Criticare e correggere: è proprio necessario? 

da | 20 Set, 2023 | Lifestyle, Persone, Pillar

Focalizzarsi sull’errore, criticare e giudicare non aiuta a crescere. Esiste un metodo alternativo per relazionarci con i nostri figli? L’intervista a Carlotta Cerri, creatrice di La Tela ed Educare con calma

Ogni genitore costruisce l’educazione che sceglie di impartire ai propri figli in base alla propria esperienza. Tuttavia, l’approccio, spesso inconsapevole, che capita di adottare è quello di ricorrere a toni giudicanti e critiche, che non solo non portano benefici alla crescita del bambino, ma neanche alla relazione tra lui e il genitore, né a breve né a lungo termine.

Quali metodi possiamo adottare per seminare rispetto e crescere adulti rispettosi delle scelte altrui? Ne abbiamo parlato con Carlotta Cerri, educatrice dell’Associazione Internazionale Montessori (AMI), nonché creatrice della piattaforma per genitori “La Tela” e del podcast Educare con Calma. 

 

Un tentativo di correzione perenne

Chi non ha colpe scagli la prima pietra: tutti, genitori e non, tendiamo a criticare gli altri o correggere chi vogliamo educare secondo le nostre regole e i nostri valori. Le intenzioni sono sicuramente buone e spesso siamo inconsapevoli che questo metodo educativo non ci porta a dove vogliamo arrivare.

Per i piccoli, come per gli adulti, essere costantemente criticati è estenuante e controproducente. “Le persone imparano quando si sentono accolte e capite, non quando vengono messe sotto giudizio e punite”, dice Carlotta. Spesso riprendiamo i nostri figli, anche con rabbia, per loro errori e non riusciamo a considerare che quasi sempre non si tratta di un errore ma di un momento di apprendimento.

Ogni volta che li critichiamo o sgridiamo ci dimentichiamo di quell’empatia necessaria per impostare una relazione basata sull’educazione positiva.

“In realtà non è un atteggiamento che abbiamo solo verso i nostri figli – spiega Carlotta -, perché accade prima di tutto tra noi adulti e noi stessi siamo vittime nella società in cui viviamo e in cui ci sentiamo, in diversi ambiti, criticati. 

Accade anche all’interno della coppia. Mi sono resa conto, per esempio, che quando mio marito Alex faceva una cosa in modo diverso da come l’avrei fatta io, glielo facevo notare, anche se non serviva. Ho capito che era da lì che dovevo iniziare a cambiare, non solo io ma anche il mio modo di comunicare, perché i bambini imparano quel modo di comunicare da noi adulti”. 

 

Criticare uguale giudicare

I bambini ricevono critiche poco costruttive non solo in casa, ma spesso anche a scuola. Nonostante numerosi studi dimostrino che i bambini imparano di più in un contesto positivo e propositivo, facciamo difficoltà ad allontanarci dagli schemi in cui siamo cresciuti e riproponiamo un modello educativo basato sul giudizio e sui confronti, sui voti e sulla visione negativa degli errori.

Giudicare, spesso in maniera severa, le azioni dei bambini, nella maggior parte dei casi non è utile ma anzi, produce risultati opposti: quando ci sentiamo criticati o aggrediti verbalmente, ci viene voglia di collaborare? A me no.

Il problema sta alla base: tendiamo ad avere aspettative sbagliate rispetto allo sviluppo dei nostri bambini e quando i comportamenti che ci aspettiamo da loro non arrivano o sono ‘sbagliati’ (cioè ci sembrano ‘sbagliati’ secondo gli standard con i quali siamo stati cresciuti), critichiamo, puniamo, facciamo notare errori facilmente risolvibili e ci dimentichiamo di affrontarli in maniera costruttiva.

La chiave è trasformare l’errore in un momento di apprendimento (per il bambino, ma ancora di più per il genitore) e trovare delle soluzioni insieme al bambino. Questa è un’attitudine che nella genitorialità (e nella vita) serve tanto”. 

 

Riflettiamo sulle nostre reazioni

Come liberarci di questo atteggiamento di cui spesso non ci rendiamo neanche conto? 

“Non è facile, perché tutti tendiamo a educare come siamo stati educati: è normale che quando scegliamo di rompere il circolo dobbiamo davvero fare un grande sforzo, ma più si pratica questo nuovo tipo di educazione, più viene naturale iniziare a pensare a lungo termine. Possiamo partire dall’osservazione, per capire in quali situazioni i bambini si comportano diversamente dalle nostre aspettative. Ognuno di noi è provocato da situazioni diverse.

