Mamma single per scelta grazie alla fecondazione assistita

da | 29 Ott, 2018 | Lifestyle, Persone

Susanna è mamma single. Ha avuto un bambino, da sola, grazie alla fecondazione assistita

Per la festa del papà, Susanna scrive su Facebook: “Auguri 208982991!”. Quel numero identifica l’uomo del mistero, il donatore che tre anni fa le ha permesso di avere un bambino, il piccolo Elo.

Perché la quarantaduenne torinese è una mamma single per scelta: una scelta di vita ponderata e realizzata attraverso la fecondazione artificiale. Per farlo Susanna è volata in Spagna.

A causa della Legge 40, in Italia non è consentito alle donne senza compagno di accedere alle procedure di procreazione medicale assistita.

L’unica alternativa è rivolgersi a strutture estere. Per Susanna è stata la decisione migliore, nonostante le difficoltà che implica essere una “normale ragazza madre” in Italia.

Le vere priorità di una mamma single

Una malattia ha messo a repentaglio la speranza di Susanna di diventare madre. Quella stessa malattia le ha fatto capire quanto lo desiderasse.

“Il mio problema era la tiroide – racconta –. Mi è stato diagnosticato il morbo di Basedow-Graves, che causa ipertiroidismo e altre complicazioni, comprese alcune malattie congenite del feto in caso di gravidanza e l’aumento del rischio di un aborto spontaneo”.

L’esordio del morbo può essere innescato da stress. Nel caso di Susanna, è stata “una semplice delusione d’amore che però ho vissuto così male da ammalarmi. La fine della relazione mi ha causato un grave esaurimento nervoso che mi ha scatenato questa malattia autoimmune”. Il suo corpo si ribellava, mandando in corto circuito il sistema immunitario.

È stata la malattia ad aiutarla a mettersi in discussione. “Nel momento in cui mi hanno diagnosticato il Basedow-Graves, le parole dei medici mi hanno fatto capire di aver preso una direzione sbagliata nella vita. ‘Lei ha figli? Ne vuole avere? Perché così non può’.

Con i valori ormonali sballati non mi avrebbero mai accettato per l’inseminazione. Sarebbe stata vana. Io ho sempre pensato di poter fare tutto, ma quando ho scoperto che non era vero, ho capito di avere altre priorità”.

Si sa che si apprezza la possibilità di scegliere solo quando la si perde. “Ho tante amiche che non vogliono figli e le stimo, perché hanno preso la loro decisione. Io mi sono trovata di fronte a un muro, su cui cercavo una porta che non c’era”.

Ma Susanna è una donna che non si arrende. “Fortunatamente la mia era una malattia curabile. Mi sono curata e quando ne sono ufficialmente uscita, ho avuto il benestare medico per chiamare la clinica. Nell’arco di due settimane ho prenotato la visita a Barcellona“.

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L’entusiasmo è tutto

A differenza dell’Italia, molti paesi europei permettono la fecondazione assistita per donne single. Fra i più gettonati ci sono il Belgio, l’Inghilterra, la Danimarca, la Grecia e, appunto, la Spagna.

Ho scelto la Spagna su consiglio della mia ginecologa, che già conosceva la clinica a cui mi sono rivolta. È una delle più riconosciute al mondo, con un tasso di nascita elevatissimo.

In uno dei viaggi, su una rivista ho visto una loro pubblicità del tipo ‘soddisfatti o rimborsati’, tanto è elevata la loro percentuale di nascite.

Se ritengono ci sia un problema che rende impossibile la gravidanza, ti fermano prima. E questo evita tante sofferenze”.

L’entusiasmo di Susanna è palpabile. “È una clinica privata, ma costa molto meno della procreazione medicalmente assistita in Italia. Meno della metà, considerando anche i voli, gli hotel e i trasferimenti.

Tra l’altro è una clinica internazionale, dove parlano tutte le lingue principali e dove c’è personale italiano che risponde persino al numero verde. C’è un’equipe per ogni lingua, dalla centralinista in poi, dalla contabile alla farmacista, da chi ti assiste a chi ti fa la visita.

Quando sono andata io c’erano persone di ogni nazionalità. Svedesi, inglesi, tantissimi italiani, perché la richiesta è alta”.

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Nonostante l’affluenza, il tempo che intercorre tra il primo contatto e la prima visita è zero.

“Non sei in una lista di attesa. Sei a Barcellona. Lì è cominciata quella che ricordo come una splendida avventura.

Da quel giorno, ho parlato con molte donne che hanno provato la fecondazione in vitro in Italia, con alterne fortune. Tutti i racconti hanno in comune un’esperienza che viene fatta vivere come una malattia.

