Gli asili di Reggio Emilia

da | 16 Dic, 2014 | Lifestyle

Chi si ricorda “Aprile” di Nanni Moretti, dove il nostro beniamino proclamava di fronte alla folla di Hyde Park: “Il modello deve essere l’Emilia Romagna! La regione dove ci sono i migliori asili del mondo!”? Erano i primi anni ‘60 quando la Città di Reggio Emilia, per fronteggiare la crisi economica, sviluppò una strada originale: si impegnò a migliorare la qualità degli asili nido e delle scuole materne, trasformandoli in un modello che oggi è preso a esempio ovunque nel mondo, dall’Albania alla Serbia, dal Kenia agli Stati Uniti, dalla Romania al Brasile e alla Bosnia.

Il Reggio Approach
Non si tratta solo di un sistema ben funzionante di asili e scuole materne, il modello di Reggio è una filosofia educativa, che si basa sull’immagine del bambino (o meglio, di un essere umano) che è portatore di forti potenzialità ed è soggetto di diritti. Un modello che è nato all’interno delle scuole, ma si è esteso a tutta la città, trasformandosi in un progetto educativo globale basato sulla convinzione che far stare bene i bambini significa far stare bene tutti, che un luogo accogliente per un bambino sia un luogo accogliente per le persone. Nel 1994 la Città di Reggio Emilia, assieme a un comitato di cittadini, ha fondato “Reggio Children”, una società pubblica e privata che opera in stretta relazione con i nidi e le scuole d’infanzia e si occupa di diffondere la stessa idea “forte” dell’infanzia sul territorio. L’eccellenza educativa esce così dai nidi e si propone alla città.

L’Atelier e la conoscenza
Fu Loris Malaguzzi l’ispiratore del Reggio Approach. Laureato in pedagogia e psicologia, iniziò la sua attività come insegnante elementare nel dopoguerra e a partire dal 1963 collaborò all’apertura delle prime scuole comunali dell’infanzia. Divenne poi consulente del Ministero della Pubblica Istruzione e direttore delle riviste “Zerosei” e “Bambini”. Tratti distintivi del Reggio Approach sono l’incitamento alla partecipazione delle famiglie, il lavoro collegiale di tutto il personale, l’importanza dell’ambiente educativo, la cucina interna e la presenza dell’Atelier e della figura dell’atelierista, un insegnante con competenze di natura artistica che collabora con molteplici figure professionali: architetti, pedagogisti, fisici, ingegneri, biologi, danzatori, musicisti e medici. Con il lavoro nell’Atelier i linguaggi espressivi e poetici diventano parte del processo di conoscenza, che si esprime nei “cento linguaggi” di cui è dotato il bambino e che perdurano oltre l’infanzia, fino all’età adulta e anziana.

L’esperienza di Reggio ha un forte carattere internazionale. Già alla nascita il progetto ha avuto un intenso scambio con alcune rappresentanze svedesi, che culminarono nel 1981 con l’esposizione della mostra “L’occhio se salta il muro” al Moderna Museet di Stoccolma. La mostra ebbe successo e fu progressivamente aggiornata, fino alla versione “I cento linguaggi dei bambini”, che per più di 25 anni ha girato il mondo. Nel 2014 è stata sostituita dalla mostra “Lo stupore del conoscere”, che racconta l’evoluzione dell’esperienza.

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