Oneofmany: é ora di parlare di infertilità

da | 14 Feb, 2023 | Lifestyle, Persone, Salute e Benessere

Un progetto per dare voce e volti alla sofferenza, affrontare i pregiudizi e normalizzare l’infertilità con un sorriso

La diagnosi di infertilità arriva come un tegola sulla testa. Un macigno che si ferma nel cuore e che sbarra la strada verso un futuro immaginato, che vede, tra sogni e opportunità, anche quello di diventare genitori. 

Le cause sono tante e diverse: endometriosi, problemi ovulatori o menopausa precoce per le donne, azoospermia o anomalie relative al liquido seminale per gli uomini. Patologie che possono essere affrontate con terapie mirate, grazie all’intervento della scienza ma anche con la giusta sensibilità collettiva e informazione.

Le coppie infertili si trovano spesso impreparate di fronte a una diagnosi di questo tipo, cresciuti in una società in cui l’educazione sessuale non è diffusa come dovrebbe, le informazioni a riguardo non sono sempre corrette o aggiornate, in un momento storico in cui l’età media in cui si cerca il primo figlio aumenta e di conseguenza anche i possibili problemi.

Loredana Vanini, fotografa e madre del progetto Oneofmany – Unadelletante, porta avanti da anni un’importante campagna di sensibilizzazione per normalizzare l’infertilità, una patologia come tante altre, e combattere un tabù radicato, prima di tutto verso noi stessi.

Una donna a metà

“Ho scoperto la mia infertilità per caso, facendo un controllo di routine allarmata da cicli mestruali troppo brevi. Avevo 34 anni ed ero appena sposata”, racconta Loredana. 

“Mi sono stati prescritti degli esami ormonali e i risultati descrivevano una condizione di pre-menopausa, con un valore di AMH pari a 0,5 ng/ml”.

L’AMH (ormone anti-mulleriano) permette di valutare la riserva ovarica ed è legato all’azione dell’ormone follicolo stimolante (FSH): in età fertile, si rileva un valore intorno a 2,1 ng/ml.

“E’ stata davvero una botta. All’improvviso mi sono resa conto che il mio corpo era invecchiato, in particolare le mie ovaie. La probabilità di procreare era sotto il 10%, e mi sentivo così, una donna al 10%: rotta, non funzionante.

Sarei potuta andare in menopausa nel giro di sei mesi, così il medico mi consigliò di ricorrere subito alla procreazione medicalmente assistita (PMA) senza perdere troppo tempo. 

La verità è che, fino a quel momento, la maternità non era tra i miei obiettivi principali. Sì, avrei potuto e voluto diventare madre, ma avrei aspettato ancora un paio di anni. L’istinto materno non mi aveva ancora assalita. Ma quel ‘ora o mai più’ mi ha portata a buttarmi nella PMA da subito.

E’ stata una corsa pazza, ho fatto cinque tentativi in un anno, utilizzando tutti i risparmi perché dovevo rivolgermi a cliniche private: la lista d’attesa nel servizio sanitario pubblico era davvero troppo lunga e non compatibile con i miei tempi. 

Alla stanchezza fisica si aggiungeva quella mentale: non riuscivo a parlarne, mi sentivo colpevole e provavo, non so perché, semplicemente vergogna. Strano per una come me, che ero sempre stata aperta a parlare di qualsiasi cosa. 

E quando ho deciso di farlo è stata una seconda violenza. Tante, tra le persone che conoscevo, hanno iniziato a sbattermi in faccia i loro giudizi senza aver mai vissuto la mia situazione in prima persona. ‘Non ti accanire, la stimolazione può far venire il cancro, se la natura non provvede lascia perdere’. Oppure: ‘Non hai mai avuto l’istinto materno, in fondo non è poi così importante’. 

Oggi, a distanza di anni, posso dire che quello che molti chiamano accanimento per me è tenacia. E quanto all’istinto materno, sappiamo benissimo che non è innato, e che genitori si diventa, con il tempo”. 

Vittima e non colpevole, del mio stesso pregiudizio

Dopo i cinque tentativi, Loredana rimane incinta ma la gravidanza si conclude con un aborto. Decide di fermarsi un attimo, per lasciar riposare il corpo e metabolizzare le emozioni. 

“Lo stacco è durato un anno e mezzo. Volevo riprendere la mia vita di prima, da donna così come ero stata fino al giorno della diagnosi, e non più da donna infertile.

Ho ripreso a respirare, ma senza dimenticare. Quando vedevo per strada una donna con il pancione mi assaliva la tristezza e mi attribuivo delle colpe. Avevo aspettato troppo e sprecato tempo? Avevo messo la famiglia in secondo piano rispetto al lavoro? Avevo cambiato partner, avevo fumato? 

Mi giudicavo arida perché non avevo provato prima il desiderio di maternità, come alcune mie amiche, e per essermi comportata in modo diverso. Non mi sentivo vittima ma colpevole. Cercavo le colpe nei miei atteggiamenti. E così mi sono resa conto che i pregiudizi che osservavo negli occhi degli altri in realtà erano i miei giudizi, le mie paranoie.

L’essere giudicante con me stessa lo rivedevo anche nelle altre donne, nelle sale d’attesa delle cliniche per la fertilità. Nessuna voleva attaccare bottone, evitavamo lo sguardo dell’altra. Eppure eravamo lì per la stessa cosa. 

