Una mamma a Londra

da | 8 Ago, 2013 | Persone

Dove possono vivere una internal events manager italiana, che si è trasformata in stay at home mum, cioè mamma a tempo pieno (ruolo riqualificato rispetto all’antiquato housewife) e un technology manager sudafricano appassionato di videogame che di notte si trasforma in un troll virtuale? Soltanto a Londra, dove si sono incontrati provenienti dagli antipodi del mondo – l’Italia e la Repubblica Sudafricana – e dove hanno avuto due figli, Dylan e Lucas. Come è successo tutto questo? “Mi sono trasferita a Londra nel 1990 per imparare l’inglese, vedere più concerti rock e accumulare esperienze lavorative – racconta Samantha -. L’idea era di rientrare in Italia dopo qualche anno, ma nell’estate del ‘92 mi sono imbattuta nella dolce metà, in un rock club (The Astoria) che adesso è stato raso al suolo per ampliare la metropolitana. Mike aveva fatto tappa a Londra durante un viaggio in autostop che lo aveva portato in giro per mezza Europa. All’epoca il Sudafrica era stato bandito dal Commonwealth a causa della situazione politica, quindi i cittadini sudafricani potevano rimanere in UK per un massimo di tre mesi. Siamo rimasti in contatto via lettera, con carta, penna e postino, perché l’email ancora non esisteva, fino al 1994, che fortunatamente ha segnato la fine dell’apartheid. Nel momento in cui la Repubblica Sudafricana è stata riammessa al Commonwealth, Mike ha lasciato l’emisfero sud per raggiungermi a Londra”.

Nella metropoli
Come si vive a Londra? “Considerando la dimensione della città, a Londra si vive bene. I mezzi pubblici arrivano ovunque e sono, in linea di massima, efficienti. Fino a che non sono arrivati i bambini non avevamo nemmeno la macchina, ora siamo gli orgogliosi proprietari di una Fiat 600, che mio marito chiama affettuosamente ‘il go kart’. Visto però il rapporto tra costo di mantenimento e utilizzazione effettiva, stiamo pensando di abbandonarla per iscriverci a uno dei tanti car sharing club della zona. Gli inglesi sono grandi fan dei parchi e ogni quartiere ha uno spazio verde, che va dal fazzolettino di terra a distese enormi con alberi secolari. I parchi qui vengono utilizzati realmente: sono luogo di ritrovo per picnic, compleanni, partite di calcio, ci vanno le scuole per educazione fisica e nelle giornate di sole si riempiono di salviettoni, palloni gonfiabili e bikini, un vero back-garden alla portata di tutti. Londra è decisamente una città multi-culturale, il classico melting pot. Le poche volte in cui si incontra qualcuno nato e cresciuto qui, si rimane sbalorditi, tanto si è abituati a conoscere americani, francesi, inglesi di altre città, australiani, polacchi, indiani, neozelandesi e persino (nel mio caso) un ragazzo tuareg che mi ha raccontato che, essendo la tribù nomade e priva di calendario, tutti i tuareg hanno la stessa data di nascita sul passaporto”. La città offre tantissime opportunità di svago, ma in realtà spesso si finisce talmente cotti dal lavoro che si va al parco sotto casa o a bere un caffè in uno dei tanti Starbucks/Caffè Nero/Costa Coffee che negli ultimi anni hanno invaso la capitale (e il resto del Regno Unito) sulla scia del famoso Central Perk della sitcom Friends, che qui ha spopolato come non mai. I mitici pub inglesi sono abbastanza rari e hanno ceduto il posto a trendy Bars e Wine bars, locali moderni, arredati con gusto e fortunatamente privi di quelle moquette centenarie dove hanno vissuto intere generazioni di acari. In questi locali servono birre internazionali, vini (pregiati o meno) e addirittura si può trovare il calice di Prosecco, una delle ultime chicche importate dall’Italia”.