A me per esempio dà fastidio il pianto che mi sembra ‘inutile’ e mi capita di arrabbiarmi con i miei bimbi quando si provocano e non sono gentili l’uno con l’altra, mentre Alex, mio marito, è più infastidito quando i nostri figli non rispettano il bene pubblico o le persone, perché nella sua cultura il rispetto è il fulcro dell’educazione”.

Tante reazioni istintive di noi genitori ci arrivano dal modo in cui siamo stati cresciuti e dai nostri bisogni non soddisfatti di quando eravamo bambini.

“Esattamente, e per questo motivo, quando ci sentiamo provocati è importante guardarsi dentro e capire perché ci viene spontaneo reagire in un determinato modo. Per esempio, quando da bambina mi comportavo diversamente dalle aspettative dei miei genitori, ricevevo la classica ramanzina lunghissima, alla quale non potevo sottrarmi.

Mi sono resa conto che tendevo a fare lo stesso, contribuendo così ad accrescere il malessere dei miei figli anche quando loro stessi erano già consapevoli dell’errore commesso. Questo approccio era quindi uno sfogo della mia frustrazione.

Ho poi imparato che la frustrazione non nasce dai comportamenti dei miei figli, ma dal fatto che non mi prendo cura di me stessa e non stabilisco le priorità della mia vita in modo tale da avere del tempo da dedicarmi. Quando io mi sento frustrata per altri motivi, i miei figli riflettono la mia energia, me la restituiscono e si creano le lotte di potere, che sono quanto di più controproducente esista nella relazione tra adulto e bambino”.

 

La soluzione del problema

Oggi tu e tuo marito avete imparato a scegliere la vostra reazione. Non agite più d’istinto. “Questo non significa che siamo genitori perfetti e che non ci arrabbiamo, non critichiamo o giudichiamo mai, ma abbiamo imparato a riconoscere i nostri bisogni e a soddisfarli, a chiedere scusa per i nostri errori, a essere più empatici e comprensivi. Ci esercitiamo ogni giorno per essere i genitori che abbiamo scelto di essere”.

Cosa possiamo fare nella pratica per educare seguendo un approccio più positivo e costruttivo e mettere da parte critiche e giudizi?

“Possiamo riflettere sul motivo dell’azione: invece di puntare il dito, descriviamo ciò che vediamo senza giudizio e chiediamo loro ‘perché hai fatto così?’, non in maniera arrabbiata, ma con curiosità verso l’azione che riteniamo sbagliata.

Non ci aspettiamo nemmeno una risposta, è un modo per cambiare prospettiva rispetto all’errore, essere curiosi invece che giudicanti. Possiamo anche focalizzarci sul futuro e sulla soluzione al problema. ‘Cosa pensi di poter fare adesso? Come asciughi l’acqua che hai rovesciato? Mi aiuti a smacchiare la maglietta che hai sporcato?’. I bambini amano trovare soluzioni, a modo loro, anche davanti ad attività che non hanno mai fatto e spesso le loro soluzioni sono valide tanto quanto le nostre.

Ma in generale, trovo che ciò che funziona meglio sia l’esercizio di descrivere senza giudicare: una situazione che si è appena conclusa, oppure quello che sta succedendo.

‘Vedo che stai dando fastidio a tuo fratello. Di che cosa hai bisogno? Che cosa puoi fare invece di provocarlo?’. Descrivere serve a renderli responsabili e riconoscere le loro azioni ed emozioni. Prima si inizia meglio è, perché è un esercizio che insegna a noi genitori come ci si comporta in maniera costruttiva nei litigi, di fronte agli errori e nelle crisi che si presenteranno a ogni tappa di sviluppo. Se non pratichiamo, non possiamo aspettarci di essere capaci, quindi non è mai troppo presto per preparare il terreno”.

 

Lo stigma dell’errore

Quando critichiamo o giudichiamo con connotazione negativa, la relazione ne risente e si perde la fiducia reciproca. Insegnare, attraverso un approccio diverso, che si sbaglia continuamente nella vita, e che è normale farlo, significa trasmettere una visione diversa dell’errore.

Lo stigma dell’errore ha un peso rilevante nella nostra società, sia a scuola sia in famiglia. Sbagliare significa essere puniti con un castigo o un voto basso. Anche se non esiste una cultura migliore di un’altra e ognuna ha i propri limiti e le proprie forze, oggi, dopo aver vissuto tanti anni all’estero, noto che in Italia si ha una tendenza a criticare più spiccata che in altri Paesi che ho conosciuto.

La cultura, però, influisce sul nostro modo di essere genitori solo tanto quanto noi lasciamo che influisca. Gran parte del lavoro lo svolgiamo noi adulti su noi stessi e quando siamo consapevoli di un’attitudine della società che non ci piace, possiamo scegliere di cambiarla nella nostra famiglia. Mio marito, per esempio, mi racconta che anche nel suo paese c’è una tendenza a criticare e giudicare, ma lui, rispetto a me, tende meno a farlo.

