover più esistere”, dichiara Carlo Antonini. “Quando la società è già pronta, accogliente, informata, non serve più protegge una categoria che si sente discriminata”.

Ma fino a quel giorno, Raggiungere ha ancora molto da fare. “Vorremmo essere più capillari, arrivare ai genitori già in gravidanza, quando scoprono che il loro bambino ha una condizione atipica. È un momento di grande confusione e paura. Servirebbe davvero un protocollo condiviso per questi genitori, che li accompagni passo dopo passo. Se il governo non riesce a farlo, a breve, credo proprio che lo faremo noi. Perché ogni bambino ha diritto a essere accolto, sostenuto e valorizzato. E ogni famiglia ha diritto a non sentirsi sola”.

www.raggiungere.it

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