Londra with children
Nessun lato negativo? “Londra non è il paese dei Balocchi: le case sono microscopiche, c’è il problema dell’alcolismo, lo stato del servizio sanitario nazionale (che fa apprezzare veramente quello italiano), il problema della qualità delle scuole (spessissimo scadente) e realtà sociali abbastanza tristi. Da non dimenticare il costo della vita: è alto, in particolare i prezzi delle case e, ahinoi, gli asili. Da genitori, il problema più grande è sicuramente quello della scuole e del sistema scolastico in generale, così diverso dal nostro e basato principalmente sui risultati. Qui le scuole vengono giudicate da un organo governativo in base a particolari criteri e se una scuola riceve un giudizio negativo, si cerca di evitarla come la peste, perché andare a una scuola primaria scadente significa tagliarsi le gambe per accedere a una buona scuola secondaria. Per dare un’idea di quanto sia seria la situazione, basta l’esempio delle scuole cattoliche, in genere considerate molto buone. Giustamente, la priorità di ammissione viene data a cattolici praticanti. Così, alla nascita del primogenito, intere famiglie si riscoprono improvvisamente devote e iniziano a frequentare la Santa Messa con la regolarità di un cucù svizzero. I parroci non sanno più come a fare a ‘misurare’ la devozione e sono ridotti a mettere un registro presenze all’entrata per vedere chi ha partecipato più assiduamente.
Per i bambini piccoli, Londra è una città fantastica, tutti i ristoranti sono baby-friendly, la maggior parte dei negozi, ristoranti e grandi magazzini ha fasciatoi, permette di scaldare il latte o la pappetta senza problemi e non si scandalizza se si chiede un bicchiere d’acqua del rubinetto per i piccini o se si allatta in pubblico. Le persone tendono ad aprire le porte e aiutare a sollevare il passeggino per salire le scale senza nemmeno dover chiedere. Quasi tutti i ristoranti hanno menu per bambini e il comune spesso mette a disposizione centri gratuiti (aperti dall’una alle quattro, che si chiamano appunto One O’Clock Clubs) attrezzati con giocattoli e attività per fare divertire i bambini. Questi centri sono gestiti da maestre d’asilo, ma non fanno servizio di baby sitting, il genitore deve rimanere con il bambino. Per quanto riguarda le attività, a Londra, come in ogni grande città, non manca niente: nuoto, baby-spa, streetdance, baby-yoga, balletto, corso di pittura o musica, francese per bebè (iniziano a 3 mesi), spagnolo per mamma e baby, baby-salsa, teatro per bambini, studio per dipingere le stoviglie, clown a domicilio, corso di cucina per i piccoli. Ce n’è per tutte le esigenze e per tutte le tasche. Durante le vacanze scolastiche i musei organizzano attività come cacce al tesoro e visite guidate con workshop per costruire la spada da cavaliere crociato. Tipicamente inglese è l’organizzazione delle Playdates: dopo la scuola, previo accordo con l’altro genitore e possibilmente con almeno cinque giorni di preavviso (perché è un’usanza anglosassone e quindi le regole sono ben precise) una mamma porta a casa un compagno di scuola a far giocare i bambini, che ceneranno assieme. A un orario concordato (e non un minuto più tardi) il genitore del bambino ospite si presenta a recuperare il figlio. Per i bambini piccoli, invece, si organizzano i Playgroups: spesso il comune mette a disposizione spazi dove mamme e figli si ritrovano per farli giocare insieme. A volte i playgroups sono gestiti da privati, e quindi a pagamento, ma a volte sono gestiti da volontari e totalmente gratuiti. Possono essere aperti a tutti i bambini o a tema: playgroup francese, playgroup italiano e via dicendo”.