Credo sia dovuto al fatto che è cresciuto con un genitore, suo papà, che non ha stigmatizzato l’errore e lo ha lasciato libero di sbagliare e di apprendere dai suoi sbagli. Sono convinta che l’errore sia il più grande maestro della vita e che dovremmo imparare a vederlo da un altro punto di vista, quello dell’apprendimento”.

 

I metodi alternativi

Anche se sappiamo come sarebbe più opportuno reagire davanti a un comportamento secondo noi non corretto o addirittura provocatorio, a volte le nostre reazioni sono impulsive.

“Con il tempo ho imparato che devo fare una pausa e provare a ragionare qualche secondo prima di reagire. È faticosissimo, è vero, ma dobbiamo cercare di essere il più possibile coerenti, allenare la pazienza anche quando ci viene richiesto di spiegare loro le cose più volte e dimostrare accoglienza davanti all’errore affinché anche loro, per imitazione, imparino non solo ad accettare le azioni degli altri senza criticare, ma anche ad avere più autocompassione, che è una qualità importantissima nella vita”. 

Tu dici di chiamare le emozioni con il loro nome, senza etichettare i nostri figli. Cosa significa?

Evitiamo parole come ‘monello’ o ‘birichino’ per non creare quell’immagine di loro nel nostro cervello e cerchiamo soluzioni alternative pratiche quando, osservando i nostri figli, li vediamo attraversare un momento di difficoltà o disagio.

Dire ‘No’ e ‘basta’ quando nostro figlio fa qualcosa che non ci piace non serve. Meglio una passeggiata insieme per ossigenare il cervello e muovere il corpo in maniera produttiva. Infine, coltiviamo il beneficio del dubbio e la fiducia. Dobbiamo allontanarci dalla mentalità del ‘mi sfida’ e ‘lo fa apposta’, interiorizzare che la crisi è un momento di difficoltà, agire come ci comporteremmo con un amico in difficoltà, avere fiducia nelle capacità dei bambini: così possiamo criticare meno e crescere adulti indipendenti dai nostri giudizi e capaci di far sentire la loro voce in mezzo agli altri”.

 

Osservazione ed empatia

Ogni bambino ha la propria personalità e ogni genitore le proprie risorse: per questo dobbiamo andare alla ricerca di approcci diversi che più ci si addicono o che crediamo possano funzionare meglio con nostro figlio, purché rispettosi ed empatici verso i piccoli. 

“Nella mia esperienza di genitore sperimento sempre delle alternative. I metodi possono essere tanti, ma a mio parere si fondano tutti su due pilastri: l’osservazione e l’empatia.

L’osservazione aiuta a comprendere i motivi di un determinato comportamento, ricordandoci che davanti a un dispetto, una difficoltà o un comportamento provocatorio c’è sempre un motivo. Lo spiego nel mio corso “Educare a Lungo Termine”: i comportamenti sbagliati indicano che i nostri figli hanno trovato un ostacolo sul loro sviluppo e ci stanno chiedendo aiuto. Spesso i bambini sanno benissimo che un determinato comportamento è sbagliato: anche in questo dovremmo dare loro fiducia!”.

Il consiglio che dai è: praticare, praticare e praticare l’empatia nei confronti dei bambini, anche quando si tratta di mettere da parte il nostro ego. 

“Quando diciamo: devi fare così perché io ho detto che si fa così, stiamo dando un’imposizione che magari placa il conflitto nell’immediato, ma non ci aiuterà a educare a lungo termine e crescere adulti equilibrati.

Mettere da parte l’ego e abbandonare la gerarchia genitore/figlio è la parte più difficile da superare, ma è ciò che di meglio possiamo fare per la relazione: non basiamo il nostro rapporto su un puro gioco di potere, perché in quel gioco nessuno vince né impara nulla.”

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La Tela di Carlotta

Carlotta è autrice di latela.com, una piattaforma per genitori e comunità in cui si parla di genitorialità consapevole, scuola parentale, educazione Montessori, sostenibilità, viaggi. Carlotta è anche una viaggiatrice a tempo pieno, assieme a suo marito Alex e ai suoi figli Oliver ed Emily. Propone materiali e corsi online sull’educazione a lungo termine per aiutare i genitori a intraprendere un viaggio nell’evoluzione personale.

La Tela offre anche il podcast “Educare con calma”: oltre 100 puntate in cui riflessioni personali si intrecciano alla vita pratica, arricchite anche dalle esperienze di altre persone.

Abbiamo raccontato l’inizio del viaggio di Carlotta e la sua famiglia durante la lunga sosta in Nuova Zelanda causa del lockdown, nel ‘Viviamo Così’ di maggio 2020.

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