Genitori italiani all’estero: guida all’uso 

da | 10 Apr, 2024 | Libri, Lifestyle, Persone

Andare a vivere all’estero con la famiglia: un progetto di vita assolutamente realizzabile, se affrontato con la giusta consapevolezza

C’è un’Italia che cresce fuori dall’Italia: sono gli italiani all’estero, una popolazione che, al contrario della tendenza del nostro paese, è sempre più giovane. Non è aumentato solo il numero di persone che partono, ma anche i bambini figli di italiani nati all’estero, addirittura del 170% nell’ultimo anno. Oggi, i minori italiani all’estero sono più di 855 mila.

Le famiglie partono verso l’estero o migrano da una regione all’altra del nostro paese come accadeva un secolo fa, anche se spinti da motivazioni differenti.

Oggi come prima, però possiamo dire che andare a vivere in un altro paese o città rappresenta sempre un un grande cambiamento, e per affrontarlo serve la giusta consapevolezza. Ne abbiamo parlato con Anna Pisterzi, psicoterapeuta e fondatrice di Transiti.Psicologia d’espatrio. 

Fuga o voglia di sentirsi altrove?

Parlare di ‘fuga dei cervelli’ oggi, è una sineddoche molto diffusa ma allo stesso tempo poco rappresentativa. Quelli che vanno a lavorare all’estero sono solo giovanissimi, iper-qualificati e single?

“L’utilizzo del termine ‘fuga’ è uno stereotipo ancora molto presente, anche se oggi acquisisce una nuova connotazione” spiega Anna Pisterzi. “Oggi, nel caso dei nostri compatrioti, è più corretto trattare la migrazione come un fenomeno di mobilità circolare, partendo dal presupposto che esistono anche fattori ‘naturali’ nella migrazione stessa. Si può scegliere, infatti, di partire perchè spinti dalla curiosità o per sperimentare una nuova opportunità lavorativa. Sono scelte non per forza dettate dalla fuga o dalla necessità economica. Come sosteneva la scrittrice Marguerite Yourcenar, nell’uomo, come nell’uccello, c’è un sentimento di migrazione, che è la voglia di sentirsi altrove”.

Sconvolgente e arricchente 

Gli italiani non si trasferiscono solo all’estero, ma anche da una regione all’altra, da un paese di provincia a una città, o viceversa. Il trasferimento per il nucleo familiare rappresenta sempre un grande cambiamento: equilibri saltano e ne vanno stabiliti di nuovi. 

“La migrazione deve essere trattata come uno dei tanti eventi rivoluzionari della vita, ovvero con un prima e un dopo. Si va incontro all’ignoto e ognuno vive in maniera personale questa rivoluzione dell’esistenza”.

E come ci si prepara? “Dotandosi di una sorta di ‘cassetta degli attrezzi’ utile per affrontare un evento che modificherà il nostro sguardo sul mondo. I genitori, per esempio, devono partire con la consapevolezza che l’educazione è un elemento culturalmente mediato: nel momento in cui ci allontaniamo dal nostro ambiente dobbiamo tenere presente che faremo i conti con valori e modelli diversi. 

Nel momento in cui partiamo tendiamo a leggere la cultura del paese di accoglienza con i ‘nostri occhiali’. Questo non significa che non ci possiamo integrare e sentirci a nostro agio; anzi, da subito ha inizio un processo di cui non ci accorgiamo, un’ibridazione culturale che può essere molto arricchente, ma solo se impariamo ad accoglierla in quanto tale”.

I figli non devono essere un deterrente

“Nell’analisi della migrazione degli italiani all’estero, oggi, ci sono degli attori che vengono poco considerati: i bambini sono i grandi assenti, anche se coinvolti in prima persona nel progetto di espatrio. Ma sono coinvolti anche i nonni, fratelli e sorelle, che restano ma per cui il progetto migratorio porta inevitabili conseguenze.

Rinunciare al trasferimento esclusivamente per i figli è come scegliere di non separarsi per il bene dei bambini anche quando la coppia non può più stare insieme.

I ragazzi hanno la flessibilità di vivere ovunque; per loro è importante che i genitori stiano bene nel luogo che hanno scelto e che si sentano realizzati.

