Trasferirsi da Roma a Milano, solo andata

da | 6 Giu, 2019 | Lifestyle, Persone

Una giovane famiglia romana si è trasferita a Milano. Com’è cambiare città in compagnia di un bimbo di cinque anni e mezzo?

Agosto 2018. In una torrida giornata d’estate Alessandra e Luca decidono di stravolgersi l’esistenza e cambiare lavoro, cambiare città, cambiare vita. Una decisione coraggiosa: venduta la casa in Roma, hanno fatto i bagagli assieme al piccolo Niccolò di 5 anni e mezzo e, nel mezzo di un autunno non troppo freddo, si sono trasferiti tutti e tre a Milano. Cosa succede a una famiglia che lascia la capitale d’Italia per vivere nella
capitale del business?
“A parte un primo periodo di assestamento – racconta Alessandra – questa avventura (programmata ma neanche tanto) è positiva. Il primo risultato è che abbiamo imparato ad amare la nostra città di provenienza, Roma, che quando ci abitavamo ci deludeva. Ci facevano arrabbiare il caos, le buche, la mancanza di senso civico che la contraddistingue. Ma appena siamo stati distanti abbiamo incominciato a ricordare tutto con meno intransigenza e tanto più amore. Alla fine ci siamo resi conto che siamo cresciuti a
Roma, ci siamo conosciuti a Roma, ci siamo sposati a Roma e nostro figlio è nato a Roma”. E dunque siete romani. “Io non proprio una romana doc, visto che i miei genitori non lo sono e per questo mi sono sentita sempre un pò un mondo a parte. Qui ho scoperto l’orgoglio della romanità. E mi succedono cose strane.
Per esempio mi basta sentire qualcuno che parla con l’accento romano, magari in coda a una cassa del supermercato, mentre aspetto l’autobus o sulla metro, e il cuore mi sobbalza. Al punto che arrivo persino ad attaccare bottone. Effettivamente a volte sembro una stalker, ma non riesco a farne a meno!”

Non è vero che il milanese è freddo

Altri strani effetti collaterali? “Sono finalmente fiera della mia inflessione dialettale. Qui a Milano mi riconoscono come romana, mentre a Roma mi chiedevano sempre se ero milanese. Piccole cose. Ancora non riesco a chiedere i sacchetti quando faccio la spesa. E quando domando alla cassiera ‘due buste per piacere’, c’è sempre uno sfarfallio di sguardo sperduto. Dura un attimo, poi ci si capisce”.
In effetti a Roma capita spesso di ordinare una brioche e notare quello sguardo. “Capisci? – Continua Alessandra ridendo -. Inevitabilmente, tutte le mattine, io chiedo cappuccino e cornetto. A dire brioche proprio non riesco. E poi accade che il piccolo Niccolò ci racconti di aver giocato con ‘la’ Betty. Così abbiamo capito che l’articolo davanti al nome sta prendendo il sopravvento. Oppure ci racconta che a scuola ha lavorato con il nuovo ‘tutor ‘ delle elementari e questa cosa ci fa sorridere e pensare che a Milano sembra di essere a lavoro già a partire dalla scuola dell’infanzia”.
Insomma, lo scoglio è soprattutto linguistico? “No. Vivere qui ci ha tolto molte false credenze. Tipo la leggenda metropolitana che dice che il milanese è freddo. Apparentemente, forse complice il clima più mite, tutti sembrano essere diventati goduriosi e aperti. Sono spuntati come funghi un sacco di localini pieni di tavoli sotto gli ombrelloni, con persone sempre a spasso o sedute nei caffè. Solo di quando in quando intravedo qualcuno concentratissimo sul suo ultrabook, la maggior parte ha un aperitivo in mano o un bel piatto davanti. Insomma un’immagine molto distante dal manager produttivo, grigio e stakanovista che ci eravamo fatti”.

