The Bobo Doll experiment

da | 20 Nov, 2021 | Lifestyle

A 50 anni di distanza dal più curioso studio sull’aggressività dei bambini, il Bobo Doll experiment, cosa dice oggi la psicologia sui giochi violenti?

Torniamo indietro al 1961, agli albori della teoria dell’apprendimento sociale. Il grande psicologo Albert Bandura condusse una famosa ricerca sperimentale alla ricerca di spiegazioni sull’aggressività dei bambini. 

L’esperimento, oggi molto noto, prevedeva l’uso di una bambola speciale, la “Bobo doll”, una di quelle bambole di plastica che tornano sempre in piedi dopo essere stata colpita.

L’adulto con funzione di modello

Albert Bandura formò tre gruppi di bambine e bambini, tutti in età prescolare.

Nel primo gruppo inserì uno dei suoi collaboratori che si mostrava aggressivo nei confronti del pupazzo gonfiabile.  Lo picchiava con un martello, lo sgridava, gli dava calci e pugni gridando: “Picchialo sul naso!” e “Pum pum!”.

Nel secondo gruppo un altro collaboratore giocava con le costruzioni di legno senza manifestare alcun tipo di aggressività né interesse nei confronti di Bobo Doll.

Infine, nel terzo gruppo, i bambini giocavano da soli e liberamente, senza la presenza di alcun adulto che avesse funzione di modello.

In una fase successiva i bambini e le bambine venivano condotti in una stanza nella quale si trovavano diversi giochi neutri (peluche, modellini di camion) e alcuni giochi aggressivi (fucili, la stessa bambola Bobo, una palla con una faccia dipinta legata a una corda). 

I risultati del Bobo Doll Experiment

Bandura poté verificare che i bambini e le bambine che avevano osservato l’adulto picchiare Bobo manifestavano una incidenza maggiore di comportamenti aggressivi.

Così come un maggior uso di giocattoli violenti (per esempio le pistole) rispetto a quelli che avevano visto il modello pacifico o che erano stati lasciati a giocare da soli. 

Gli esperimenti sono stati riprodotti successivamente, rilevando gli stessi risultati anche negli adolescenti, mostrando che nel comportamento appreso è ininfluente il genere, l’appartenenza etnica o l’essere una persona di indole aggressiva o pacifica.

Bandura aveva dimostrato che l’apprendimento avviene per imitazione, vale a dire che ogni persona impara anche (e soprattutto) osservando i comportamenti degli altri che la circondano.

La violenza di Tv e videogiochi

Se i bambini imparano ciò che vedono, aumenta la preoccupazione che giochi, videogiochi e serie Tv con contenuti violenti influiscano sul loro comportamento. 

Negli anni ‘60 la violenza poteva essere rappresentata dalle botte o dalle armi giocattolo, ma oggi, tra Call of Duty e miniserie su Netflix, la violenza è diventata un ingrediente costante nei prodotti usati per divertirsi. 

Non ci scandalizziamo più alla vista di un po’ di sangue sullo schermo, ma questa sovraesposizione che effetto ha? 

Alla luce di nuovi studi, cinquant’anni dopo Bandura, si sa che l’esposizione alla violenza rimane un fattore di rischio che può favorire l’insorgenza di comportamenti, pensieri e sentimenti aggressivi.

Inoltre può predisporre a una mancanza di empatia e di comportamenti di aiuto verso gli altri. 

Tuttavia si è anche provato che i bambini riescono perfettamente a distinguere tra la violenza del gioco e la violenza nella vita reale.

L’umanità, insomma, prevale su qualsiasi condizionamento avvenuto tramite videogiochi, serie Tv o giocattoli violenti.

Una risposta diversa da quella attesa

Analisi più attente dimostrano che i bambini più influenzati dalle immagini aggressive sono quelli già esposti ad altri fattori di rischio.

Per esempio ad ambienti familiari problematici, oppure a disturbi del comportamento preesistenti, o ancora quelli a cui manca il supporto sociale. 

Bandura, peraltro, lo aveva detto: esiste un apprendimento che avviene per imitazione, ma è sbagliato pensare che i bambini imitino tutto ciò che vedono. 

Significa che non diventiamo necessariamente aggressivi solo perché si abbiamo assistito a comportamenti aggressivi. Esistono molte variabili che possono entrare in gioco e provocare una risposta persino opposta a quella attesa. 

Alcune tra queste variabili sono il contesto in cui viviamo, l’attenzione (imitiamo maggiormente i comportamenti che attirano la nostra attenzione) e la motivazione (mettiamo in atto solo alcuni comportamenti, in relazione ai nostri obiettivi).

aggressività bambini

Il rinforzo vicario

L’esperimento sulla Bobo doll sollevò non poche critiche da parte della comunità scientifica per l’uso dei bambini, che vennero sottoposti, senza cautela, a stimoli visivi di natura violenta. Non vi fu neppure un follow-up per verificare l’eventuale insorgenza di problemi nel breve e medio periodo.

Una forte critica venne anche dall’osservazione che nell’esperimento mancava l’interazione tra bambino e modello (bambino e modello non si conoscevano) e il modello non aveva nessuna punizione o ricompensa in seguito al suo comportamento aggressivo.

In merito a questa critica, Bandura organizzò una espansione dell’esperimento, una sorta di Bobo Doll Experiment 2.0, identico al precedente, ma con un elemento in più: il modello (aggressivo) riceveva una punizione o una ricompensa al termine della permanenza nella prima stanza. 

Divisi in due gruppi, i bambini osservarono il modello aggressivo che veniva premiato per la sua aggressività, oppure il modello aggressivo che veniva punito.

I bambini del gruppo “modello aggressivo che viene punito” avevano imparato l’aggressività con l’osservazione, ma non imitavano il modello perché si aspettavano conseguenze negative. 

Questo rinforzo, ottenuto guardando le conseguenze sul comportamento di un’altra persona, è noto oggi come “rinforzo vicario”.

https://youtu.be/eqNaLerMNOE

 

di Viola Paccagnella

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