Ashtanga Yoga: la metafora della vita

da | 4 Nov, 2021 | Lifestyle, Salute e Benessere

Gli asana per curare il corpo, il pranayama per riequilibrare il sistema nervoso e la meditazione per calmare la mente: cos’è l’Ashtanga Yoga

In un mondo veloce come quello che stiamo vivendo è necessario trovare un modo per rallentare. Uno di questi è la pratica dello Yoga, che offre l’opportunità di rallentare e calmare la mente attraverso il controllo del respiro. L’Ashtanga Yoga, disciplina tradizionale del sud dell’India, è una pratica che lavora sul corpo, rendendolo sano, flessibile e forte, e sulla mente, grazie al potente controllo del respiro. L’Ashtanga Yoga, una pratica molto performante e tutt’altro che statica,  parte dal lavoro sul corpo per arrivare a controllare il respiro e a domare la mente.

Di cosa si tratta

L’Ashtanga, definita come “meditazione in movimento”, è una forma di Yoga dinamico. Nella pratica dell’Ashtanga le posizioni fisse tipiche dell’Hatha, dette asana, si susseguono in un flusso ordinato e continuo, con una grande attenzione alla coordinazione tra respirazione (Ujjay pranayama), sguardo (Drishti) e movimento (Asana, appunto). Il corpo, attraverso il movimento coordinato e controllato, si purifica, espelle tossine (fisiche, emotive, mentali), sviluppando un maggiore equilibrio e funzionalità del nostro sistema nervoso. Proprio perché molto dinamica, questa pratica piace molto anche agli uomini, solitamente scettici rispetto allo Yoga.

La pratica e le lezioni

Gli asana sono organizzati in sequenze e divise per sei serie, secondo la scuola di Sri K. Pattabhi Jois, che a metà del secolo scorso fondò a Mysore (città dell’India meridionale) un istituto di ricerca sull’Ashtanga. Ad oggi la pratica e l’insegnamento nelle classi di Ashtanga sono legati a due tipologie di lezione:

  • il “Mysore style”: lo studente acquisisce progressivamente autonomia nella gestione della propria pratica attraverso il sostegno individuale dell’insegnante.

  • Lezione guidata: gli studenti praticano in gruppo, guidati dalla voce dall’insegnante che nomina le posizioni e conta sia la durata dello stato di postura.

I benefici dell’Ashtanga Yoga

“L’Ashtanga Yoga lavora sul respiro e sul corpo – commenta Giuseppe Panarello, uno dei più conosciuti e riconociuti maestri di Ashtanga Yoga in Italia, che regolarmente si reca a Mysore per affinare la pratica- e questa connessione tra respiro e movimento porta grandi benefici sul sistema nervoso centrale e periferico”.

La prima serie, su cui ci si concentra nelle scuole occidentali, è molto terapeutica. Il grande lavoro di piegamenti in avanti e il lavoro sulle anche sviluppa una mobilità utile a liberare le tensioni e ritrovare una corretta postura delle quattro linee della colonna vertebrale. I continui salti rendono la pratica dinamica. “L’errore che spesso facciamo nelle pratiche dinamiche –continua Giuseppe- è di accelerare troppo la pratica e andare dietro alla mente. Dobbiamo cercare di rallentare e generare il processo inverso: rallentare il movimento per rallentare la mente. L’Ashtanga Yoga allora diventa un sistema di purificazione straordinario, che va dall’esterno verso l’interno. Si comincia ascoltando il corpo, l’elemento più tangibile, curando le articolazioni, la postura, la mobilità. Piano piano si arriva a lavorare col respiro fino a che la pratica diventa negli anni una meditazione in movimento”.

