Didattica a distanza: come e per quanto?

da | 12 Mag, 2020 | Lifestyle

La didattica a distanza è uno strumento che non può sostituire il rapporto educativo diretto. Tuttavia in alcuni casi sta aiutando a progettare una scuola migliore

La scuola è aperta a tutti, secondo la Costituzione, ma come garantire questo diritto con gli istituti chiusi? In alcune regioni i bambini sono a casa dal 21 febbraio. La previsione che torneranno scuola prima di settembre è concreta. Agli insegnanti è stato chiesto di trovare un modo per raggiungere gli studenti e continuare, nei limiti del possibile, i programmi didattici. 

Una scommessa su cui nessuno avrebbe puntato un centesimo, due mesi fa. Eppure la didattica a distanza si è rivelata l’unica soluzione possibile, nonostante siano emersi subito mille problemi: per molte famiglie c’è la mancanza di supporti tecnologici, poi ci sono i tempi di apprendimento diversi e le poche direttive per gli insegnanti.

“Le scuole che avevano una buona organizzazione interna hanno saputo reagire meglio e hanno subito cercato le soluzioni, distribuendo anche tablet e portatili – spiega Simona, insegnante di scuola primaria -. Ma non è stato così per tutti gli istituti. Questa situazione ha fatto venire a galla la disorganizzazione, le criticità e le differenze che esistono tra istituti. Chi ha saputo prendere in mano la situazione in modo attivo e positivo, è riuscito a mettersi in gioco con creatività a raggiungere dei risultati, anche se con difficoltà”.

Poche direttive e tante direzioni

Videolezioni, lezioni registrate, invio dei compiti senza spiegazione o con spiegazione scritta. Spesso gli insegnanti hanno scelto in modo autonomo quale metodo utilizzare per raggiungere gli allievi a casa. I dirigenti scolastici che hanno dato indicazioni precise per uniformare i metodi sono stati pochi.

“Ci sono esperienze diverse all’interno delle stesse scuole – racconta Adele, mamma di Beatrice che frequenta il primo anno di primaria. – Da noi quattro classi, dello stesso anno, si sono organizzate in maniera diversa. In una classe hanno attivato subito la piattaforma online e coinvolto i bambini da casa. Nella nostra classe, invece, la maestra ha inviato una lettera in cui – facendo appello alla libertà di insegnamento – ribadiva che la DAD era troppo lontana dai suoi metodi. Ora che è obbligatoria arriva qualche compito o registrazione, ma per quasi due mesi i bambini sono stati spaesati perché avevano improvvisamente perso qualsiasi contatto con la scuola”.

Videochiamata: sì o no?

C’è chi usa la videochiamata di gruppo per spiegare la lezione agli studenti e chi invece preferisce utilizzare altri strumenti, come videolezioni registrate o spiegazioni scritte. Talvolta la videochiamata serve solo come momento di saluto collettivo, per dare continuità al rapporto con la classe. 

Le videolezioni funzionano meglio in piccoli gruppi (4 – 5 bambini) anche se spesso vengono organizzate con la metà della classe o in gruppi da dieci. Più il gruppo è numeroso e più è difficile seguire e comunicare: microfoni accesi, rumori e interferenze, problemi di connessione, distrazioni.

“Le videolezioni servono per far vedere ai bambini che ci siamo – sostiene Laura, maestra di terza elementare -. Non vogliamo che perdano il contatto con la realtà scolastica. Alcuni bambini non hanno fratelli, non hanno un balcone o un cortile.

È l’unico momento in cui possono vedere i compagni ed è questa la funzione più importante della videochiamata”.

C’è chi considera la videochiamata uno strumento invasivo che entra in casa dello studente, un luogo privato dove magari ci sono più figli e un gran caos. La lezione registrata è considerata uno strumento migliore, anche se impedisce l’interazione immediata, perché può andare incontro ai genitori che lavorano non vincolandoli a orari fissi.

DAD

Ma cosa significa didattica a distanza?

Grazie al Piano nazionale scuola digitale, alcune scuole già seguivano un programma di inserimento delle tecnologie a supporto dell’insegnamento tradizionale.

“Molti insegnanti usavano già strumenti digitali per le loro lezioni, come le versioni multimediali dei libri di testo – spiega Mara, docente che collabora con l’equipe del Piano nazionale -. Chi già utilizzava la LIM, per esempio, si è trovato più preparato.

