Del cambiamento climatico e altre quisquilie, spiegate facili facili

da | 1 Feb, 2019 | Lifestyle

Il cambiamento climatico non è per nulla una quisquilia, anzi

Negli ultimi anni abbiamo assistito a eventi atmosferici via via sempre più estremi. Dall’estate del 2003 ai nubifragi e alle “bombe d’acqua” di questi anni, il clima delle nostre latitudini ci appare sempre più strano, con una tendenza a diventare tropicale.

La quasi totalità dei climatologi è concorde nel ritenere che il ripetersi di eventi estremi non sia casuale, ma abbia una ragione ben precisa: il cambiamento climatico.

Cosa dicono gli scienziati

L’IPCC, l’Intergovernmental Panel on Climate Change, è il principale organismo internazionale per lo studio dei cambiamenti climatici. E’, nei fatti, un gruppo di esperti di diverse nazionalità che si confrontano per fornire al mondo una visione chiara e scientificamente fondata dello stato attuale dei cambiamenti climatici. E’ nato dalla unione di due organismi delle Nazioni Unite e nel 2007 ha ottenuto il Premio Nobel per la Pace.

Il compito dell’IPCC è produrre report che vengono presi e studiati da centinaia di scienziati di tutto il mondo. Ora, tutti i report sono particolarmente pessimisti sull’impatto delle attività umane verso il clima mondiale. Si parla di fisica dell’atmosfera e del cambiamento climatico, dell’impatto che avrà e degli strumenti che si possono mettere in atto per modificarlo.

Gas serra più alti che mai

Tutte le attività umane hanno un impatto significativo sul clima. Negli ultimi decenni questo impatto si è fatto tangibile, portando a cambiamenti importanti. Alcuni dati dell’ultimo report dell’IPCC ci aiutano a riflettere. Il biossido di carbonio (CO2) ha raggiunto nell’atmosfera livelli mai raggiunti negli ultimi 800.000 (sì, ottocentomila) anni.

La temperatura della parte bassa dell’atmosfera è aumentata dalla fine dell’800 a oggi di 0,85 °C, che su scala mondiale è un dato importante. Il livello degli oceani è aumentato di 19 centimetri. Se moltiplichiamo questi pochi centimetri per tutta la superficie liquida della Terra, il risultato è un’enormità di volume di acqua in più, acqua che deriva dallo scioglimento dei ghiacci. Quel che si dovrebbe fare è ridurre le emissioni di gas serra e in generale tutte quelle attività che aumentano la temperatura dell’atmosfera.

Petrolio, carbone e plastica

L’attenzione è soprattutto sul consumo di combustibili fossili, perché petrolio, gas e carbone contengono carbonio (che con la combustione si ossida a anidride carbonica) che da milioni di anni se ne stava tranquillo e immobilizzato. Con la combustione questo carbonio viene rimesso in circolo.

Il problema è che quasi tutte le nostre attività sfruttano direttamente o indirettamente derivati dal petrolio. La bottiglietta d’acqua che ci portiamo nello zaino (e spesso lo zaino stesso) sono fatti di petrolio. Per produrre la bottiglia, trasportarla, riempirla, etichettarla, ritrasportarla e venderla è servito del petrolio. Anche l’acqua che contiene ha consumato petrolio, perché i pozzi e le fonti che la forniscono sono stati costruiti sfruttando petrolio, sotto forma di elettricità per far girare le betoniere o per produrre la calce che è stata utilizzata.

È un esempio banale, che però ci può aiutare a prendere provvedimenti. È inutile lamentarsi dei governi che non rispettano il protocollo di Kyoto (secondo l’IPCC negli ultimi anni le emissioni aumentano sempre più velocemente) se poi tutti non iniziamo a impegnarci partendo dal nostro piccolo. “Tutti” significa 7 miliardi e rotti di persone che vivono sul pianeta. Non è poco.

Il punto di non ritorno

Secondo gli scienziati dell’IPCC il punto di non ritorno, se le emissioni di gas serra non cambieranno, è fissato da qui a poche decine di anni. “Punto di non ritorno” significa il momento in cui i cambiamenti climatici diventeranno irreversibili e questo vorrà dire inondazioni, ma anche desertificazione e, per esempio, quantità di cibo non sufficiente per tutti.

Occorre pensarci su, e fare ciascuno qualcosa nel proprio piccolo, ricordando che sono a rischio le generazioni future e domani potrebbe essere troppo tardi.

[Ugo Finardi, l’autore dell’articolo, è chimico e ricercatore del CNR]

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