Altri miti da sfatare

Un’altra leggenda metropolitana dice che i milanesi ce l’hanno con i meridionali. “Guarda, è proprio un mito da sfatare. Ho scoperto che i tassisti sono dei gran chiacchieroni e sono sempre bendisposti a raccontare tutto della loro vita. Non solo: quando scoprono che vengo da Roma e sono da poco in città, mi danno mille indicazioni sui posti da visitare, a Milano e dintorni, anche con tutta la famiglia”.
D’altro canto Milano è la città più cosmopolita d’Italia. “È una città vissuta e resa bella proprio dalle persone che provengono da ogni parte di Italia e del mondo. Qui non si può che apprezzare il mix di inflessioni, lingue e culture che si incontrano dappertutto. Questa città è così all’avanguardia anche perché è stata capace di fare tesoro delle diversità”.

Milano accogliente e proiettata al futuro

Una sorta di spartiacque tra la Milano del passato e quella attuale, a detta di molti, è l’Expo del 2015.
“Esiste nell’immaginario comune una Milano-prima e una Milano-dopo l’Expo. Devo ammettere che la città è effettivamente rifiorita e che si percepisce una sorta di vibrazione positiva, di slancio verso il futuro, di anelito che risuona in poche altre città italiane, perlomeno con così grande energia. Parlo di un capoluogo che pianta alberi che cresceranno, che cerca di comprendere in questo slancio anche le periferie, che è accogliente nei confronti dei bambini per i quali pensa a parchi, spazi verdi e attività. Una città efficiente che ha dei piani urbanistici capaci di guardare fino al 2030 e oltre”.

Una passerella a cielo aperto

C’è stato qualche momento difficile in questi mesi? “Temevo tantissimo l’impatto con il clima, abituata com’ero alle giornate di sole e al cielo blu di Roma. Ma non è stato un problema. Né abbiamo avuto difficoltà con l’accoglienza da parte delle persone che, invece, ho trovato educate, curiose e aperte nei nostri confronti. No, il vero dramma l’ho vissuto durante la Fashion Week”. E perché mai? “Ti giuro, quando in metropolitana ho incontrato queste stangone di modelle, giovani e slanciatissime, per giorni e giorni ho
dovuto convivere con una crisi non solo estetica ma anche emotiva”. In che senso, scusa? “Le guardavo dal basso verso l’alto e mi domandavo: ma insomma, sei giovane, sei bella, sei slanciata, porti uno chignon fatto al volo che a te dona e se me lo facessi io sembrerei uno spaventapasseri. Perché hai il broncio? Ecco, chi abita a Milano da un po’ pensa che le modelle siano una cosa scontata. Invece chi viene da fuori le nota subito e prova la sensazione di vivere in una passerella a cielo aperto”.

Tante cose scintillanti

Anche l’ambiente aiuta. “Milano sta cambiando architettura più velocemente di quanto cambia pelle. Fino a pochi anni fa la Madonnina era, per una legge non scritta risalente al tempo del fascismo, il punto più alto della città. Ora è la città più alta d’Italia, con sette dei dieci grattacieli più alti del Paese. Poi c’è la Scala, San Siro, il Fuorisalone, la Bocconi, la Fondazione Prada, il nuovo distretto di Porta Nuova, la Darsena di Porta Ticinese e un sacco di linee di metropolitana (forse 4, forse 5, non si capisce mai bene). Musei, cultura, mostre e un sacco di cose scintillanti, ben organizzate, efficienti, moderne. Un mondo ben lontano dall’immaginario comune fatto solo di shopping e di business”.
Il bilancio dei primi sei mesi, dunque? “Ancora in bilico tra la nostalgia dei sette colli e la gioia di pensare al futuro di nostro figlio in questa città piena di stimoli e di possibilità. Per ora sappiamo che a lui non piace la polenta, che sulla nostra tavola non mancherà mai una bella carbonara, che mio marito continua a farlo ridere parlandogli in romanesco. Ma intanto, quando gli chiediamo come si sente ad abitare a Milano, lui risponde béne con la E così aperta che non lascia dubbi sulla sua nuova appartenenza”.

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