No, non è che tutto sia cambiato in una notte… ma a volte, nel buio, le cose si vedono meglio che di giorno.
Lo diceva, Virginia Woolf, che bisogna “spegnere le luci e guardare il mondo, di tanto in tanto”. E la luce del lungo, nordico, imbrunire parigino si era già spenta da sé e da un po’, la cena a base di ravioli cinesi e birra francese era finita, i piedi di Caterina erano stanchi e felici per l’esplorazione della città che ogni volta la incanta e la spinge in nuove rues, places, arrondissements.
Parigi, di notte, si illumina e si trasforma, il bianco dei palazzi si fa opalescente, dietro le finestre compaiono spicchi di divani morbidi, affiche di mostre recenti, passate o una pianta che si arrampica sulla libreria. Le scritte luminose dei bistrot, dei ristorantini, delle botteghe brillano di colori, le chiacchiere in tutte le lingue come petali intorno ai tavolini rotondi all’aperto, le persone bevono, ridono, parlano, si innamorano – o si lasciano, ma anche questo sembra più dolce – vivono tutto d’un fiato, celebrano l’estate, Parigi. Sempre Parigi.
Ritorno a casa
Caterina ci torna ogni anno più spesso, e per la prima volta quest’estate, dopo tanti ritorni, uscendo dalla Gare de Lyon, la mano stretta al suo trolley rosa con gli angoli consumati dall’andare, nel primo respiro d’aria azzurra della sua città preferita, ha sentito qualcosa di diverso dalle sensazioni degli ultimi viaggi qui: eccitazione, desiderio di libertà, vacanza… no, questa volta è stato diverso: ha sentito di essere tornata a casa.
A casa? Ma non era venuta a Parigi in vacanza? Una sensazione di familiarità l’ha avvolta lasciandola libera, proprio come le succede quando entra in casa sua, nella città italiana dove vive; una sensazione sorprendente, totalmente inattesa, una carezza dolcissima ma forte come uno schiaffo.
Quando la bellezza diventa familiare, forse, diventa casa: casa i palazzi candidi, casa le cupole d’oro dei monumenti, casa le panetterie, casa il mondo che vive a Parigi, casa i caffè, casa il suono della lingua francese, casa la Senna, casa i fioristi, casa le librerie, casa i cinema, casa la creatività che abita quasi ogni angolo di questa città. Intensa e spiazzante, questa sensazione ispira a Caterina una promessa, un impegno con se stessa: non puoi stare a lungo lontana da qui, se questo posto per te è casa.
Il desiderio di fermare un momento
Ma Parigi non ha avuto solo questo dono per lei: ad aspettarla, tra le ombre e le luci della notte, ce n’era un altro, se possibile ancora più profondo, più decisivo. In città, negli stessi giorni d’estate ma in un’altra casa, i suoi due figli di 18 e 16 anni e la loro amica M. stavano vivendo la loro vacanza ed esplorazione parigina.
Per una serie di fortunate coincidenze, infatti, Caterina e i figli avevano a disposizione due case di amici, così lei dormiva in una casa nel II arrondissement e i figli e M. in un’altra, nell’undicesimo. A Caterina – e anche ai figli – era sembrata una situazione interessante: i ragazzi e M. avrebbero visto la città in funzione dei loro desideri e interessi e lei anche – le mostre di moda, i teatri, il jazz – e poi ogni tanto si sarebbero incontrati, magari a cena, magari per un caffè. Per i caffè non si sono incrociati, la cena è stata una sola – i ragazzi avevano un programma di visita della città che nemmeno i giapponesi in tour – ma è bastata per darle il colpo di grazia.
Ravioli cinesi, dunque, birra francese, Parigi che pian piano si riempie di tramonto e poi di buio, le luci che accendono di miele le finestre, i volti dei figli che si addolciscono nella notte, uno dei due che si appoggia alla sua spalla, il desiderio di fermare quel momento in una foto, gli sguardi morbidi di stanchezza e di gioia, le chiacchiere che fluiscono libere: cosa avete visto, cosa avete fatto, cosa vi è piaciuto, dovete assolutamente andare qui…
Caterina ascolta e intanto ricorda il loro primo viaggio insieme in questa città, dieci anni fa, loro proprio bambini e la prima casa parigina in cui hanno vissuto, al nono piano di un palazzo di Montparnasse, la nebbia di novembre, e poi all’improvviso, nella notte, la Tour Eiffel che si illumina di lucine e tutti e tre appiccicati alle vetrate a godersi l’incanto e le coccole.
Il respiro rotto in due, tra passato e futuro
Poi Caterina torna nel presente, perché il cameriere porta il conto e si alzano da tavola, ed è chiaro, in una breve frase innocente e pronunciata mille volte, che tutto è cambiato: andiamo a casa?, dicono i ragazzi e M., ma se lo dicono tra loro, perché “andiamo a casa”, in questa notte parigina del 2022, significa qualcosa di profondamente diverso da tutte le vacanza precedenti: per la prima volta in anni di viaggi insieme, questa frase vuol dire due tetti diversi, due quartieri diversi, ma soprattutto dice questo: che i figli cominciano ad abitare altre case. Ora loro sono grandi, sono cresciuti, più indipendenti, sono capaci di tornare a casa da soli, in una città straniera, responsabili di sé, del luogo in cui stanno vivendo anche solo per pochi giorni, del loro tempo.
Si è fermata un attimo, Caterina, li ha guardati allontanarsi nella dolce notte francese, con l’andatura simile che viene agli amici quando stanno sempre insieme, spalla a spalla, in scala, M. più piccina di statura, il figlio piccolo che sta diventando alto, il figlio grande, altissimo. Erano belli e teneri, non si sono voltati indietro loro, e a un certo punto anche lo sguardo di Caterina li ha lasciati andare, lei ha preso la strada di casa, nella città in cui si sente a casa, il respiro rotto in due, tra passato e futuro, ricucito appena dal fatto che almeno per qualche anno, ma non molti, casa loro in Italia sarà ancora casa loro, in tre, di tutti e tre. Almeno per un po’. Ancora per un po’.