L’educazione empatica

da | 18 Ott, 2023 | Lifestyle

Uno stile educativo e di comunicazione responsabile che cerca soluzioni e crea connessione: Elisa Benzi riassume che cos’è l’educazione empatica

“La comunicazione empatica parte sempre da noi, da come sappiamo ascoltarci e accoglierci, momento per momento, senza giudizio, con curiosità. Quando non ci piacciamo, quando quello che facciamo e diciamo non funziona, tornare a noi, a che cosa proviamo in quel momento, a quali sono i bisogni più vivi, alla nostra sostenibilità può permetterci di trovare nuove vie da tentare, che funzionino meglio e ci piacciano di più. Comunicare con gli altri, a partire da come comunichiamo con noi stessi, diventa un atto di responsabilità. Per questo l’educazione empatica è un’educazione responsabile: perché non dà colpe, cerca soluzioni; non attacca, crea connessione. E la connessione parte sempre da dentro di noi”. Così Elisa Benzi, consulente genitoriale, mediatrice familiare che vive e lavora a Padova, riassume che cos’è la comunicazione empatica.

52 anni e due figli, Carlo di 16 anni e mezzo e Pietro di 13 e mezzo, Elisa Benzi ha iniziato a riflettere sui temi di cui oggi si occupa con la nascita del primo figlio. 

Strategie educative

“Dopo circa un anno e mezzo dalla nascita di Carlo – racconta – mi sono accorta che le mie risorse genitoriali erano legate a strategie educative che non mi piacevano. Ho provato affanno e paura, mi sono sentita sola, così sono approdata, grazie a un’amica, su un forum di genitori in cui sono rimasta impressionata dalla carica aggressiva dei messaggi. Mi capitava di rispondere a tono, ci tenevo a dimostrare di avere ragione, mi accaloravo contro tutte le persone impietose con le mamme che raccontavano le loro difficoltà”. 

È proprio in quel periodo che Elisa Benzi inizia a riflettere sulla necessità di un nuovo modello di educazione che metta i diritti dei bambini e delle bambine al centro e che riformi l’educazione autoritaria con cui anche lei era cresciuta. 

Il progetto “Non togliermi il sorriso”

Nel 2008 Elisa Benzi conosce un gruppo di genitori che vogliono creare un sito dedicato agli scritti di Alice Miller, psicologa e psicoanalista svizzera che si è occupata di come gli abusi inflitti ai bambini e alle bambine in ambito soprattutto famigliare impattino sulla loro crescita. Al sito (www.nontogliermiilsorriso.org) è affiancato anche uno spazio di discussione sicuro, in cui i genitori possano sentirsi accolti senza dover affrontare l’aggressività e la critica. “Questo progetto è stata un’esperienza di comunicazione non violenta applicata agli incontri social. Il nostro progetto era contro la violenza educativa: i bambini non si picchiano e con loro non si usa la violenza verbale. Leggevo genitori che si raccontavano, empatizzavo con loro, portavo le mie riflessioni. Un giorno qualcuno mi disse che i miei messaggi avevano l’effetto di una sorta di consulenza”. 

A quel punto, Elisa Benzi, che all’epoca era ricercatrice all’Università, decide di provare a trasformare questa sua predisposizione in lavoro. Con l’appoggio del marito, si iscrive prima a un master in “Genitorialità e sviluppo dei figli”, quindi si perfeziona in psicologia perinatale presso la facoltà di Medicina di Brescia e si dedica allo studio della comunicazione empatica, sperimentando il metodo di Comunicazione Nonviolenta sviluppato da Marshall Rosenberg (ideatore della Comunicazione Nonviolenta ndr). Infine si forma come mediatrice familiare sistemica. 

Capire il senso 

Elisa Benzi oggi si occupa di consulenze educative ai genitori e di mediazione dei conflitti; conduce percorsi e incontri per le famiglie dedicati alla genitorialità e comunicazione empatica. Il suo scopo è quello di aiutare mamme e papà a non ricorrere alla violenza educativa, e per farlo usa metodi che si discostano dal paradigma autoritario. Spesso infatti coloro che parlano di violenza educativa lo fanno colpevolizzando i genitori, usando la vergogna o la paura.

“Quell’atteggiamento colpevolizzante non è veramente efficace. Chi usa la paura, la vergogna e la colpa per indurre un comportamento alternativo alla violenza non si rende conto che sta scegliendo le stesse motivazioni che si impiegano con le punizioni e le sgridate. Io la violenza non la giustificherò mai, al tempo stesso la capisco sempre. Comprendere un gesto o un atteggiamento violento ci aiuta a prevenire che si ripeta. Se accade, ha un senso. Capire non vuol dire approvare, non vuol dire giustificare, non vuol dire essere d’accordo: significa guardare l’umanità che si esprime in quella situazione. Se lasciamo cadere la colpa e ci osserviamo con senso di responsabilità, possiamo arrivare davvero a non alzare le mani, a non essere violenti e a trovare un’alternativa, perché l’alternativa c’è sempre”. 

Secondo Benzi non siamo abituati alla vera empatia, che è diversa dalla gentilezza e dalle buone maniere. L’empatia per lei è aprire il cuore a qualcuno e far risuonare quello che è vivo nell’altra persona con ciò che conosciamo di quell’emozione. “Cerco di aiutare i genitori a non sentirsi in colpa, a guardare i propri errori come interessanti. Tutto quello che succede ha un senso, forse quel senso non lo capiremo mai o forse non ci piace, ma questo non toglie che quel senso ha una sua dignità”. 

Violenza o non violenza

Secondo Benzi c’è un grosso equivoco nei genitori quando pensano che prendere delle decisioni per i propri figli quando loro non sono d’accordo sia violenza. “Questo non è vero. Pensare che i bambini possano decidere tutto ciò che riguarda la vita quotidiana con le loro competenze da bambini è una cosa impropria, vuol dire mettere sulle spalle dei bambini una responsabilità eccessiva. Il bambino non può decidere se si va a scuola oppure no. Non può decidere se si va dai nonni oppure no.

Non può decidere se si fanno le vacanze oppure no. Può mostrare la fatica che fa nell’aderire alle nostre scelte e i genitori hanno il compito di cercare di volta in volta le soluzioni sostenibili più utili per tutti. È normale che i figli piangano o si arrabbino quando non possono fare quello che vogliono, ma è bene che non siano il disagio o la paura di quella rabbia a determinare la scelta dei genitori. Non è violenza quando ad esempio un genitore decide che si va via dal parco perché c’è bisogno di preparare la cena o perché sa che se rimane troppo tempo a giocare poi sarà stanco. Il genitore in questo caso sta usando la sua forza in senso protettivo non punitivo.

Uscire dall’educazione autoritaria vuol dire mostrare ai bambini che all’adulto interessa quello che provano, che i loro sentimenti sono importanti e che possono mostrarli. “I bambini potrebbero arrabbiarsi con tutta la forza della loro esuberanza infantile, potrebbero piangere anche molto. Potrebbe non essere facile accogliere il loro dissenso. Al tempo stesso pensare che, quando non sono d’accordo con noi, facciano quello che chiediamo e siano anche contenti non è possibile”. A quel punto il genitore può attivare una mediazione e trovare delle alternative. “Il problema è che non sempre le alternative funzionano. Ci sono delle volte in cui con i bambini non funziona niente, ci sono giornate ‘no’ e ci sono bambini  un po’ più complicati. Per questi possono essere necessarie ancora più pazienza e attenzione, a volte un percorso personalizzato”.

di Sabrina Roglio

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