Urlare fa male: l’educazione al rispetto e a lungo termine

da | 14 Lug, 2021 | Lifestyle

Alzare la voce è dannoso, fa sentire i genitori inadeguati e non è utile a nessuno, in particolare in ottica di educazione a lungo termine

Arrivano le vacanze e, soprattutto quando viaggiamo all’estero, abbiamo l’impressione di alzare la voce più spesso rispetto agli altri genitori.

Un atteggiamento che possiamo attribuire alla nostra cultura, ma cosa accade nella nostra mente quando alziamo i toni e quali sono le conseguenze nella relazione, nel modello di comportamento e nell’educazione che proponiamo ai nostri figli?

E soprattutto, possiamo lavorare sulla capacità di autocontrollo che vorremmo tanto trasmettere ai più piccoli?

Ne parliamo con Alessia Salvini, Formatrice e Founder FamilyCoach Montessori.

Genitori in evoluzione, mai inadeguati

Non riuscire a controllare le proprie reazioni è umano, eppure, dopo una “sgridata” dai toni accesi, proviamo tutti un sentimento di inadeguatezza e la sensazione di non riuscire a raggiungere, a lungo termine, l’obiettivo.

Essere genitori è un mestiere in continua evoluzione, un’esperienza che ci mette alla prova ogni giorno: imparare, evolvere e migliorare sono i tre imperativi per affrontarla al meglio.

“Parlare di crescita del bambino significa mettere sullo stesso piano anche quella del genitore – spiega Alessia Salvini -. Il punto di partenza per intraprendere il percorso è l’osservazione del bambino, con un’attitudine attiva e al di là di pregiudizi e preconcetti.

Uno sforzo che non porta solo benefici al benessere dei più piccoli, ma soprattutto ai genitori. Mettersi in discussione, guardare con attenzione e sperimentare soluzioni fa sì che un genitore non si senta inadeguato rispetto al proprio ruolo”.

A scuola di educazione, e comunicazione

Quando mamma o papà perdono la pazienza e alzano la voce, il messaggio trasmesso è semplice: controllare gli stimoli negativi (collera e delusione) è impossibile. Insomma, esattamente il contrario dell’educazione che vorremmo trasmettere.

Il rischio è quello di assumere l’attitudine conosciuta come “impotenza appresa”, che può condurre in alcuni casi ad ansia, depressione, e difficoltà a gestire la frustrazione, sin dall’infanzia.

Per il cervello le emozioni sono importantissime, e acquisire l’abitudine di etichettarle e verbalizzarle lo è ancora di più.

Liberarsi da stereotipi e abitudini

Oggi, in particolare, attraverso il filtro di Internet e dei social, discutere e senza aggredire o confrontarsi in modo costruttivo sembra sempre più difficile; questa è la grande sfida che, attraverso il nostro esempio, dobbiamo trasmettere alle nuove generazioni.

“Chi ha la tendenza a urlare potrebbe aver ricevuto un’educazione in cui quello era il metodo più ricorrente”, sostiene Alessia Salvini.

Liberarci da abitudini che ci portiamo dentro fin da piccoli non è semplice. La nostra è una generazione di genitori ‘pionieri’, portati a sperimentare nuovi metodi e capovolgere punti di vista.

Un tempo l’educazione partiva dall’adulto verso il bambino; oggi il genitore sceglie di ri-educare se stesso attraverso la conoscenza del bambino, e il consiglio dato è quello di evolvere nella stessa direzione esercitando il rispetto reciproco”.

Osservare, prima di tutto

Secondo Maria Montessori la relazione tra genitore e bambino deve basarsi su fiducia, rispetto e libertà di scelta.

“Se abbiamo l’impressione che il bambino non ci ascolti o che abbia un atteggiamento che non approviamo, dobbiamo prima di tutto avere ‘fiducia’ nel fatto che dietro quel comportamento c’è sempre una motivazione o un bisogno.

Nella fase della sperimentazione, ad esempio, se ci si trova in una casa in cui non è possibile toccare quasi nulla, un bimbo può accumulare un senso di frustrazione e insoddisfazione, che emergerà nel momento in cui tenterà di fare le sue sperimentazioni con quello che trova: un materiale non adatto, e di conseguenza verrà bloccato dall’adulto.

