Non è un paese per famiglie: storie difficili durante il lockdown

da | 11 Giu, 2020 | Lifestyle

L’emergenza e il lockdown, lo avevano previsto in molti, ha fatto emergere un’Italia fatta di famiglie in bilico, costrette a vivere in equilibrio precario 

“Non è un Paese per famiglie” è uno slogan che girava qualche anno fa, ma che si è fatto più attuale oggi che cominciano a mostrarsi i primi effetti di una nuova crisi economica.

E le famiglie, tra tutte le forme di cittadinanza, sono quelle che più hanno avuto bisogno di trasformarsi e riorganizzarsi nel lungo periodo del lockdown. Le risorse, sia economiche che morali, sono andate però esaurendosi. Quel che ne risulta è un misto di stanchezza, burnout, paura e difficoltà. 

Il bar chiuso e 100 euro di premio

Roberta, mamma di una bimba di due anni, ha deciso per puro caso di mettersi in proprio a ridosso della pandemia. “Dopo anni di lavoro sotto un padrone, a cui ho dovuto fare una causa legale (vinta) e che a conti fatti mi deve metà del mutuo, ho deciso di mettermi in proprio e rilevare un bar assieme a una socia – racconta -. Mio marito lavora nella vigilanza e non ha mai smesso di essere operativo. Il premio che ha ricevuto per tutto il periodo fuori casa nel bel mezzo dell’emergenza sono stati 100 euro scarsi”. 

La bambina è rimasta a casa dal 12 marzo fino alla ripresa dell’8 maggio. “Certo, c’era la didattica a distanza. Però a quell’età non funziona! La chat dell’asilo era un minestrone di attività da proporre a casa, ma la concentrazione dei bimbi non è controllabile. E le cose da fare ci sono sempre, anzi ce n’erano di più: cucinare, sistemare, lavare, fare la spesa con la coda ai negozi. Cercavo di stare dietro a tutto, però la sera, quando mi rendevo conto di non aver seguito mia figlia nei lavoretti dell’asilo, mi sentivo pervasa da un sentimento di inadeguatezza”. 

Poi c’è la questione economica: l’attività di Roberta è stata tra le prime a chiudere e tra le ultime a riaprire. “Da quando siamo partite non sono riuscita a portare un euro a casa”.

Tuttavia è riduttivo farne solo una questione economica. “Mi sarebbe piaciuta un po’ più di attenzione e considerazione per la fascia d’età di mia figlia. Al momento vedo solo bambini sbattuti da un parente all’altro (chi li ha) per poter continuare a lavorare. Mia figlia, per esempio, stamattina si è svegliata alle 6 per andare da mio padre; domani andrà da mia sorella, poi mia suocera si trasferisce da noi per il fine settimana. Delegheremo totalmente la responsabilità della sua cura a persone over 75, che magari hanno problematiche di salute (mia suocera è parzialmente invalida) e che sono quelle più a rischio di contagio”.

Da sola con sette figli

Silvia abita nel Sud Sardegna. Ha sette figli: la prima di 23 anni che studia e lavora, il secondo di 21, la terza di 16 anni e va al liceo, poi ancora 13 anni (medie), 9 e 7 anni (elementari) e la piccola peste (a detta della mamma) di due anni.

“L’unico che ha potuto darmi una mano – racconta – è stato il secondo, che è in cerca di occupazione. Tutti gli altri erano alle prese con la didattica a distanza. Un carico di lavoro che è pesato soprattutto su di me, visto che mio marito è fuori casa tutto il giorno, esclusi alcune giornate di ferie che ha dovuto prendere durante il blocco totale perché era indispensabile il suo aiuto. Abbiamo avuto mattinate con tre ragazzi collegati contemporaneamente alle videolezioni, per cui era necessario organizzare gli spazi mantenendo le stanze libere e silenziose. Per non parlare di compiti, fotocopie e video!” 

Nessun supporto, mai. “In tutto questo periodo l’unico aiuto che abbiamo ricevuto è stato un PC portatile in comodato d’uso gratuito dalla scuola elementare. Avrei auspicato almeno il diritto al congedo parentale per mio marito. Ma non ci è spettato”. 

Un carico eccessivo per una sola persona. “Spero che vengano messe in campo delle misure d’aiuto per tutte le famiglie, con un pensiero speciale per quelle numerose. Di fatto, al momento, io mi sono trasformata nella supplente degli insegnanti dei miei figli, con in più un bambino di due anni da accudire. Ho fatto i salti mortali. Ora sto facendo il conto alla rovescia per la fine dell’anno scolastico”. 

L’all-day-long della mamma single

Antonia è mamma di due figli ed è single. Va specificato che il Paese, durante la pandemia, sembra aver dimenticato le forme meno tradizionali di famiglia. “Il padre dei miei figli non ha più rapporti con noi – ci spiega – quindi è come se non esistesse. Per settimane leggevo e controllavo i decreti che parlavano di condivisione dei lavori di cura, che permettevano ai genitori di darsi il cambio e di alternarsi tra casa e lavoro: ma io? Io con chi mi alternavo? Avevo la possibilità di prendere i congedi, ma dovevo rinunciare a metà del mio stipendio. Avrei potuto chiedere il bonus baby sitter, che però non mi avrebbe mai coperto per tutte le ore di lavoro necessarie. E ovviamente il bonus non era compatibile con permessi e congedi”. 

Per fortuna c’è lo smart work, arrivato come se fosse la soluzione a ogni problema familiare. “Ho lavorato da casa, ma sempre assieme ai due bambini. È stato difficilissimo ed è andato tutto a discapito della qualità del lavoro e della relazione con loro. Se lavoravo, non potevo intrattenerli; se giocavo o li addormentavo non potevo essere presente al lavoro. Ho passato la quarantena in servizio 24 ore su 24, a fare la mamma di giorno e la lavoratrice di notte davanti al pc”.

Un papà separato

Si è detto più di una volta che nelle situazioni di difficoltà chi ci rimette davvero sono le persone che in difficoltà erano già prima. È il caso di Giuseppe, di Napoli, papà separato che da settimane chiede aiuto al Governo. “Ho una figlia di sei anni e sono separato dalla madre, con una sentenza che mi obbliga a versarle 300 euro al mese per il mantenimento – racconta -. Ho perso il lavoro e da 18 mesi percepisco il reddito di cittadinanza.

Sono 500 euro al mese. Ma i soldi del reddito non sono prelevabili, servono solo a fare la spesa e a pagare le utenze. Se prima riuscivo a fare qualche servizio per racimolare il mensile per mia figlia (e non ho mai saltato un assegno), ora con l’emergenza sono fermo e mi tocca chiedere aiuto a mio padre”. 

Oltretutto chi percepisce il reddito di cittadinanza non ha potuto fare richiesta dei bonus a sostegno delle famiglie. “Mi hanno rifiutato persino la domanda del bonus comunale per la spesa alimentare. E intanto non ho mai ricevuto una proposta di lavoro: chi assumeva durante il blocco? Sto facendo i salti mortali da mesi e l’emergenza mi ha fatto precipitare. Mi sembra che gli aiuti siano indirizzati a chi stava bene nei tempi normali e ha iniziato ad avere problemi a causa del Coronavirus. Ma chi stava male già prima? A noi non ci ha pensato nessuno e nessuno mi sta dando risposte sui miei diritti”.

 

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