Il servizio di refezione scolastica è nato all’inizio degli anni ‘70, assieme alle prime sperimentazioni di scuola a tempo pieno: la mensa garantiva un pasto bilanciato a tutti gli alunni impegnati, per la prima volta, in otto ore di lezione.
Da pochi mesi, in seguito a diverse sentenze di tribunale (e quindi non per una decisione politica o sociale) le famiglie hanno acquisito il diritto di consumare a scuola il pasto portato da casa (Corte d’Appello di Torino n. 1049 del 21 giugno 2016; ordinanza del Tribunale di Torino n. 22390 del 9 settembre 2016). Tra ricorsi e controricorsi si è creata una spaccatura sempre più netta tra chi è favorevole e contrario, tra chi afferma il diritto individuale di scegliere diversamente e chi ritiene sia indispensabile costruire accordo e partecipazione nei confronti di un’idea comune di benessere sociale e personale. Abbiamo raccolto le ragioni di due famiglie che si sono schierate su posizioni opposte.
Difendiamo il diritto alla mensa
“La mensa insegna a mangiare un po’ di tutto, a stare con gli altri e a condividere, a essere curiosi e ad assaggiare – dice Alessandro, papà di tre figli, del comitato MensAperta -. Insegna a essere (e sentirsi) il più possibile tutti uguali. Perché dire di no? Qualche volta la mensa insegna anche a saltare il pasto per imparare, magari in seguito, a mangiare e apprezzare ciò che prima si è rifiutato”. Tre figli passati dalle mense scolastiche con sostanziale soddisfazione. “Per carità: poteva capitare qualche lamentela ma anche, assai più spesso, il bis e il piatto lasciato perfettamente pulito. Naturalmente la mensa funziona e ha successo se i genitori apprezzano il servizio, o quanto meno non lo denigrano, e se gli insegnanti, nei limiti del possibile, fanno un po’ di educazione alimentare. Nella nostra esperienza, specialmente con il più piccolo, è successo così. In generale, fin dal primo anno i bimbi – tutti i bimbi – della classe assaggiano un po’ di tutto (almeno un assaggio per pietanza) e mi risulta che mediamente apprezzino il cibo proposto.
Grazie alle mense ci sono bambini che godono di un pasto completo: non bisogna dimenticare che c’è chi quel pasto talvolta non lo trova a casa. Tutto è migliorabile (la logistica, il gusto dei cibi, i tempi di cottura) e la mensa potrebbe costare meno (con tre figli è stato un ulteriore mutuo). È giusto e sacrosanto chiedere che ciò accada, ovviamente senza andare contro la scuola come istituzione. Inoltre, c’è il timore che il pasto da casa aumenti il rischio di intossicazioni e che la fuga dalla mensa metta a rischio l’intero sistema, portando all’aumento delle tariffe e al collasso della refezione scolastica. Questo sarebbe un danno enorme per il sistema educativo. In mensa si impara la convivialità, mentre con la nuova organizzazione rischiamo di avere discriminazioni e mettere in difficoltà bambini e insegnanti. Non è questo il modello educativo che vogliamo per i nostri figli”.
Benvenuto panino libero
“So che la commensalità è un bene e capisco i risvolti educativi, ma al di là delle dichiarazioni di intenti, la mensa a scuola è stata progressivamente svuotata di significato, gioia e piacere”. Isabella, mamma di due figli, della mensa ha una esperienza negativa e difende il diritto di portare il cibo da casa. “I miei bambini mangiavano tutto, ma hanno smesso persino di assaggiare appena iscritti alla scuola materna. La mensa era, oggettivamente, ottima, con tanto di cucina fresca. Quello che proprio non andava giù era il clima della refezione, l’eccessivo peso dato alle regole, gli orari (pranzavano alle 11), la pressione per finire tutto quello che c’era nel piatto e l’imposizione di assaggiare almeno un boccone”.
Alle elementari è andata anche peggio. “Frequentavano una sanissima scuola pubblica, ma qui la mensa non era più fresca, i contenitori di cibo arrivavano alle 8 di mattina, le insegnanti, a causa dei tagli dell’orario, si sedevano a tavola solo ogni tanto. Per mancanza di personale l’assistenza è stata subappaltata a una cooperativa che, forse per mancanza di esperienza, non riusciva a gestire i bambini. L’eccessivo rumore in refettorio ha portato la dirigente a imporre il silenzio assoluto durante i pasti.
I menu scolastici, bilanciati sulla carta, erano poco appetibili: diverse volte l’intera classe ha rifiutato anche la pastasciutta. Risultato? Uno spreco elevatissimo (testimoniato anche dal comitato mensa), bambini senza pranzo, a un costo sempre più alto. Ho insistito con i figli, per anni ho provato ogni strada per far loro mangiare di tutto, compreso mandarli a scuola digiuni da 24 ore. Il risultato è stato sempre lo stesso: due piccoli affamati e frustrati all’uscita da scuola. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è arrivata l’ultimo anno, quando l’insegnante ci ha consigliato di far prescrivere dal pediatra la dieta in bianco: avrei dovuto chiedere a un medico di mentire, sperando che mio figlio mangiasse qualcosa a scuola. È questo che si intende quando si parla di intento educativo? La possibilità di portare il panino ci ha regalato la serenità di consumare un pasto senza stress. Abbiamo preso atto che la soluzione unica, buona per tutti, non esiste più. La mensa (giustamente!) garantisce menu per gli allergici, i vegetariani, i vegani e chi segue menu religiosi. Che problema c’è a garantire anche il consumo di un menu da casa?”.









































