Grassofobia: qualcosa di cui parlare

da | 27 Ott, 2021 | Lifestyle

La discriminazione verso gli obesi esiste e fa male: si chiama grassofobia

L’obesità non è una condizione di vita invidiabile, lo sanno bene i quasi due milioni di bambini, adolescenti e adulti che ne soffrono in Italia. Il motivi del malessere però non riguardano soltanto i possibili problemi di salute: a far soffrire è un bias (un pregiudizio) moralistico e spesso spietato, che colpevolizza i grassi rendendoli a tutti gli effetti dei cittadini di serie B. Si chiama grassofobia.

Malati, anziani. E grassi

Succede già per le persone malate o per quelle anziane, che vengono rimosse dalla vita pubblica, nascoste negli ospedali o nelle RSA. Malati e vecchi non compaiono nei cartelloni della pubblicità, non esistono nelle fiction o negli spot, non si incontrano per strada o nella quotidianità se non attraverso qualche ruolo stereotipato. Non c’è posto per i malati e gli anziani nella vita attiva, nel mondo del lavoro o della socialità. 

Allo stesso modo, la società biasima e nasconde i grassi, negando loro, in maniera anche più subdola, la necessaria empatia. Qualcuno obietterà che non è vero. Da qualche anno sono comparse le modelle “curvy” e adesso si stanno aggiungendo modelle non stereotipate, come in qualche caso le figure femminili anziane o in qualche modo “diverse”. 

Ma a parte il fatto che essere “curvy” è qualcosa che pare avere a che fare solo con l’universo femminile, non si può parlare di una vera integrazione. Le curvy che vediamo in pubblicità sono “false grasse”, così come le modelle dai capelli grigi o le modelle con una protesi ad alta tecnologia sono donne meno conformi agli standard, ma sono comunque dotate di canoni estetici fuori dal comune. Non sono esempi di integrazione, ma eccezioni che confermano la regola.

Il moralismo dei magri

Chi è grasso, a differenza di chi è malato o anziano, non subisce soltanto questa forma di ostracismo sociale. È vittima anche di una violenza legata al moralismo delle persone “magre”, che lo accusano di aver scelto la sua condizione, di essere debole e di avere scarsa forza di volontà.

“Basterebbe un po’ di sforzo per cambiare”, è il retropensiero di un magro di fronte a un grasso, che non accetta che nella stragrande maggioranza dei casi è lui stesso magro non per motivi che hanno a che fare con la sua forza di volontà, ma per altre ragioni biologiche, sociali ed economiche. Eppure: “Basterebbe poco per guarire e tornare normali”. 

Chi è grasso è dunque responsabile della sua condizione e – peggio ancora – dei costi sociali che impone alla collettività. Perché la vita di un obeso (e questo è un dato di fatto) è più a rischio di diabete, di malattie cardiovascolari e di alcuni tumori. Obesi e colpevoli, dunque, vittime di sarcasmo, di disprezzo e di incitamento all’odio.

Una visione che viene sostenuta e aggravata anche dal salutismo alimentare, perché, sempre nel retropensiero dei magri, chi è grasso si ostina a mangiare male, nonostante la quantità di cibo “benefico” in circolazione. 

L’esempio di Parigi

Dal 2017 la città di Parigi ha istituito, ogni 15 dicembre, una giornata contro la grassofobia. Non si tratta, ovviamente, di un elogio dell’obesità, ma della denuncia di quante umiliazioni, ghettizzazioni e discriminazioni (spesso invisibili) subiscono le persone obese. 

Perché è importante riconoscere la grassofobia? Perché chi è colpito da questo pregiudizio non può lamentarsi e denunciare eventuali abusi, essendo una discriminazione legalmente inesistente.

Esistono due forme di grassofobia, una sistematica e l’altra ordinaria”, spiega Gabrielle Deydier, quarantaduenne autrice del libro On ne naît pas grosse (“Non si nasce grassi”) che ancora non è stato tradotto in Italia, visto che l’argomento comincia ad affacciarsi solo oggi alla discussione collettiva. 

“La prima forma di grassofobia si manifesta in ambito sanitario – dice Deydier -, quando per esempio devo chiamare un’ambulanza speciale, nel caso abbia un incidente, perché quelle normali non portano persone sopra i 130 kg. Lo stesso vale per i letti d’ospedale e le sale operatorie. Ma la grassofobia sistematica sta anche nei sedili dei teatri e dei cinema o dei treni. E poi c’è quella ordinaria, del quotidiano, quando le persone ti evitano, ti umiliano o ti insultano”.

A scuola i bambini grassi hanno molte più chance di essere bullizzati, conferma la Fondazione Veronesi. Gli adulti vengono stigmatizzati dai colleghi e giudicati male persino dal loro medico. C’è persino un pregiudizio negativo che influisce sulla disponibilità ad assumere un obeso e sullo stipendio: uno studio statunitense pone le donne obese al fondo della linea retributiva. Più fragili sono infatti le donne, che sono anche le persone più spesso colpite da disturbi del comportamento alimentare.

Colpevolizzare non è motivare

Lo stigma contro gli obesi aggiunge sofferenza a situazioni non facili sul piano fisico, emotivo e relazionale. E finisce per aggravare le disuguaglianze in tema di salute. 

“Le persone esposte al giudizio negativo sul loro corpo sono più colpite da depressione, ansia, disordini alimentari, scarsa autostima e pensieri suicidi – scrive la Fondazione Veronesi -. Tendono a evitare di praticare attività fisica e di sottoporsi a controlli medici o esami. Il tutto si traduce in condizioni di salute peggiori e maggiori rischi di ammalarsi, anche per condizioni che non sono direttamente legate all’obesità”. 

Fra gli attori fondamentali ci sono proprio i medici. Un documento pubblicato sulla rivista Pediatrics esorta i pediatri a formarsi e creare ambienti di cura non discriminanti, osservando: “Gli operatori sanitari continuano a cercare strategie efficaci e risorse per affrontare l’epidemia di obesità, ma spesso mostrano anche comportamenti discriminatori e stigmatizzanti”. 

Solo migliorando il modo di rapportarsi a pazienti obesi, grandi o piccini che siano, è possibile fare qualcosa di utile per migliorare la loro salute.

Colpevolizzare chi pesa troppo non serve a farlo dimagrire. Se così fosse, oggi la popolazione mondiale avrebbe raggiunto la perfetta forma fisica. Gli studi confermano il contrario, ovvero che più sono percepiti lo stigma e il giudizio negativo, più aumenta il consumo calorico. Grassi si diventa, non si nasce.

di Viola Paccagnella

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