Sono convinta che la testa giochi molto nell’esito. Non ci si può demoralizzare fin dall’inizio, bisogna vederla come una scelta bellissima, pur con tutte le difficoltà iniziali.

Io l’ho vissuta sempre così e certo la clinica che mi ha seguito ha aiutato. Era un posto curato, pieno di energia positiva. Non c’era il manto di tristezza che mi è poi stato descritto tante volte. È importante come sei trattata. Lì si respirava gioia”.

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Il percorso di fecondazione assistita

Susanna va due settimane in Spagna. La clinica fornisce tutta la modulistica necessaria, gli esami da fare in Italia o in loco e tutte le spiegazioni sul procedimento.

Compresi quali tipi di fecondazione si possono fare. Nel mio caso, non avendo un compagno, serviva la donazione dei gameti maschili.

I medici scelgono il seme più adatto tenendo conto di una serie di aspetti: non solo la salute del donatore e della beneficiaria, ma anche l’impatto psicologico nel rapporto tra madre e nascituro”.

Perché sia il meno traumatico possibile, la legge spagnola prevede che non ci possano essere transfer di etnie o di tratti somatici diversi tra donatore e ricevente. Questo si fa per ovviare a ogni possibile forma di rifiuto del bambino.

“Non avrebbero potuto darmi il seme di un vichingo. Il mio donatore non avrebbe potuto avere i capelli biondi, rossi o neri. Doveva avere carnagione chiara, capelli e occhi castani. Insomma, la mia fotocopia”.

Susanna comincia subito il percorso, seguita passo a passo anche in Italia. “Dopo un mese di monitoraggio e terapie è stato il momento del prelievo dell’ovulo che sarebbe poi stato fecondato in vitro, prima di essere impiantato. Non è stato un prelievo traumatico: poco dopo essermi ripresa dall’anestesia ero già sulla Rambla a festeggiare”.

Susanna ha deciso di affrontare l’esperienza nel modo più positivo possibile. “Grazie anche al clima della città, ho deciso di vivere tutto come una vacanza. Nel frattempo sono stata aggiornata su tutti i passaggi dell’inseminazione, fino alla valutazione del momento giusto per il transfer dell’ovulo fecondato che, come può capitare in un rapporto normale, potrebbe non attecchire”.

A Susanna avevano dato il 15% di probabilità di successo. “La percentuale mi è sembrata bassa, ma il medico mi ha fatto notare che in un normale rapporto sessuale la media è del 7% e che io avevo già il doppio di quanto offre la natura. Ho giocato alla roulette, ho trasferito soltanto un ovulo, che adesso si chiama Ercole”.

Le raccomandazioni ricevute da Susanna sono state le stesse che valgono per ogni donna all’inizio di una gravidanza. “Ti dicono di non fare sforzi, di non portare pesi, c’è il rischio di rigetto o di aborto spontaneo, ma fondamentalmente all’uscita dalla clinica il test di gravidanza è positivo. Il 30 dicembre ero ufficialmente incinta”.

La gestazione è stata normale. “Certo, all’inizio ero a rischio anche io, ma come lo è qualsiasi donna nel primo trimestre. Anche in questo caso sono stata fortunata e ho avuto una gravidanza splendida, senza una giornata di nausea o di dolori. La tiroide si era regolarizzata, mi sembrava di avere i superpoteri.

Ho scelto il parto cesareo, d’accordo con la ginecologa che non ha voluto correre rischi. Ed è andato tutto bene: alle 9 sono entrata in sala operatoria, alle 10 ero in stanza, alle 5 di pomeriggio ero già in piedi con tutti che mi chiedevano per favore di starmene seduta”.

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Una vita a due

Per quanto l’avesse ponderata a lungo, la vita a due di Susanna e del piccolo Ercole è cominciata con tutte le sue difficoltà. Susanna è orfana di madre dall’adolescenza e può contare sull’aiuto del solo nonno o della sorella, che a sua volta ha un lavoro e una famiglia.

“Sono la prima a dirmi di aver fatto una scelta bella, ma egoistica”, afferma quando racconta i primi mesi da madre single con un normale impiego a tempo pieno. “All’inizio sono stata una mamma molto severa. Mi dicevo che prima di tutto dovevo stare attenta a sopravvivere, non per egoismo, ma perché non potevo permettermi un esaurimento.

Ero da sola con Elo e dovevo provvedere a lui e a me stessa. In confronto ad altre mamme sono stata rigida, ma non saremmo andati da nessuna parte altrimenti.

Allo stesso modo non avrei potuto tenerlo sempre con me. I miei datori di lavoro sono stati splendidi e mi hanno supportata, ma dopo sei mesi di maternità ho dovuto ricominciare a lavorare”.