Quando si pianifica il trasferimento di tutta la famiglia si deve tenere presente che si tratta di un evento complesso, una scelta che cambia l’esistenza; come tutte le scelte può fare paura, ma non per questo si tratta di un evento negativo”. 

Le grandi ‘questioni’ dei genitori expat

Quali sono le questioni ricorrenti dei genitori italiani expat?

“Solitamente si tratta di questioni culturali ed educative: valori e modelli, un sistema scolastico differente. E poi ci sono questioni relative all’educazione dei figli nelle coppie miste che possono portare a divergenze, il bilinguismo, il rapporto con i parenti, soprattutto con i nonni, e la trasmissione intergenerazionale che nella nostra cultura ha un valore importante.

A volte, capita anche che la carriera per la coppia vada in direzioni o paesi diversi, e ci sono famiglie che si trovano a dover conciliare forme genitoriali del tutto nuove. 

Infine c’è anche la questione identitaria dei figli: i ragazzi crescono in una cultura diversa da quella di origine dei genitori, che a loro volta si sentono disorientati.

Dobbiamo però sempre tenere a mente che lo stesso avviene anche per chi migra da un piccolo paese a una città, ma anche per coloro che non si spostano: i nostri figli crescono in un contesto in continuo cambiamento, in cui noi genitori spesso facciamo fatica a trovare i nostri riferimenti. Nelle famiglie expat, spesso quello che amplifica la percezione di questo disorientamento è il fatto che avvenga in una lingua diversa, ma niente di più”.

Partire con la cassetta degli attrezzi

Quali sono, in sintesi, i consigli generali che si possono dare alle famiglie che scelgono di trasferirsi altrove?

“Prima di tutto avere sempre in mente che i bambini vanno coinvolti nel processo di espatrio, spiegando loro ciò che sta accadendo anche se sono molto piccoli, e anche quando si tratta di una scelta controversa e che gli adulti non hanno ancora finito di affrontare. Esistono diversi libri per parlare ai bambini di espatrio, uno di questi è Migrando di Mariana Chiesa, edito da Orecchio Acerbo.  

In secondo luogo, rafforzare la propria consapevolezza riguardo alle emozioni che il confronto con diversi modelli educativi può generare in noi. Non ci sono modi migliori o peggiori di allevare i bambini, anche quando quello che vediamo ci sembra “strano” è solo perché diverso dalle nostre abitudini. 

I bambini assorbono la cultura in cui sono immersi in modo più naturale rispetto agli adulti, ne fanno una loro personale sintesi, grazie anche alla scuola che frequentano, in quanto saranno a tutti gli effetti “Third culture kids”.

Bisogna anche essere coscienti che vivere in un posto nuovo aumenta il senso di insicurezza percepita, che genera una minore percezione di controllo sulle scelte che si fanno. L’insicurezza che percepiamo può poi essere amplificata nel momento in cui all’avventura dell’espatrio se ne somma un’altra tutta nuova, ovvero quella della genitorialità. 

Questo può portare a scelte che chiudono la famiglia in se stessa, rischiando di creare un iper-affaticamento dei genitori, che non possono contare sulla rete famigliare. Per questo motivo è fondamentale coltivare da subito una rete sociale nel nuovo paese, perché gli amici in espatrio diventano una rete preziosa e di scambio reciproco”.

In generale, la maggior parte delle persone che scelgono di cambiare città o paese non ha per forza bisogno di seguire un percorso psicoterapeutico, ma solo di orientamento.

“Sì, proprio per questo Transiti ha pubblicato di recente Traiettorie. Guida psicologica all’espatrio, una sorta di manuale preparatorio all’esperienza migratoria, soli o in famiglia. Ci siamo resi conto che era importante lavorare a uno strumento di divulgazione e prevenzione per aiutare le persone a dotarsi degli strumenti giusti. E se, invece, nonostante il percorso di orientamento intrapreso, si percepisce un malessere psicologico, è importante chiedere l’aiuto di uno psicoterapeuta esperto in contesti migratori; prima si interviene, più facilmente si possono cercare insieme strategie di miglioramento”. 

Immagini concesse da Transiti.net e realizzate da Enrico Levrino e Tommaso Zerbi

genitori italiani estero

 

 

 

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