Ashtanga nel primo trimestre di gravidanza

I primi tre mesi di gravidanza sono i mesi della lentezza, anche per le praticanti di Ashtanga. “Per fare in modo che il feto si attecchisca alle pareti dell’utero non bisogna sforzare troppo il corpo”, dice Francesca Panarello, sorella di Giuseppe, mamma di due bimbi e maestra di Yoga che da tempo si concentra sul lavoro con il femminile soprattutto in gravidanza e post parto. “Nel primo periodo ci si concentra sull’ascolto, sul respiro, sull’accettare la nuova vita, consapevoli che il bimbo arriva prima di tutto. Quindi riposo; anche se ci si sente bene. Il consiglio per i primi tre mesi è di non praticare, fare solo alcuni pranayama, evitando persino gli esercizi di respirazione che aumentano molto la temperatura interna o che stimolano peristasi e movimenti intestinali”. Gli asana si riprendono dopo il primo trimestre e solo se i due corpi lo consentono.

Ossigenazione e respirazione profonda

Nel secondo trimestre in genere si può riprendere la pratica, ma solo la prima serie perché la seconda ha molte asana in posizione prona, non favorevole alla crescita della pancia. “I benefici dell’Ashtanga sono tanti – continua Francesca- anche in gravidanza: apporta una buona ossigenazione a tutti i tessuti del corpo, ai muscoli, ma anche al bambino e all’ apparato uterino e consente al feto di crescere bene”. È sempre importante essere guidate da un maestro ouna maestra che accompagna la donna nelle varie fasi della gravidanza, valutando man mano i blocchi, la postura e i limiti del nuovo corpo. “Dopo i sei mesi di gravidanza la pancia inizia a essere grande e lo stomaco molto compresso quindi sono benefiche le asana di apertura, rendendo la pratica meno dinamica. Dalla 37 esima settimana, vicine al parto, ci si concentra tanto sulla respirazione profonda e sulla meditazione: è tempo dello stare più che del muoversi”.

In puerperio

Si riprende la pratica tre mesi dopo un parto naturale e sei mesi dopo un cesareo, questo è il consiglio. Nei 40 giorni dopo il parto ci si prende cura di neonato e puerpera secondo le tecniche ayurvediche, con massaggi con olii caldi, di lavanda per esempio, e un’ alimentazione bilanciata. “Molte donne – spiega Francesca- hanno fastidio alla zona lombare perchè i muscoli che circondano utero e area pelvica hanno subito compressione in termini di forza e posizionamento. Il lavoro da fare va a rinforzare quella zona, a livello di consapevolezza e forza, oltre a ristabilizzare la lassità provocata anche dalla prolattina durante l’ allattamento. Secondo l’Ashtanga il corpo torna forte con il ritorno del ciclo, con la produzione regolare degli ormoni.

Il respiro e il sistema nervoso centrale

Anche nel post parto l’attenzione è al respiro, che va a ristabilizzare il sistema nervoso, migliora la circolazione e la qualità del latte. Mentre le asana servono a ritrovare tonicità muscolare e delle articolazioni”. Per chi pratica da molto tempo l’ideale è lavorare sulla seconda serie (evitando le grandi estensioni), le cui asana tendono al riallineamento del sistema nervonso centrale. “Ovviamente ci sarebbe da fare un discorso a parte sui casi specifici, che vanno seguiti con cura, come per esempio i parti cesarei, le lussazioni sacrali, o la diastasi addominale. In questi casi il lavoro e puntuale e sulla persona”.

Metafora della vita

“Trovo l’Ashtanga Yoga una metafora della vita: ci sono momenti in cui tutto scorre molto facilmente e dei momenti faticosi”, conclude Giuseppe. “Tutte le serie hanno una fase morbida e un picco molto alto di fatica, di solito a metà della serie. L’Ashatnga Yoga insegna a non girare intorno ai problemi, ma ad affrontarli. Quando arriviamo a una postura sfidante e riusciamo ad avere approccio non sfidante, allora ci si riesce a godere il momento e il progresso graduale ottenuto, senza forzare il corpo. Di fatto, gli asana vengono quando ci si lascia andare e ci si abbandona alla asana. Questa pratica insegna proprio ad accettare per sviluppare resilienza; cercando un equilibrio dato innanzitutto dal controllo del respiro”.

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