Caterina e le conseguenze

da | 23 Apr, 2021 | caterina, Lifestyle, Persone

La parole femminicidio è entrata nel dizionario italiano solo nel 2013, ed è ancora una parola nuova, e non troppo compresa

Stefania Prandi è una giornalista e ha scritto un libro importantissimo, uscito pochi mesi fa: Le conseguenze. I femminicidi e lo sguardo di chi resta, (Settenove editore). 

Lo ha scritto perché si parla tanto e in molti modi di femminicidio, eppure non è ancora abbastanza. 

Lo ha scritto perché è necessario, urgente, responsabilità di ognuno e di ognuna di noi identificare e mettere in pratica tutte le azioni possibili ed efficaci per prevenire la violenza, comprenderne l’origine e smascherarla dove insorge o mentre è in corso. 

Lo ha scritto perché questa parola, femminicidio, è entrata nel dizionario italiano solo nel 2013, ed è ancora una parola nuova: definisce, certo, un fenomeno antico e attuale, ma non ancora abbastanza capito nella sua natura. Definisce, insomma, un fenomeno rispetto al quale siamo troppo poco consapevoli e attrezzati. 

Il femminicidio esiste da quando esiste una società con determinate caratteristiche che, forse, possiamo riassumere così: troppe persone ritengono ancora che le donne siano esseri di proprietà dell’uomo, esseri dei quali disporre a piacimento e che quando una donna decide di esercitare la propria libertà vada riportata al suo posto con la violenza e con l’omicidio. 

Una doppia, abissale, perdita

Lo ha scritto perché quando una donna viene uccisa, spesso dal suo compagno e padre dei figli, nella tragedia e nell’ingiustizia della vita tolta a lei, iniziano altre tragedie e altre ingiustizie che sfigurano per sempre le esistenze di chi sopravvive: i figli e le figlie. 

I figli e le figlie si trovano ad affrontare una doppia, abissale perdita, un lutto e un atroce tradimento, perdendo la mamma nel modo più violento e perdendo la figura del padre che è stato l’assassino della madre. 

I genitori delle donne uccise spesso si prendono cura per anni, già anziani, soli, distrutti dal dolore, di nipoti traumatizzati, orfani, arrabbiati, depressi. 

Le domande di chi è rimasto

Lo ha scritto per ascoltare. Per raccontare le parole e il dolore, l’amore (vero) e l’attivismo, le domande di chi ha ascoltato, di chi è rimasto: le madri, i figli, le figlie, i padri. 

Lo ha scritto perché i famigliari che sopravvivono – ed è loro lo sguardo nel titolo – e che avrebbero diritto a essere sostenuti dallo Stato, non lo sono. Hanno diritto a essere sostenuti economicamente nei costi delle psicoterapie per bambini e bambine e adolescenti spaventati e addolorati, nelle spese quotidiane (quando una pensione magari non basta nemmeno a mantenere se stessi), nelle spese di processi che a volte durano anni e non lo sono. 

“Oggi Carla deve riuscire a vivere con 780 euro al mese, con un affitto di 200. A sessantotto anni è impossibile per lei trovare un nuovo lavoro e contemporaneamente prendersi cura del nipote”. La mamma di questo ragazzo, la figlia di Carla, Anna, è stata uccisa dal marito a trent’anni. E non è solo che sarebbe giusto essere sostenute, c’è una legge, la 122 del luglio 2016, e ci sono dei fondi, ma non vengono distribuiti: se tra il 2000 e il 2015 sono stati contati 1.600 minorenni orfani di femminicidio, solo 4 hanno beneficiato dei fondi della legge. Perché? 

Dare voce al dolore e all’attivismo

Lo ha scritto per raccontare alcuni impressionanti numeri che raccontano troppe vite e soprattutto per dare voce al dolore, alla quotidianità e anche all’attivisimo di chi resta. Spesso, dice la Prandi, chi resta si impegna – e crea un movimento non raccontato dai media – affinché ciò che è successo a loro non succeda ad altre famiglie, ad altre donne, ad altri bambini e bambine. 

Chi resta, raccoglie la rabbia e la sofferenza senza fondo e le convoglia nelle proprie scelte e azioni, e parla con decine di giovani ai quali racconta che cosa è successo, come, perché, a quali segnali prestare attenzione, come farsi aiutare. Ed è, questo, un movimento quanto mai necessario; uno studio riporta un dato impressionante: nel 2019 l’Osservatorio Nazionale Adolescenza scopre che il 66% delle ragazze ha subito una “scenata di gelosia” per futili motivi, che il 14% viene offesa pesantemente dal fidanzato davanti agli altri. Che una su dieci ha paura che il fidanzato, quando si arrabbia, possa andare oltre. 

Stefania Prandi ha scritto questo libro importante per comprendere qualcosa che riguarda tutti e tutte, un’intera società, e dice che la violenza domestica è una violenza sociale e Caterina l’ha letto d’un fiato in una mattina di sole che feriva gli occhi, ma le parole che scorrevano una pagina dopo l’altra, ferendoli ancora di più, li aprivano.

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