In quel periodo di pausa ho lavorato proprio su questo, e su me stessa. Pian piano ho finalmente smesso di giudicarmi. Colpevolizzarmi non portava a nulla, soprattutto se la colpa non era la mia. Il tempo che passa, l’endometriosi, la qualità della riserva ovarica: nulla di tutto ciò dipendeva dalla mia volontà”.

Loredana decide di ricominciare, affidarsi di nuovo alla scienza e provare in un’altra clinica, che le consiglia di ricorrere alla fecondazione eterologa femminile, un trattamento di riproduzione assistita in cui si ricorre ai gameti di un donatore, ed è consigliata in particolare a donne in menopausa o con scarsa riserva ovarica.

L’istinto di maternità non riesci a sopprimerlo, come un’onda tornava sempre. Sapevo che da qualche parte c’era un bambino per me, anche se ormai avevo imparato a conviverci. E’ vero che oggi cerchiamo i figli più tardi, ma sicuramente lo facciamo con una nuova consapevolezza”.

A Loredana viene consigliato di andare all’estero; in quel periodo non tutte le cliniche italiane erano preparate per garantire buoni risultati nel campo della fecondazione eterologa, legalizzata in Italia nel 2014. E il miracolo arriva: nel 2018 nascono due gemellini, Leone ed Olivia.

infertilità

Una delle tante

Durante il periodo di pausa dalla PMA che ha preceduto la gravidanza, Loredana si è buttata a capofitto nel lavoro, con un nuovo progetto pensato per dare voce e anche un volto alle donne che vivono o hanno vissuto la stessa condizione, attraverso il suo linguaggio e la sua arte: la fotografia. 

“Poco dopo aver iniziato il percorso di PMA mi sono accorta che non conoscevo altre donne infertili. La donna infertile la immaginavo come una persona molto magra, magari una fumatrice accanita. Invece non è così. Sono tutte diverse, o anche molto simili. Io ero solo una delle tante, normalissime, donne.

Volevo fare qualcosa per far sì che il mio vissuto fosse utile alle altre ed essere portatrice di cambiamento. Sono fotografa e non scrittrice, quindi mi sono detta ‘perché non dare un volto all’infertilità?’.

Ho spiegato il mio progetto alle donne iscritte a un gruppo social: hanno iniziato a scrivermi in tantissime, da tutta Italia.

Mi sono innamorata di queste donne che si affidavano a me senza conoscermi, e che volevano raccontare l’infertilità attraverso le loro esperienze, spesso dolorose. In quel periodo ero incinta, e anche un po’ fragile, ma ho iniziato a viaggiare per l’Italia per incontrarle tutte”.

Il libro fotografico OneofmanyUnadelletante vuole accendere un faro su tutto ciò che accompagna la difficoltà a diventare genitori, e su tutte queste donne in continuo movimento per avere un figlio. Presenta 99 ritratti + uno, quello di Loredana.

Un libro che dovrebbe sfogliare ogni donna che riceve una diagnosi di infertilità, perché attraverso questa raccolta di autoritratti può ritrovare un po’ di normalità.

“Oltre a dare un volto alle donne, volevo anche mettere in luce giudizi e pregiudizi, spesso aggressivi o poco empatici, delle persone che parlano ma che non sanno assolutamente nulla di fertilità, gameti, o salute sessuale riproduttiva”.

E così, dopo l’uscita del libro, Oneofmany diventa un vero e proprio movimento, fatto di incontri in giro per l’Italia, contenuti social e interviste a esperti, per fare informazione e aiutare chi riceve una diagnosi di infertilità.

“Il percorso per cercare di avere un figlio per queste coppie è molto duro psicologicamente, fisicamente ed economicamente. Le iniezioni, le visite e i monitoraggi sono accompagnati ancora da vergogna, sensi di colpa, inadeguatezza e quindi isolamento. E questo non è giusto”.  

Una patologia, non solo femminile 

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito l’infertilità come “l’assenza di concepimento dopo 12/24 mesi di regolari rapporti sessuali mirati non protetti”, considerandola una patologia a tutti gli effetti. In Italia riguarda il 15% delle coppie e ogni anno la percentuale aumenta.

A differenza di quel che si pensa, non si tratta di un problema esclusivamente femminile, anzi. Il 35 % dei casi è attribuito al partner femminile, il 35% a quello maschile e il resto è problematiche sconosciute. Eppure sono le donne le prime a affrontare gli esami diagnostici, e ad essere maggiormente sottoposte ai trattamenti. Di recente IVI Italia ha denunciato una diffusa tendenza maschile, che si attesta intorno al 90%, di non fare adeguata prevenzione e di rivolgersi all’andrologo solo in caso di sospetto concreto di patologia. 

“Nella nostra cultura non è consueto parlare correttamente e apertamente di fertilità o infertilità, purtroppo” sostiene Loredana. “L’età media in cui facciamo figli è aumentata, come l’aspettativa di vita, ma non è aumentata la fertilità. Il fatto di poter facilmente avere figli anche dopo i 40 anni sembra essere un pensiero comune, ma non è così.

Possiamo averli ugualmente, certo, ma le possibilità di dover ricorrere alla scienza aumentano con il trascorrere degli anni. Questo non significa che dobbiamo sentirci colpevoli. Mi piacerebbe che tutti fossimo informati e consapevoli.

Le coppie infertili dovrebbero affrontare questo percorso in modo più sereno, senza scontrarsi con i pregiudizi e isolarsi. E’ ora di diffondere questo messaggio: ci sono modi alternativi per avere figli, e questo non fa di noi persone imperfette che devono sentirsi in colpa, ma persone normali che desiderano diventare genitori”. 

infertlità

 

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