Susanna lavora come impiegata da quando aveva 19 anni e, pur essendo genitrice unica, non può contare su grandi aiuti statali. “Non sono Rockfeller, ma ho un lavoro e una casa ereditata da quando è morta mia madre. Tutto questo porta il mio Isee a essere troppo alto, pur essendo una persona normale e monoreddito.

Così non ho avuto diritto nemmeno a una fascia inferiore al nido comunale. Come genitore unico che lavora, però, ho potuto saltare la lista d’attesa. E ringrazio che ci sia stata questa possibilità”.

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Niente bugie

Il primo assaggio delle possibili reazioni alla sua scelta, Susanna lo ha avuto annunciando la decisione ai suoi cari. “Li ho sconvolti – dice ridendo –. Temevo la reazione di mio padre, che al tempo aveva 74 anni, o di mia zia che ne aveva 80.

Tutti, medici compresi, dicono che Ercole è il ritratto della felicità Invece loro mi hanno sorpreso dicendomi che stavo facendo la scelta più bella che una donna possa fare.

Mio padre era felicissimo, mi ha detto: ‘Volevo suggerirtelo io, è il momento giusto perché posso ancora darti una mano’. Il nipote gli ha dato una nuova carica ed essendo io una ragazza madre, lui si definisce un nonno padre”.

Susanna ha riflettuto a lungo sulle risposte alle domande che farà suo figlio riguardo alla figura assente del padre.

“Ci sono i pro e i contro. Le ansie iniziali non sono mancate ma sin da subito ho scelto di raccontare la verità, a cominciare da domande del tipo ‘Dov’è il mio papà’, a cui rispondo ‘Tu il papà non ce l’hai’”.

Chi ha accettato la situazione con più serenità, oltre agli anziani, sono stati i bambini. “Quando gli amici vedono Elo senza papà non chiedono niente e se lo chiedono, lui risponde ‘Non ce l’ho’ e il discorso finisce lì, senza tante storie.

Maggiori perplessità le ho trovate nei miei coetanei, che invece guardano i problemi prima di tutto. Ho avuto più difficoltà con alcune amiche, a cui ho dovuto chiedere la cortesia di non raccontare bugie ai propri figli sul padre di Ercole.

E tanti uomini, quando hanno saputo della fecondazione, hanno fatto la battuta: ‘Bastava che me lo dicessi’. Come se fare sesso per una notte o fare un figlio fosse la stessa cosa”.

La legge spagnola dice che l’ovodonazione deve rimanere anonima. Rispetto a un “donatore noto” questa opportunità ha solo vantaggi per Susanna. “Se domani dovessi avere una relazione, non dovrei discutere sull’affidamento o il mantenimento di mio figlio con un fantomatico ex”.

Tutti, medici compresi, dicono che Ercole è il ritratto della serenità. “Certo, non ha ancora capito bene. È capitato che mi dicesse di volere un papà, ma è una frase ascoltata fuori e ripetuta senza un reale sentimento.

Lui è sereno, cresce e vede me, che ho un papà ma non ho una mamma, e forse questo gli rende più semplice accettarsi. Siamo una famiglia stramba? Sicuramente più avanti incontrerà un compagno di scuola che farà battute. In quel caso gli dirò di rispondere che si chiama Ercole Lorenzo, così lo prenderanno in giro per questo”.

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Da sola, ma mai sola

Avere figli cambia la vita, tuttavia Susanna ci vede solo aspetti positivi. “Elo e io siamo una squadra. Non ha cambiato molto il mio tenore di vita.

Non vado più frequentemente a cena fuori né al cinema, non vado alle feste in discoteca, ma sarei anche fuori luogo. Certo, vado a letto molto presto, non posso più guardare un film in santa pace, ma va benissimo così.

Ho più orari. E anche sul lavoro ho avuto un freno, ma non è un ostacolo alla carriera”.

Fin da piccolo Ercole si è abituato a una vita in movimento. Susanna lo ha portato per la prima volta a quattro mesi negli Stati Uniti. “Viaggiamo ogni volta che possiamo. Voglio che cresca autonomo.

Da anni affitto una parte di casa con AirBnB e ho continuato anche quando era appena nato. Avevo ospiti inglesi, francesi, tedeschi, norvegesi. Lui ha sempre visto un viavai di gente e questo forse lo ha aiutato a non avere preconcetti su come deve essere una famiglia.

Non sono mai stata da sola un giorno, grazie anche alle amicizie che ho. Ed è quello che voglio insegnare anche a lui. Se vuoi stare da solo, che tu abbia una famiglia o meno, starai da solo. Se non vuoi stare da solo, non lo sarai mai”.

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