Chi è responsabile di quel che passa in chat dei figli?

da | 24 Gen, 2022 | da non perdere, Lifestyle, Pillar, Soldi e Diritti, Tech

Se nelle chat dei figli circolano foto o video che possono danneggiare qualcuno, chi ha la responsabilità?

Quando nasce un bebè per il genitore comincia l’insonnia, tra pianti, allattamenti, coliche e dentini. Il bambino cresce e l’insonnia continua: tosse, varicella, ginocchia sbucciate. Con l’adolescente l’insonnia diventa uno stile di vita: oltre ai grandi classici (sesso, droga e rock ‘n’ roll), abbiamo l’antipatica fase ribelle e l’infinito catalogo dei disastri che potrebbero capitare. Con il sovrapprezzo che, di questi disastri, rispondono i genitori. 

La soglia dei 18 anni è il varco della libertà per molti ragazzi che finalmente sentono allentare le maglie del controllo familiare, ma anche per i genitori che, finalmente, vedono decadere la propria responsabilità sui figli. E se da un lato questo potrebbe significare che una sgridata fa un po’ meno effetto perché “mamma, ormai sono maggiorenne” dall’altro vuole anche dire che qualunque disastro combinerà il diciottenne saranno solo fatti suoi. Spieghiamoci meglio.

18 anni: capacità di agire

Se un bambino giocando a calcio in maniera un po’ troppo irruenta, rompe il vetro della finestra della vicina, la sua unica responsabilità sarà quella di sorbirsi la sgridata dalla mamma (e dalla signora). Ma, giuridicamente parlando, i responsabili del danno causato dal bambino sono i genitori.

Saranno loro a dover materialmente pagare la sistemazione della finestra un esempio che sembra ovvio: il bambino è troppo piccolo per assumersi la responsabilità giuridica delle sue azioni che sono, per la maggior parte, inconsapevoli, tanto che il minore è sprovvisto della capacità di agire.

La piena capacità di agire, nel mondo giuridico, con la possibilità di assumersi le conseguenze materiali delle proprie azioni, viene riconosciuta convenzionalmente con il compimento del diciottesimo anno di età.

Ribadiamo: è una convenzione giuridica che non ha nulla a che fare con la maturità effettiva di una persona. Primo, perché un diciassettenne non è né più né meno maturo di un diciottenne. Secondo, perché ci sono persone che non sono in grado di assumersi responsabilità consapevoli nemmeno a 40 anni ma, ehi, da qualche parte bisognava mettere il punto. E l’ordinamento ha messo il punto a 18 anni. 

Dai 14 ai 16 anni

Ora, con l’esempio del bambino che gioca a pallone è facile capire a cosa va incontro il genitore poco attento. Ma proviamo ad alzare un po’ l’asticella. Il quindicenne che investe un ciclista con il motorino. Magari perché non ha rispettato uno stop. Chi paga in questo caso? Beh, se per “pagare” intendiamo “sborsare denaro” per rifondere al ciclista il valore della bici danneggiata e l’invalidità derivante da una gamba rotta, siamo punto e a capo: come per il bimbo col pallone, anche per il ragazzo col motorino pagano i genitori. 

La legge presume, infatti, che il minore non abbia i mezzi economici adeguati per rispondere di tutti i danni che potenzialmente potrebbe cagionare. I suoi genitori funzionano, per l’ordinamento, un po’ come un’assicurazione. Se per “pagare”, invece, intendiamo “scontare la pena”, allora in questo caso sarà il ragazzo a pagare. 

Ferire una persona può essere una condotta riconducibile al reato di lesioni e aver rotto la bicicletta al reato di danneggiamento.

Ricorrendo i requisiti dei reati, il quindicenne è punibile e potrebbe venire condannato penalmente. In questo caso, i genitori non rispondono poiché la responsabilità penale è strettamente personale e nessuno può essere condannato al posto di altri, nemmeno se volesse.

Specifichiamo anche che sotto i 14 anni non si è imputabili quindi, se si fosse trattato di un tredicenne che correndo in bici investe un bambino pedone ferendolo, in questo caso, non ci sarebbe stata responsabilità penale del minore ma solo responsabilità civile dei genitori. 

La responsabilità dei genitori

Per fare qualche esempio un po’ più moderno, la giurisprudenza è molto attiva sul versante della responsabilità di genitori e figli in merito all’uso delle nuove tecnologie. 

Ecco, le tecnologie sono nuove ma i ragionamenti giuridici sono sempre gli stessi e si possono applicare pari pari all’esempio del motorino: se chattando su Whatsapp o su Facebook, un ragazzo di 15 anni pone in essere condotte che danneggiano qualcuno (cyberbullismo, stalking, molestie, minacce, diffamazione, revenge porn, diffusione di fotografie o video non autorizzati), egli ne sarà penalmente e personalmente responsabile qualora ricorrano gli estremi di reato. 

Allo stesso modo, i genitori sono responsabili delle conseguenze civili di questa condotta. Per esempio, se il danneggiato riporta un’invalidità dovuta alla paura, a uno stress post-traumatico, o se, disgrazia, si ferisce o si toglie la vita, saranno i genitori del colpevole a dover intervenire economicamente. 

Tirando le somme: qual è l’effettiva responsabilità posta in capo ai genitori? Possiamo dire totale. L’art 2048 c.c. stabilisce, infatti, che i genitori non rispondono del danno se provano di non averlo potuto impedire.

Ma è ovvio che fornire in giudizio questa prova è praticamente impossibile. La possibilità di impedire il fatto si radica nell’educazione, nella sorveglianza, nel controllo degli strumenti tecnologici usati h 24 (che comunque deve essere compatibile con la privacy che va in ogni caso riconosciuta a ogni individuo) e nella dimostrazione di aver adottato tutti gli strumenti educativi e pedagogici volti a prevenire la tenuta di condotte contrarie alle prescrizioni dell’ordinamento. 

di Francesca Salviato – Avvocato

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