Ma attenzione: il digitale a scuola è una cosa ben diversa, perché l’utilizzo della tecnologia è sempre stato accompagnato dalla didattica in presenza. Improvvisamente siamo passati dal digitale come supporto alla scuola a un’educazione 100% digitale. Questo ha creato una situazione molto variegata tra le scuole, perché quasi a nessuno era chiaro cosa fosse la didattica a distanza.

Fare DAD non vuol dire assegnare soltanto i compiti, né inviare spiegazioni scritte o fare noiose lezioni frontali. Studio ed esercizi devono essere accompagnati da una spiegazione meno trasmissiva e più interattiva possibile. Non un dettato di apprendimento, ma un’azione che apre uno spazio per riflettere e in cui l’insegnante si rende disponibile in caso di difficoltà di comprensione”.

Impariamo dalla realtà, creiamo competenze 

Alcuni docenti stanno vedendo emergere nuove capacità negli studenti, altri stanno applicando un approccio più legato alla realtà e meno all’astrazione, che permette di acquisire meglio le competenze previste dagli obiettivi scolastici. 

“Andare avanti con il programma è difficile, perché la videolezione non può sostituire la scuola e il suo ambiente – spiega Laura, insegnante -. Nella scuola primaria non si impara attraverso le lezioni frontali: lavoriamo in gruppo, a coppie, chi è più bravo aiuta chi ha più difficoltà e l’insegnante accompagna e supporta chi rimane indietro”. 

La didattica a distanza è quindi proponibile solo per un periodo di emergenza. Il carico didattico deve essere alleggerito sia per la mancanza della relazione diretta sia perché in alcune famiglie il carico emotivo è alto. Anche gli argomenti di insegnamento sono stati adattati.

“Nella mia scuola abbiamo deciso di non andare avanti con il programma ministeriale, ma di lavorare in concreto con quello che gli alunni possono fare a casa – racconta Simona, insegnante del quarto anno di primaria -. Domani farò una lezione di cucina in inglese. Per la matematica usiamo le ricette per imparare i pesi e le misure oppure si lavora sulla statistica scrivendo quanti bicchieri di acqua beviamo in media al giorno. Spiegare le addizioni soltanto con il metodo teorico è inutile e controproducente”.

Più Montessori, meno Invalsi

“Quando la scuola ha chiuso è stato come essere scaraventati in un altro universo – racconta Simona -. Ora proviamo a insegnare le materie partendo dalla realtà e dall’esperienza e mettendo al centro il bambino. Questo ci sta portando a scegliere un metodo di insegnamento più montessoriano.

Negli ultimi anni eravamo troppo concentrati sulle prove Invalsi e non sono sicura che sia la strada giusta. Tanta astrazione e programmi rigidi che stavano appiattendo il modo di insegnare.

Ora molti di noi stanno diventando più creativi, perché coinvolgere gli alunni a distanza è più difficile. Alcuni bambini che erano timidi e avevano difficoltà stanno incredibilmente mostrando buoni risultati, forse perché lavoriamo con meno ansia e seguiamo di più i loro tempi.

Dobbiamo cercare di lasciare loro qualcosa, anche in un periodo come questo, che per noi può essere un insegnamento per migliorare quando torneremo in classe”

E a settembre? 

Le scuole riapriranno? E come?

“Le scuole a settembre devono riaprire – sostiene Laura – Gli studenti che in questi mesi si sono persi, per questioni familiari o personali, rimarrebbero troppo indietro. Il piano è quello di dedicare i primi mesi a riprendere gli argomenti che abbiamo trattato e che non siamo riusciti ad affrontare in questo periodo. Se la scuola non riapre riprendere il passo sarà complicato e rischiamo di perdere per sempre gli studenti che arrivano dai quartieri più problematici”.

Nelle prossime settimane una commissione di specialisti elaborerà proposte per capire come strutturare il rientro. Ci auguriamo che si tenga presente che la scuola è un’aula, non un video.

“Trovare delle condizioni giuste per lavorare a giugno e luglio sarebbe bellissimo, ma al punto in cui siamo non è realizzabile – sostiene Simona -. Se a settembre non sarà possibile tornare con le classi intere, ben venga lavorare più ore, a turni e con banchi distanziati, pur di vedere i bambini.

La DAD può essere anche un’esperienza costruttiva se fatta bene, ma solo per un breve periodo”.

A settembre non si può pensare di far ripartire la scuola accendendo uno schermo. Tutto andrà bene, se troviamo insieme le soluzioni concrete per far tornare i bambini in classe.

DAD

 

Leggi anche –> L’isolamento sociale dei bambini: come reagire?

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