Oppure può accadere che bambini più ‘fisici’ che sentono la necessità di rotolarsi o arrampicarsi, accumulino nervosismo se non riescono a soddisfare le proprie esigenze”.

Educare al rispetto e all’autonomia

Non c’è una scelta giusta o sbagliata in quello che si fa, ci sono scelte che ci fanno stare più o meno bene, e sta a noi cercare di trovare la giusta dimensione.

L’importante è che alla base di tutto ci sia il rispetto e la comprensione dei bisogni di entrambi. Ma come comportarsi, in pratica, nei momenti in cui ci troviamo in difficoltà?

“Bisognerebbe sempre ragionare sulle cause della crisi e agire di conseguenza. Se un bimbo ha una crisi perché non vuole essere vestito o cambiato, potrebbe trattarsi di una necessità di maggiore autonomia – suggerisce Alessia Salvini -. Possiamo provare a cambiare il pannolino in piedi, anziché coricato sul fasciatoio, vestirci insieme iniziando a responsabilizzare il bambino.

Un altro momento tipicamente critica molto comune è la mattina, in cui si rischia di alzare la voce perché è ora di andare a scuola: in quel caso possiamo provare a valutare quali sono i tempi che corrispondono alle esigenze dei nostri figli per organizzarci e magari alzarci prima.

Inoltre è importante offrire due scelte al bambino, anziché esordire con un no secco. Per esempio: ‘Comprendo che vorresti continuare a giocare, ma dobbiamo proprio andare a scuola, cosa preferisci fare con le costruzioni? Lasciamo qui tutto così e potrai continuare oggi quando torniamo, oppure hai voglia di portartene un pezzo con te fino a scuola e poi lo riponi nell’armadietto?’”.

Una prospettiva diversa

Davanti a una crisi, il genitore respira profondamente e cerca di rimanere calmo, e a perdere di vista i principi dell’educaizone che vorrebbe trasmettere.  “Il segreto per non perdere la pazienza è quello di cercare la motivazione – che esiste sempre -, concentrarsi sul fatto che il bambino non sta agendo in questo modo per farci un torto, è importante invece cominciare a interpretare questi comportamenti come una richiesta di aiuto e non come un dispetto personale.

I bambini sono individui completi, con una propria personalità, alla quale non per forza va bene la nostra modalità, proprio perché diversi da noi.

Gridare, lanciare le cose e azioni simili manifestano una situazione di disagio, e rispondere con lo stesso tono non è la soluzione, né l’esempio, per imparare a evitare questo comportamento a lungo termine.

Questo non significa che il bambino può comportarsi come vuole, in quanto il genitore è alla guida della sua educazione. Ma ogni no, detto con tono calmo e fermo, aiuta a crescere solo se giustificato e spiegato”.

Il riflesso della nostra empatia

Qualsiasi sia la situazione o l’approccio, l’empatia funziona sempre. E per crescere futuri adulti empatici, è necessario praticare costantemente empatia nei loro confronti.

“I bambini sono lo specchio dei genitori. Se vostro figlio ha un atteggiamento che non vi piace, è meglio provare a cambiare approccio nei suoi confronti. Un bambino non cambierà la propria attitudine se noi per primi continuiamo ad adottare nei suoi confronti sempre le stesse reazioni e atteggiamenti.

Non solo attraverso il linguaggio verbale, ma anche quello vibrazionale: prima delle nostre parole, al bambino arrivano le nostre emozioni.

Se pronunciamo parole gentili, ma siamo arrabbiati, i piccoli se ne accorgono facilmente, perché possiedono canali di percezione emotiva molto più aperti rispetto ai nostri”.

Urla e minacce portano effetti immediati ma poco duraturi e dannosi per entrambi.

Lavorare sulle nostre emozioni e imparare a reagire in maniera diversa alle situazioni, può aiutarci a raggiungere nel tempo risultati più positivi, e sicuramente aiutarci a evolvere come individui.

Prima di educare un bambino devi rieducare te stesso”. (Maria Montessori)

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