Paesi e usanze
Ci sono tante differenze nel crescere i bambini rispetto all’Italia? “Molte, a iniziare dai metodi di svezzamento. Qui non c’è la dieta del pediatra, anzi, il pediatra, se il bambino è in salute, non si vede proprio. C’è una puericultrice che offre delle linee guida, ma in pratica è il genitore ad armarsi di libri e opuscoli e a decidere come svezzarlo. Devo dire che negli ultimi anni la gamma di cibi per bambini ha fatto passi da gigante in termini di qualità e quantità; mentre un tempo si cercava disperatamente un negozio di delicatessen italiane per acquistare le stelline, adesso gli inglesi (grazie anche a personaggi tipo lo chef Jamie Oliver che sottolinea quanto sia importante l’alimentazione o la guru Annabel Karmel, che ha fatto una fortuna proponendo pranzi bilanciati per lo svezzamento) si sono muniti di maccheroncini e spaghetti.
L’orario della nanna è un altro grande punto di scontro tra culture. Qui si tende a fare cenare i bambini verso le 5.30 (la scuola finisce alle 3.30) perché verso le 7.30 è l’ora della nanna. I genitori cenano più tardi, da soli, dopo avere messo i bambini a letto. Prima di avere figli questa tradizione mi faceva inorridire, ma devo dire che con l’arrivo dei pargoli (e tenendo presente la mancanza di nonne che possano dare una mano) dopo una giornata intera passata al loro servizio, mi piace avere una cena tranquilla con mio marito. Così l’orrore si è dissipato e adesso li mando a letto alle 7.30 con una precisione degna dell’Accademia di Westpoint.
Sgridare i bambini è un’altra cosa che differenzia molto le due culture. Se un bambino persiste con il cattivo comportamento, il genitore inglese tende a continuare a ripetere, modello mantra: “Darling, I said no”, spesso senza risultato. Mai, però, si vedrà il genitore inglese alzare la voce in pubblico. Noi italiani (ma anche spagnoli e francesi) diciamo no gentilmente un paio di volte e poi arriva la sgridata. Senza aprire un dibattito sul modo giusto o sbagliato, devo dire che lo stile mediterraneo ottiene effetti più immediati. Gli inglesi, infine, tendono a essere meno apprensivi con i figli. Il genitore italiano vuole prevenire e dice: ‘Non fare così o cosà’, mentre l’inglese aspetta che il bambino cada, poi lo aiuta ad alzarsi e gli spiega dove ha sbagliato”.

Tre culture in famiglia
Come si fa ad amalgamare una famiglia che ha tre modelli culturali? “Con rispetto, apertura mentale e compromessi. Accettiamo e apprezziamo le nostre diversità e cerchiamo di trasmettere quelli che ci sembrano i lati migliori di ciascuna cultura. Tutte hanno qualcosa da insegnare. Vivere lontano da casa insegna a rivalutare le nostre origini e il fatto di vivere in una città multiculturale facilita l’integrazione: la scuola di nostro figlio ospita bambini di venti nazionalità. Ovviamente ci sono anche occasioni di scontro, ma in linea di massima riusciamo sempre a trovare una soluzione che vada bene a tutti”.
Nostalgia dell’Italia o del Sudafrica? “Tantissima! Mio marito è nato e cresciuto in una città di mare bagnata da due oceani. Oltre alla famiglia, gli mancano la vita da spiaggia, i grandi spazi aperti, la dimensione delle abitazioni, il kitesurf e anche le stelle, perché Londra è sempre illuminata e le stelle non si vedono mai. A me, in primis, manca la famiglia, ma anche il calore della gente, del sole, il senso dell’umorismo, l’apertura delle persone, il sistema scolastico e persino il banco dei salumi al supermercato. La cosa che ci manca di più sono i nonni, che i bambini non conoscono bene come vorremmo. Riesco ad andare in Italia tre o quattro volte l’anno, ma la nonna sudafricana viene ogni due anni, quindi ringraziamo il cielo per Skype. Quando vedo i miei figli giocare a rubamazzo con il nonno o raccogliere i pomodorini nell’orto con mia madre, mi commuovo”.

Rimanere o ritornare
Pensate di rimanere a Londra? “Siamo di spirito un po’ nomade e ci piacerebbe spostarci ancora. Londra è un buon compromesso, ma siamo qui da venti anni e vorremmo provare un altro paese. Accarezziamo sempre l’idea dell’Italia, per avvicinarci a una delle due famiglie, ma ogni tanto ci balza in testa l’Australia. Ci siamo dati una deadline di cinque anni e speriamo di trasferirci quando Dylan avrà finito le elementari”.

Mammealondra
Samantha è l’ideatrice di www.mammealondra.com, forum nato “perché ci sono ottimi siti per italiani che vivono o vogliono trasferirsi a Londra, ma l’audience tende a essere più giovane e con problematiche diverse da dentizione o ecografie. Oggi è una community di 860 partecipanti che si aiuta, sorregge e diverte.

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