Il reflusso gastroesofageo nel bambino e nel lattante

da | 19 Dic, 2018 | Lifestyle, Salute e Benessere

C’è un problema che affligge molti bambini sin dai primi mesi di vita: il reflusso gastroesofageo. È un fenomeno fisiologico che compare solitamente nei primi dieci mesi di vita e scompare, altrettanto naturalmente, entro i 2 anni. Solo il 5% dei bambini soffre per successive complicazioni.

A spiegarci bene il reflusso gastroesofageo è il professor Arrigo Barabino, direttore dell’Unità operativa complessa di pediatria a indirizzo gastroenterologico dell’ospedale Gaslini di Genova.

Il reflusso anche occulto

“Nel bambino il reflusso si ripete più volte al giorno, con il passaggio del contenuto gastrico nell’esofago, specialmente dopo il pasto. Esiste anche un reflusso che si manifesta senza rigurgito o vomito e il cosiddetto reflusso gastroesofageo occulto”.

una condizione comune nei lattanti, dovuta a un’immaturità del giunto esofago-gastrico che, nella quasi totalità dei casi, si risolve da sola entro l’anno. Questo tipo di reflusso, definito fisiologico o funzionale, non compromette la crescita e la salute del bambino.

La malattia da reflusso gastroesofageo

Quando il problema si fa più serio, si parla di malattia da reflusso gastroesofageo (RGE). “I sintomi che devono far scattare un campanello d’allarme sono diversi – continua il professor Barabino -. Arresto della crescita o calo ponderale, vomito tinto di sangue fresco o di color fondo di caffè, difficoltà o rifiuto ad alimentarsi, instabilità, episodi di rigurgito che non si concludono all’anno di età, polmoniti da aspirazione o erosione dentale dovuta ai continui rigurgiti acidi. È possibile che segnali di questo tipo si manifestino anche in assenza di reflusso, ma possono essere confusi. Per questo motivo è necessario accertare quale sia il problema reale”. In alcuni casi i sintomi, se gravi, possono protrarsi sino all’adolescenza.

La diagnosi e la cura

Come capire se il proprio bambino soffre effettivamente di malattia da reflusso gastroesofageo? “La RGE non può essere diagnosticata né con l’ecografia della regione esofago-gastrica, né con il pasto baritato, un particolare esame radioscopico del tratto intermedio del tubo digerente per il quale si fa ingerire al piccolo paziente una adeguata quantità di solfato di bario. Quest’ultimo è utile nelle situazioni in cui persiste il vomito, per escludere altre malformazioni, come stenosi esofagee, web duodenale o malrotazione intestinale, ma solo con la gastroscopia o la pH-impedenzometria”.

Una volta scoperto il problema, come intervenire? “Nei casi di malattia di reflusso gastroesofageo fisiologico o funzionale non è prevista cura, poiché in questi casi non c’è nulla da curare, non è necessario intervenire né con terapie farmacologiche, né con modificazioni della dieta del bambino (poco utili, per esempio, le formulazioni di latte antireflusso o latte antirigurgito. Può essere utile una terapia posturale”.

Per quel che riguarda la malattia da RGE esistono due linee guida. Quella europea/americana prevede un intervento farmacologico a seguito di esami specifici e tende a ridurre le prescrizioni di medicinali, con approcci farmacologici più limitati nel tempo e solo sulla base dei risultati degli esami. Quella inglese, del 2015, interviene sulla base del sintomo, sebbene i sintomi non sempre siano indicatori corretti di una malattia da RGE. Il rischio è un abuso dei farmaci inibitori dell’acidità gastrica che, nei bambini, possono determinare ulteriori problemi.

La dieta

Il metodo risolutivo può venire da una terapia dietetica. Intanto è possibile ispessire il latte con l’utilizzo di farine, in modo che “fatichi a tornar su”. L’utilizzo di latte antirigurgito o latte antireflusso è consigliato solo per i casi conclamati di malattia da reflusso gastroesofageo. In alcuni casi, su indicazione del pediatra, può essere utile un anticipo dello svezzamento, dai quattro mesi in avanti. Esistono poi reflussi legati all’intolleranza al latte vaccino, in questo caso è da consigliare l’allattamento materno. Quale che sia la situazione, il consiglio è sempre di collaborare col proprio pediatra per trovare la soluzione migliore.

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